giovedì 13 gennaio 2011

Nella gola il batticuore dell'avventura

Ho aperto il libro ieri mattina, ancora freddo perché la casa era stata aperta da pochissimo e quindi non era riscaldata. Ho cominciato a scorrere con gli occhi le prime frasi, come attacchi di un ampio magma sinfonico febbricitante e turbolento; poi le frasi sempre più complesse, in contrappunto. I periodi che scorrono. Ciascun tassello ha una sua economia, una sua indipendenza e radiosità. A un certo punto qualcosa mi tocca il braccio, forse la parte interna del gomito, e poi continua, in un unico filo spinato e mi ferma gli occhi e il respiro: "...nella gola il batticuore dell'avventura", è parte di un periodo che continua, ma non importa come, e in che modo finisca il serpente e dove vada a sfamarsi con il suo pasto. Qualsiasi cosa possa o non possa accadere, ormai sono un innamorato dentro quella bocca rossa di drago. Ho concluso la mia scorsa a rapidi sprazzi, ancora molto preso da quello che mi sarebbe accaduto continuando questa lettura. Accanto a me una porta a vetri con due vecchie scope. Ho chiuso il libro e l'ho messo in tasca. Non ho letto parole, ma ho sentito la carne, gli occhi, i capelli dello scrittore che mi fanno ombra, che rovesciano del vino giovanissimo e maturo nella mia vita.
Sto parlando della seconda pagina de "La diceria dell'untore", di Gesualdo Bufalino. Un libro portato da tempo in quella casa, e messo insieme ad altri testi della collezione Bur, pur essendo un vecchio Sellerio, uscito nel suo scintillio dalla tipografia Luxograph di Palermo nel lontano 1981. Un libro che ricordo negli anni tra le letture fioche e serali di mia madre. La ricordo  a letto con quel volume blu tra le mani e i riflessi del letto in ottone, e forse una sua convalescenza lontana. Ricordo una luce gialla e molto calda intorno a lei e intorno a me, quando lo leggeva, socchiudendo piano gli occhi per la stanchezza.


Adesso mi arriva e mi calpesta, come un trattore o un accesso di calore improvviso, in un giorno sereno di gennaio. Quando sono ritornato a casa, ho pensato al fasto magnetico di quelle parole, a come rimbombano di cose e di sensazioni che mi sono appartenute prima che questo libro esistesse, e che mi apparterranno al di là dell'esistenza di questo libro, ma che senza l'esistenza di questo libro non avrei mai palpato né sentito così a fondo, come mi è successo. Non l'avrei fatto con tale tenerezza, dolore, intensità. Andando oltre si accavallano altri momenti memorabili. Non credo che c'entri più l'occhio e il carattere sulla pagina. Avviene dell'altro, di poco letterario, di molto più fisico ma anche di molto più psichico e misterioso. Un affare di risonanze indisciplinate e continue, come: "Caduto il vento, la cui mano m'aveva a più riprese, come la mano di un complice" o ancora "gli uomini vestiti di impermeabili bianchi", "una serpaia di rughe fra due lembi di bavero" "Begin' the beguine,  e dai balconi di lunga luna ragazze si sporgevano ancora, scendevano ad appendersi al filetto dorato del nostro braccio, ci camminavano accanto lungo un fiume, Trasinaro o Livenza, reggendo con una mano il manubrio di una bicicletta di nebbia". E ritornando ancora indietro, alle prime battute dell'incipit, già conficcate come cuspidi nella morbidezza barocca del sogno: "O quando tutte le notti- per pigrizia, per avarizia- ritornavo a sognare lo stesso sogno: ". Percepisco il tono di voce. Ogni tipo di concatenazione ha un suo suono. Questa la avverto tra il sussurro e lo sforzo di un anziano in un confessionale. La sento ancora, anche quando è già passata. La scrittura non passa mai. Questa scrittura non arriva e non va. Esiste  o mi preesiste e mi annuncia quello che della mia esistenza mi sorpassa e mi sfiora, mentre sono già altrove. "O quando tutte le notti", potrebbe cominciare così l'attacco sordo di una tragedia, un monologo straziante o incantato di fiabe orientali, raccontate a un bambino ammalato in un ospedaletto nebbioso  di montagna. Indimenticabile, ma senza ostentare in alcun modo la volontà di resistere al tempo, perché dal tempo ne è già fuori, come dall'insonnia un portiere di notte.
"Nella gola il batticuore dell'avventura". Credo che contenga la verità della gioventù e della vecchiaia, del giorno e della notte, del nitido e del cupo, del lupo e dell'agnello, dell'ansia e della pazienza. Contenga una serie di infiniti momenti e moventi impronunciabili, che trovano la perfezione del frammento in questo tipo di suono, e soltanto attraverso questa esatta e specifica sequenza armonica ne coronano il senso. La grande scrittura è fatta di un niente. Basta un attimo e una minima variazione, che svanisce. È tutt'altro che scientifico questo effetto, è dannatamente ispirato, ma funziona come una combinazione perfetta, che istupidirebbe qualsiasi smalizato scassinatore a smontarla e a demistificarla dalla sua naturale ossatura.
Quel primo capitolo potrebbe  concludersi in meno di cinque minuti, anche molto meno, ma potrebbe necessitare dell'attenzione di una vita, per catturarne le sfumature e le strette mortali tra queste redini argentate, che lasciano spazio e angustia nello stesso ampio sterrato, per una fuga schiumosa di libertà. Possibilmente di tarda sera.

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