martedì 27 marzo 2012

Al viso chiuso. 26 studi di poesia

Al Viso Chiuso 26 Studi                                                                                            

domenica 25 marzo 2012

Attilio Bertolucci a Pickwick

sabato 24 marzo 2012

Riflessi con vespro da occhiali (bozza)

Dalla cucina stenta la sera,
un lucernario ancora tiepido. 
Diafana lupa farà prigioniera
l'aria ballerina di casa
come in un favo di nuvole.

La fiamma brilla e siede
sui lunghi fianchi d'ombra,
al rosa del tuo sonno d'oro;

dagli occhiali aperti e appena tolti,
con lo sterno misto d' azzurrino,
beve e tremola il balestrino.

venerdì 23 marzo 2012

Al viso chiuso

Al viso chiuso
di una voce giovane
va in morire l'Agosto,
dove scorcia e affama
alla moresca lunare
un bacio di nascosto.
L'odore del fumo
avvampa il paese di febbre
e ogni forma è più stanca
dal valico vibrato dei davanzali,
dove sbatte a righe
la calma tenebra del mare
e fredde lenzuola di Aprile
odorano la voce di mia madre,
dal balcone ancora aperto.

giovedì 22 marzo 2012

Considerazioni e convenzioni

Per convenzione si consigliano le cose utili. La lettura, per esempio, è consigliata come farmaco dello spirito e della mente, sollievo di afflizioni e solitudini, ma inserita sempre in un contesto di utilità, quindi di ricavo, spirituale o materiale che sia, di una certa dose di crediti referenziali verso il proprio infinito creativo e formativo. E fino a questo ci siamo, o quasi, direi. Ma spesso questo atteggiamento si avvicina molto al consigliare all'amico appassionato di studiare meglio la genealogia dei cavalli da corsa,  la loro forma, il terreno, il cognome del driver, la stessa strategia per ottimizzare un risultato da perseguire. Luogo comune per chi scrive, poi, leggere molto per scrivere meglio di chi legge meno, o legge altro, o legge male.
Da questo punto, allora, sento parlare così tanto di parola scritta e avverto la distanza con il sollievo di imbarcarmi, invece, in un'attività che non abbia forma, vantaggi, indicazioni e controindicazioni, ma soltanto la purezza della sua apparizione, l'inutilità o la possibilità di un incontro che potrebbe essere tutto e il contrario di tutto. Perché leggere, per me, non è un'attività finalizzata, ma una forma segreta e religiosa di abbandono. L'ho scoperta da questo lato, ignorando quello che mi possa portare di buono o di cattivo. Nulla oltre la bellezza e il piacere, quindi l'inutilità, quanto meno nell'immediato. Non credo che si possa trarre profitto sezionando in continuazione quello che si legge. Investigando, spulciando, cercando angolazioni inesplorate, nuovi orizzonti, ma anche incongruenze, pieghe, difetti, contraddizioni, apparizioni, visioni, violazioni. E ancora: distinguendo le persone in base a quello che hanno letto, che non riescono o che non vogliono leggere, che non leggeranno mai. Uno dei più grandi orrori che ammanta la personalità di alcune figure, anche molto giovani, appassionate di libri e anche di scrittura, è quella temibile tendenza a pontificare, a sentenziare, correggere, indicare col proprio dito senza ancora guardare una linea del tuo sguardo.  Essendo così sicuri che la tua ricerca sia proprio quella di cui accennano, che la strada è solo una, quella già perseguita da loro. Quegli orrori che molto difficilmente incontro nel contadino, nell'oste, nell'artigiano, nell'appassionato di cani, di uccelli o di donne. In queste figure più oscure e anarchiche, quello che viene a mancare è la convenzione, e quindi prevale la speranza, l'erotismo dell'esperienza, dell'invenzione, il divertimento, la logica dell'assurdo e quindi il desiderio di essere parte di un flusso informe e più fresco, senza troppe regole, resoconti, prescrizioni letterarie da farmacia. Senza considerare una sola verità, ma la purezza di un'attività ludica inutile, di cui si potrebbe anche fare a meno. 
Alcune figure nella mia vita, sono quindi più aperte e comunicative, parlando di cose spicciole e  semplici, quando lasciano affiorare dentro di me il desiderio dell'inutile, che è quello che dovrebbe ammantare tutte le attività che non sono ancora regolate da un preciso movente o direzione predefinita. Se dovessi leggere per una finalità precisa, non riuscirei a superare il polso di un paragrafo. Mi piace invece la libertà di cercare nei libri un fattore di intimità con la mia capacità di ascolto, di formazione, ma non prestabilita da una norma, da un'assoluta necessità, da un vincolo. È solo grazie a questo spirito che mi sono avvicinato ai libri, divorandoli con fame, mai per dovere o per un utilizzo chiaro e consapevole del grano macinato tra le pagine. Nessuno potrà conoscere a fondo la mia necessità, così come non potrà stabilire quante maglie dovrò mettere sotto una giacca in un pomeriggio d'inverno. Sarà la mia sensazione a farmi strada, a farmi sbagliare, inciampare, rialzarmi. Non credo che avrò mai la certezza di assorbire un testo se comincerò a pensarlo, e quindi a leggerlo, con i pensieri e con gli occhi degli altri, anche degli altri che stimo, che ammiro e che considero eccellenti nel loro ramo. Anche se di solito le persone eccellenti nel loro ramo, è molto difficile che ti dicano cosa sia giusto o ingiusto fare, che cosa vada assolutamente letto o fatto, e andando ancora più in fondo, come andrebbe sistemato quel certo paragrafo, o ritratto quel certo personaggio. Riguardo questa particolare interferenza con l'attività creativa, io seguo una regola molto semplice: ascolto i consigli di tutti, degli esperti, dei meno esperti, a tutti i livelli. Sono curioso di percepire quello che è arrivato o che non è arrivato. Ma non appena qualcuno mi dice come avrei dovuto fare, o come avrebbe fatto lui al posto mio, e quindi quando non ci si limita alla forma ma a farmi cambiare le note del testo, della sua melodia, allora: rock'n roll! Non è una forma di presunzione, ma di assunzione di una certa linea di pensiero, che ciascuno dovrebbe mantenere, quel minimo di aderenza a un proprio mood o idea letteraria, che piaccia o meno, che convenga o meno, questo non conta. È il canto, anche se stonato, della propria razza pura, meticcia o cattivo incrocio che sia.
Ho bisogno di scoprire, invece, e ritornando al piacere del testo, il lato inutile e assurdo di un incontro letterario non programmato né santificato come elemento supremo; anteponendo così, a qualsiasi altro influsso, la sensibilità stordita e confusa della mia primitiva esperienza.

domenica 18 marzo 2012

Imperdibili ecfrasi di Sanguineti da Nazione Indiana

Da Nazione Indiana: Mauritshuis [agosto 1986]
Incantevoli.

Una quartina di Alfonso Gatto

A mezzo il riso un'ombra passa, solo
un'ombra, ne sorprende la leggera
smarrita lontananza a lungo il volo
delle rondini a sera.

Da Un'ombra, solo un'ombra. Poesie d'amore (1941-1949), Alfonso Gatto

venerdì 16 marzo 2012

Notte di viaggio con orfano


Con questo dialogo lampo, apro l'iniziativa sui dialoghi (Dialoghi in corto) ideata dalla scrittrice Manuela Giacchetta, che ringrazio per l'attenzione e la sensibilità verso le mie piccole prove.

mercoledì 14 marzo 2012

A quello che mai sarà

Il dedicarsi molto a quello che mai sarà. Probabile che le mie energie, di amore o di possibile tiepido ingegno, andranno disperse. Che i miei minuti più laboriosi, sofferti e dedicati, saranno dissolti nel nulla, perché mai esistiti e quindi nemmeno davvero composti per uno stadio dissolutivo, quindi inesistenti. 
È possibile, e ci pensavo proprio oggi, che la maggior parte dei miei sforzi saranno vani. 
Tutto questo è molto probabile, immagino oltre l'ottanta per cento di quello che progetto, forse la parte migliore, dove fatica la mia dedizione e si sciolgono i miei slanci e si accorciano le mie giornate, il mio tempo, i miei amici, le mie uscite. Scrivo questo post, con leggerezza, eppure potrebbe rimbombare anche lui nel vuoto a dispetto del possibile inestimabile sacrificio affettuoso di quest'attimo.
Il dedicarsi continui, invece. Il dedicarsi ancora e con più fervore. A quello che mai sarà.

martedì 13 marzo 2012

Bowling e margherite: Scrittura in Divertissement. L'aria di Aprile.


Concludo il romanzo di Manuela Giacchetta "Bowling e margherite" Las Vegas Edizioni, letto e acquistato in formato ePub, avendo già avuto modo di conoscere la scrittura di Manuela attraverso alcuni suoi racconti molto originali ed efficaci.
Lo concludo con ancora addosso l'aria di Aprile che questa storia lascia dentro a chi la esplora e vi entra nel modo giusto. La scrittura di Manuela ha questa particolare freschezza, ancora pungente in certi momenti del racconto,  ma con la compensazione di ampie schiarite e soleggiate, che lasciano a chi legge e a chi ha finito un paragrafo, un capitolo o anche tutto il romanzo, la sensazione di aver visitato e vissuto un luogo aperto. 
April air, era il nome di un gruppo musicale che volevano formare degli amici, davvero molto bravi. Mi confidarono il nome del gruppo fantasma, che a dispetto di quello che non è mai stato, mi ritorna dopo anni soltanto adesso, grazie a questo momento letterario così disteso e particolare, che ho letto senza fatica ma anche senza fretta. Mosso prima di tutto dalla curiosità, dallo scoprire Manuela come romanziera. 
Vengo al punto.
È una scrittura divertita e non divertente, è divertita di esserci e di esistere; gioisce di scorrere senza misurarsi in forza di getto o frazione cardiaca di eiezione, in temperatura o luminosità dell'acqua, in appariscenza. Non è un romanzo in posa, che si aggiusta i capelli prima del flash.
La storia si basa sul divertissement di figure e situazioni contestuali a un mondo noto e abbordabile, in apparenza comune a certe particolari trame e sottotrame generazionali, celando però, attraverso i vari sviluppi delle situazioni, una profonda sensazione di smarrimento e disorientamento – sarà forse questo il grosso nodo che ostacola Lorenzo, nebbioso protagonista senza slanci, nell'affrontare con il giusto abbandono l'Ulisse (mastino napoletano) di Joyce e la sua parallela vita magrolina e stanca, Odissea di spasmi e trafitture quotidiane. Da Lorenzo (magnificato ma poco Magnifico) e dalle sue gesta implose, trattenute e smozzicate, parte il senso etimologico del termine divertimento, a cui alludevo, legato anche alla musicalità della scrittura, come lo associo nello specifico della storia: non solo svago, leggerezza, allegria, ma anche "allontanarsi", fedele alla radice latina del termine che indica il volgere altrove (divertĕre) essendo composto da dis e da vertĕre (volgere). Se dovessero chiedermi di che parla questo romanzo io risponderei: della lontananza-divertimento nel nulla paralizzante dei propri sogni e del proprio reale. Della ricerca dell'aria di Aprile in questa dicotomia dolorosa, che se si entra a fondo un po' spaventa.
Ecco il punto chiave della mia lettura: non è soltanto la leggerezza o l'apparente tensione-apprensione affettuosa o turbolenta dei temi, che richiamano la gestazione quasi materna del divertimento, (inteso in relazione all'approccio alla lingua, allo stile, ai ritmi narranti, a particolari espressioni con cui spesso la scrittrice accende dei lampeggianti suggestivi tra i paragrafi), ma anche la dedizione a una prospettiva di indagine ispirata e intima del personaggio, che si oppone ad un'altra, antitetica, e che rimane un fattore costante nella storia, fino all'ultimo sprint, dove il romanzo davvero spicca il volo.
Lorenzo cerca qualcosa allontanandosi e allontanando, ma anche divertendosi nel gioco di fuga da purosangue, come accade nella forma musicale corrispettiva del divertissement a cui questo romanzo si avvicina moltissimo.
Lavoro anche molto fisico e sincero. Anche negli squarci più intimi la scrittrice non risparmia la sua tavolozza cromatica e riesce a intingere di quell'aria di Aprile di cui accennavo all'inizio, gli occhi, i sorrisi, le gambe magre e scoperte, le scollature e i delicati nudi dei personaggi e della sua storia.
Verso il finale pare davvero di vivere una rincorsa in pantaloncini corti, una schiarita; è una sensazione precisa, ottenuta con maestria e generosità e che lascia un bel segno nell'aria, molto vivo e radioso.
Da leggere:

venerdì 9 marzo 2012

Il desiderio e la risorsa

Credo che il problema di chi tenti o sia tentato dal demonio creativo, rimanga murato tra due aspetti fondamentali: il desiderio e la risorsa. Si può desiderare con alla base molte risorse concrete per esprimersi, quindi anche con un movente diverso da chi ne ha meno. Il desiderio potrebbe essere sintomo e sensore di una miniera di risorse ancora occulte, oppure si può desiderare disponendo di poche risorse: desiderare di esprimersi, di trasferirsi senza avere però gli strumenti adeguati. Su questi due aspetti, in apparenza molto semplici, spesso si articolano e si delineano varie situazioni, dove il desiderio spesso è la sola risorsa disponibile o si confonde con quella risorsa, diventa desiderio di una risorsa espressiva o tecnica in difetto, o di altro, e non solo di comunicare, di esprimersi, di creare, ma di potere e dimostrare di potere qualcosa, oltre o più degli altri, con più o meno risorse, questo non conta. 
Uno scrittore con risorse, potrebbe non desiderare nulla, perché avrebbe le sue risorse già pronte di cui disporre per poter partire con sicurezza e maestria. Oppure potrebbe desiderare di accrescerle, temendo che non siano sufficienti per la sua fame espressiva o perché teme che qualcun altro abbia risorse migliori di lui, per il timore di perderle, che in qualche modo possano scadere o deteriorarsi. La risorsa potrebbe quindi smuovere il desiderio e comunque creare sofferenza e attriti al momento dell'espansione di un'idea creativa in embrione. Chi invece non desidera di scrivere potrebbe essere privo ma anche stracolmo di risorse e non esserne conscio o non volerne essere conscio. In entrambi i casi si potrebbe annientare il desiderio: nel primo caso per la consapevolezza di uno stato deficitario e quindi constatandone la relativa impossibilità di imbarco nel creativo, solo a sostenerne l'impianto del desiderio; nel secondo caso, invece, per un'inconsapevolezza del proprio stato, o anche per pigrizia, per sciatteria, svogliatezza nell'esplorarlo. Posso anche desiderare di parlare pur non avendo voce; di cantare pur non avendo orecchio; di suonare pur non avendo mani e mantenere dentro la sensibilità latente per farlo anche bene. In questi casi l'assurdo si nutre del suo doppio: amo quello che non ho, così come qualcuno potrebbe ignorare i propri numeri o amarne altri, anche se posseduti in quantità e qualità minori.
Eppure, in tutte queste combinazioni e possibilità, rimane sempre il desiderio principale di un assoluto, che concordi e confermi le nostre scelte, che ritorni sui nostri passi e li beatifichi nella loro andatura e nel loro solco. Sarà questo l'ostacolo più grande, la ricerca furiosa del certo, del risultato sicuro, incontrastabile,  pur se ottenuto da qualcosa che non parte da una forma stabile, definibile, numerica, e che di conseguenza non potrà mai godere delle ragioni felici e benefiche di un'equazione lineare.

martedì 6 marzo 2012

Due compleanni di Luigi Salerno (download free)

Due Compleanni

lunedì 5 marzo 2012

Conversazione serale

Sono arrivato a pensare che sono alcune parole, per come sono espresse, che mi portano a constatare una strada, una certa linea di verità. Sono le parole, credo, con la loro eco, a farmi scegliere, decidere e resistere. Parole che non sempre si pongono come membrane da esplorare, ma necessitano di fiducia, di una sensazione che le renda vere del loro chiaro o del loro oscuro, inconfutabili, più per uno spasmo illogico e interno che per una scelta razionale. Eppure è da uno spasmo verbale e semantico che io raccolgo e costruisco un concetto, che ne faccio uso e anche abuso, che apparecchio una tavola già imbandita. Che lo dipingo a mio piacimento prima che sbiadisca o che mi avveleni del suo siero. 
Forse l'origine dei segni che sento di più, anche se non tutti capiti e compresi, con la loro voce, l'autore che me li ricorda, ma che a volte svanisce e rimane sepolto dentro la tela, mentre il loro concetto è continua risonanza e dissolvenza. Potrei aver dato affidamento eccessivo a questi luoghi così particolari, preferendoli ad altri, più fisici, fattivi, esperienziali, creaturali? Quanta vita ha un segno? La mia formazione o deformazione sarà davvero fatta solo di segni o anche di altre luci, o forse di fatti che accompagnano e confermano la genuinità e la forza dei segni che ho ingoiato come aghi da sellaio?
Cresco in quello che ho creduto vero, perché sentito, raccontato e amato, e quindi divorato al buio. Si diventa così quello che si sente o che si ama ascoltare, spesso senza scelta, per un piccolo approdo sensibile e incosciente che  ci risparmia dallo scagliarsi nel vuoto di un luogo diverso, troppo silenzioso e impalpabile per intrattenersi oltresera o nelle notti troppo stellate per la nausea dei cieli. Un luogo muto.
E se fosse da lì, invece, che dovrei ripartire e ricompattare il mio corredo? Da quello che non è provato, collaudato, glorificato da mie sensazioni o da chiara e indiscussa fama? Che non è tracciato e illustrato o codificato? Eppure anche le mie parole sono derivate da atti, da avvenimenti e da lunghi momenti di ascolti, molto intimi e ancora in corso, dove si delinea la speranza di comprendere e di crescere in una certa comprensione che mi appartenga e che mi scelga, di una certa possibile realtà parallela e meno venefica. Non penso di poter perdere per sempre le mie certezze, ma credo che sia possibile essere traditi da quello che si credeva il centro, il nucleo eletto, per misteriosi vortici affettivi, emozioni, rituali, abitudini, combinazione e casualità, che ci hanno fatto costruire la nostra casa in un punto preciso, sacrificando l'oceano di tante altre basi edificabili, e senza ascoltare la possibilità che potrebbe esserci anche dell'altro, ben nascosto, dove attingere una dose diversa di nutrimento. Imparare a cercare tra i segni la porzione di vita rimasta ancora pulsante e immaginare il tutto in continua dilatazione e riconversione a un nuovo nucleo inesplorato, che non sia frutto di fatti letti o scritti e sentiti, ma anche di cose sentite e non scritte né dette, captate e non troppo capite.

domenica 4 marzo 2012

Consapevolezza della propria rovina e persistenza.

Ogni nuovo passo avverto di essere artefice felice di una rovina. Non sempre identificabile in un piano preciso, se sia lessicale, di struttura o legata ad altri aspetti del mio linguaggio, ma avverto che esiste qualcuno che nel momento in cui scrivo starà torcendo già il muso, posando gli occhiali sul tavolo e passandosi le due mani sugli occhi, come quando lava il viso al mattino. Potrei essere anche io.
Avverto che il testimone fantasma e purificante della mia rovina è parte stessa e attiva della rovina, della stessa voglia di creare nelle macerie di quello che starò distruggendo, contro l'esplosione dei vetri in ogni stanza appena affrescata, delle fiammate che dal camino mangiano la mia vita; questo negli occhi di questa testimonianza silente quanto invasiva in cui rimango vivo e illeso, quanto in eterna disillusione discussione con me stesso.
Ma sono anche certo che se scrivessi come lui vorrebbe e come forse non so, – perché è raro e difficile che mi venga detto quello che si vorrebbe, ma solo dell'effetto gravoso della mia rovina –, sarebbe ancora lo stesso, una rovina diversa, con altri calcinacci, altri feriti, ma lo stesso sconcerto, forse con lo stesso testimone o con un altro di turno.
Bisogna spegnersi per accontentare e accontentarsi, spegnere la luce, sorridere e addormentarsi con lo stesso sorriso felice di chi si cullerà del mio silenzio, della mia rinuncia a rovinare e a non fare come forse non si deve. La testimonianza della mia rovina è l'unico movente per riprendere il fiato e il capo del filo, già domattina, e continuare a sbaragliare e fare polvere, sicuro che qualsiasi cosa in certi contesti fa polvere, che sia marmo, talco, o farina, sarebbe lo stesso.
Raccontare di qualcosa che preme e che sento vuol dire creare e sperdermi in un divertimento feroce, una manata di crema sulla natica di chi si affaccia e non mi vede; in senso stretto e letterale è anche uno scavo tragico e non proprio qualcosa di tanto ilare. E dentro lo squarcio del crollo persisto e sorrido.
Da solo.

sabato 3 marzo 2012

Pensieri di mezzanotte

La lettura come attività creativa. Instancabile, soprendente e balsamica. Pomata degli occhi e degli ultimi o dei primi pensieri di un giorno. Segreto delle piogge lunghe e dei grandi tuoni. Un lume acceso con la mia ombra dietro la tenda.
Quando leggo sono completo e sono contento. In equilibrio e con un respiro diverso. Non cerco di arrivare, di inseguire, di ricercare, ma sono raggiunto, inseguito e ricercato dalla parte migliore e più nascosta di me, che mi cerca e mi ama e mi crea. Che mi lecca e mi sprigiona.
Non ho altro che quello, in quel momento, e mi basta. So che mi basterà anche per la prossima volta, quando ritornerò al minuto magico dell'incontro, desiderato in diversi momenti della giornata, quando ne sono più lontano ma più vicino. Anche prima di quel minuto, lo sto già leggendo nella sua attesa di libertà, che anche senza parole nuove mi completa. Potrei ricominciare dall'inizio e ritrovare ancora qualcosa, e farlo ancora, per altre volte, e perdermi in nuovi luoghi o già visti, senza stancarmi. La lettura è tutto quello che non si vede oltre il segno delle parole, che mi sorpassa e mi sopravvive.
Qualcosa che mi disseta e che non si beve.
Leggere un libro diventa un momento di incontro molto intimo con le proprie possibilità ricettive ma anche con quelle espressive. Un'analisi del proprio udito verso l'esistenza. La notte rossa in un bosco.
Tra l'altro non si misura, non si calcola, ma si vive.
Credo che rimanga tra le cose più belle del mondo.