venerdì 9 marzo 2012

Il desiderio e la risorsa

Credo che il problema di chi tenti o sia tentato dal demonio creativo, rimanga murato tra due aspetti fondamentali: il desiderio e la risorsa. Si può desiderare con alla base molte risorse concrete per esprimersi, quindi anche con un movente diverso da chi ne ha meno. Il desiderio potrebbe essere sintomo e sensore di una miniera di risorse ancora occulte, oppure si può desiderare disponendo di poche risorse: desiderare di esprimersi, di trasferirsi senza avere però gli strumenti adeguati. Su questi due aspetti, in apparenza molto semplici, spesso si articolano e si delineano varie situazioni, dove il desiderio spesso è la sola risorsa disponibile o si confonde con quella risorsa, diventa desiderio di una risorsa espressiva o tecnica in difetto, o di altro, e non solo di comunicare, di esprimersi, di creare, ma di potere e dimostrare di potere qualcosa, oltre o più degli altri, con più o meno risorse, questo non conta. 
Uno scrittore con risorse, potrebbe non desiderare nulla, perché avrebbe le sue risorse già pronte di cui disporre per poter partire con sicurezza e maestria. Oppure potrebbe desiderare di accrescerle, temendo che non siano sufficienti per la sua fame espressiva o perché teme che qualcun altro abbia risorse migliori di lui, per il timore di perderle, che in qualche modo possano scadere o deteriorarsi. La risorsa potrebbe quindi smuovere il desiderio e comunque creare sofferenza e attriti al momento dell'espansione di un'idea creativa in embrione. Chi invece non desidera di scrivere potrebbe essere privo ma anche stracolmo di risorse e non esserne conscio o non volerne essere conscio. In entrambi i casi si potrebbe annientare il desiderio: nel primo caso per la consapevolezza di uno stato deficitario e quindi constatandone la relativa impossibilità di imbarco nel creativo, solo a sostenerne l'impianto del desiderio; nel secondo caso, invece, per un'inconsapevolezza del proprio stato, o anche per pigrizia, per sciatteria, svogliatezza nell'esplorarlo. Posso anche desiderare di parlare pur non avendo voce; di cantare pur non avendo orecchio; di suonare pur non avendo mani e mantenere dentro la sensibilità latente per farlo anche bene. In questi casi l'assurdo si nutre del suo doppio: amo quello che non ho, così come qualcuno potrebbe ignorare i propri numeri o amarne altri, anche se posseduti in quantità e qualità minori.
Eppure, in tutte queste combinazioni e possibilità, rimane sempre il desiderio principale di un assoluto, che concordi e confermi le nostre scelte, che ritorni sui nostri passi e li beatifichi nella loro andatura e nel loro solco. Sarà questo l'ostacolo più grande, la ricerca furiosa del certo, del risultato sicuro, incontrastabile,  pur se ottenuto da qualcosa che non parte da una forma stabile, definibile, numerica, e che di conseguenza non potrà mai godere delle ragioni felici e benefiche di un'equazione lineare.

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