martedì 30 giugno 2009

Un regalo dal telegramma



Considero questo commento di Rosa Fortunato al mio racconto "il telegramma", un regalo improvviso e inatteso, e forse anche per questo un po' speciale.
Ecco perché scelgo di pubblicarlo. Non serve dire altro, che c'è tutto qui sotto:

"Ciao Luigi, ho letto " Il telegramma" . Ormai per me Emma e Lisetta sono indimenticabili, sono di una soavità struggente. Nel leggerle ho rivisto le mie anziane zie, le ho riscoperte e rivalutate: i loro modi perbene e di una commovente dignità fatta di merlettini e decorosa pulizia. Leggendo, ho avvertito una struggente nostalgia per questo mondo d'altri tempi, fatto di gente con i piedi per terra ma nello stesso tempo sempre più evanescente. Sai che ho telefonato ad una delle zie per sentirla parlare e ascoltare con nuova attenzione quello che diceva e come lo diceva. Ma poi che hai fatto nello sviluppo? Ti avrei strozzato! Scherzo, nel contesto del racconto è stato comunque qualcosa di dolcissimo. Ma ora non puoi scrivere più niente con loro? "
Rosa Fortunato

La mia idea di scrittura



Mi hanno raccontato, ma un po' lo ricordo questo episodio, che a pochi anni di età mi persi dietro a un vecchio che vendeva palloncini sulla spiaggia. I miei non mi trovavano più e rimasero terrorizzati: io continuavo la lunga strada della riva, piccolissimo e con il naso puntato in alto, che si perdeva nel rosso dei palloni, e con il venditore che continuava ancora a gridare a squarciagola, senza neanche accorgersi di me che gli stavo da un bel po' alle calcagna. Mi ritrovarono, in fondo a tutto, disperati ma felici.
Da allora non ho mai più smesso.
l.s.

lunedì 29 giugno 2009

Il profilo

Trovo che l'animo di un artista puro, autentico, di uno che non cerchi le mode, i consensi, ma solo il gusto e la purezza della sua ricerca nella sua espressione, sia quello di continuare a ricaricarsi con quello che fa, comunque, anche se non gli accade assolutamente niente. Anche se non avrà mai modo di vagliare, di verificare, di rodare all'aperto i frutti caldi della sua fatica.
È in questa resistenza al vuoto che si delinea in pieno un profilo: nella sua assoluta imperturbabilità a tutto quello che non gli accade e che forse non gli accadrà mai.
l.s.

domenica 28 giugno 2009

La bandiera umana


"Che cosa c'è? Ti vedo pensieroso".
"Penso che sono sempre più insoddisfatto di quello che faccio e anche terribilmente insicuro".
"Spiegati meglio".
"Avevo deciso di dedicarmi ai romanzi: volevo scriverne di lunghissimi, di eleganti e coinvolgenti. Volevo cominciare a scrivere alle prime luci del mattino, con la finestra aperta e le tende bianche che mi sfioravano i polsi nel primo vento dal giardino e rimanere sommerso delle mie stesse parole fino a sera. Stavo trovando il mio canto, la mia espressione...".
"E allora?".
"E allora, non so perché ma quando cominciavo a lavorare ai miei interminabili romanzi, le mie letture erano attratte dalla poesia: nel tempo libero leggevo la poesia più pura, scorgendo la perfezione, la nitidezza delle parole, dei versi: quella luce marina, scremata da ogni tipo di impurità fisica. E allora ritornavo stremato alle mie pagine, con orrore e con sgomento e tutti i punti che rileggevo dopo le mie precedenti letture poetiche, erano diventati tutti sporchi, pesanti, untuosi, volgari".
"Continua, dai!".
"E allora decisi di scrivere poesie, ma mentre con i romanzi il tempo lo impiegavo e volava, con le mie poesie ne avevo troppo per recriminare qualche impurità, per ritornare e non riuscire più a liberarmi come avrei voluto ed essere imparziale, severo, autoritario. Ed è per questo che sono passato ai racconti: racconti brevi, lunghi, di tutti i tipi. Mi sembrava di aver raggiunto un buon equilibrio, forse era lì la mia voce, ma a tutti i premi dove li inviavo, non ricevevo che delusioni e brucianti sconfitte e così ritornavo indietro e passavo tra i vari generi, sobbalzando tra un impulso all'altro e accorgendomi di girare terribilmente a vuoto e senza un minimo di risultato".
"E adesso? Che cosa fai di preciso?".
"Suono la tromba: tutte le sere in un locale sotto casa. Ho concentrato tutto lì".
"E allora, perché dici di essere insoddisfatto?".
"Perché sono convinto che il trombone sia un'altra cosa e poi fa più scena, così maestoso, profondo, malinconico. È come un grande romanzo, il trombone".
"Perché non cambi, allora?".
"Troppo tardi. Il locale chiude e il gruppo si è sciolto e domani mi sposo".
"E la tromba?".
"Quella la venderò. Mi auguro di trovare almeno lì un po' di pace".
"Te lo auguro di cuore, ma... sai che non sapevo che tu ti sposassi?".
"Se è per questo nemmeno io".
"Buonanotte, allora e tanti auguri per tutto, amico mio".
"Buonanotte anche a te".
l.s.

sabato 27 giugno 2009

Curriculum vitae di Fabio Lubrano


Stamattina sento di segnalarvi questo racconto di Fabio Lubrano, giovane e interessante autore italiano. Il suo primo romanzo si chiama Malinverno ed è stato edito dalla casa editrice Zandegù, della giovane e intrapendente Marianna Martino.
Questo racconto dal nome Curriculum vitae, l'ho scoperto sulla rivista letteraria 'tina, di Matteo Bianchi, e sintetizza, con uno stile originale e curato ed un buon mordente, i passaggi e le varie fasi che l'autore ha vissuto negli approcci al labirintico paesaggio letterario ed editoriale, prima di approdare alla pubblicazione del suo romanzo.
È molto interessante e anche molto bello, che un autore si sveli e ci riveli delle sue vicissitudini e un po' della sua vita, facendolo con una semplicità così raffinata, e con un approccio diretto e sereno, e senza mai celebrarsi.
Curriculum vitae dalla rivista 'tina
Buona lettura.
l.s.

venerdì 26 giugno 2009

Fino alla fine



"In effetti bisogna trovare qualcosa di assolutamente originale".
"Tipo?".
"Qualcosa che lasci stecchiti, che renda tutto inevitabile".
"Troppo tortuoso. Le parole le puoi evitare subito, più di ogni altra cosa. È così semplice".
"Tu dici? Io non credo sai?".
"Per cui? Che cosa mi consigli allora?".
"Guarda, se vuoi essere veramente originale, comincia dal finale e poi torna indietro".
"Che cosa?".
"Inversione. Il libro che ritorna, che si arrotola dalla sua fine al suo inizio. Lo fai finire e poi alla fine cominciare".
"Ma che senso ha?".
"È sicuro che al finale ci arriveranno tutti. Su questo non avrai concorrenze, tanto è la fine quella che conta, no?".
"Sai che forse hai proprio ragione?".
"L'importante è che tu scelga un finale sensazionale".
"Adesso comincio subito".
"Adesso...finisci subito! Fai attenzione a non confonderti, però! Altrimenti sarai come tutti gli altri e non dimenticarti la parola fine".
"Dopo il primo capitolo?".
"Dopo l'ultimo, vuoi dire".
"Intendo in ordine di scrittura".
"Certo, in ordine di scrittura. Guarda, a questo punto, per essere proprio originali, ti consiglio... dopo il primo paragrafo, ecco!".
"Il primo ultimo paragrafo intendi?".
"Certo, quello con cui concluderesti e con il quale inizi".
"Ma come faranno a capire che quello non è un inizio?".
"Perché ci metti la parola fine, no?".
"E tu credi che una sola parola giustifichi un finale che inizia? Senza una preparazione, una tensione, un' attesa?".
"Ma tu pretendi troppo. Questi problemi te li stai facendo inutilmente, credimi. Comincia a finire e verrà tutto semplice".
"Ma dovrei scrivere comunque un inizio, almeno dentro di me, anche se gli altri non lo sanno, per creare un finale. Altrimenti da dove diavolo nascerebbe una fine?".
"Nasce dal nulla. Non trovo alcuna differenza tra un finale e un inizio, è tutta una questione di prospettive. Io le toglierei tutte queste etichette. I veri libri non hanno limiti, non hanno inizi, né finali. La struttura è libera, non hanno cieli né terra, sono sospesi e felici. I libri veri, intendo".
"E allora perché mi stai dicendo di cominciare con un finale? Perché non sarò mai in grado di scrivere un libro vero?".
"Io ti ho detto di finire e non di cominciare e poi parlavo in generale. Tu pensa al tuo lavoro e rimani lì dentro. Il resto si vedrà. Devi andare semplicemente incontro al tuo lettore: non farlo soffrire, né spazientire, e poi incoraggiarlo, accontentarlo, appagarlo, coccolarlo, stimolarlo, entusiasmarlo, e senza che lui faccia il minimo sforzo".
"Forse...è proprio così che si fa; ma quante cose però, e poi tutte insieme".
" Buon lavoro, allora, che adesso si è fatto tardi e io devo proprio andare".
"Grazie, grazie di tutto. Farò tesoro".
"E tieni duro, mi raccomando. Fino alla fine, se puoi".
"Forse è più corretto...fino all'inizio, se puoi".
"Ti devo un caffè. Stavolta hai ragione tu".
l.s.

giovedì 25 giugno 2009

Oggi pomeriggio


Oggi pomeriggio:
Per strada, una ragazza al telefono:
"Sono per strada, da sola".
Ma se sei al telefono non sei da sola e nemmeno per strada. Sei solo al telefono!
l.s.

Ancora verso l'alto con lapide


Un'ancora affonda nel suo cielo di mare.
In silenzio.
l.s.

mercoledì 24 giugno 2009

In tema con rimorso annesso

Rimango in tema:
trovo che il senso e la profondità di una vera passeggiata sia quello di non avere mai una meta precisa e predefinita. Di non sapere dove stai andando né quale sarà la tua prossima svolta, neanche pochi secondi prima del bivio. Penso che in una passeggiata solitaria prevalga il mistero di una rotta volontariamente smarrita. Questo naufragio di terra può essere molto balsamico, anche se dura solo una manciata di minuti. In qualsiasi luogo esso avvenga.
Anche quando tu scrivi...e cominci a perderti.

p.s. Questa mi fa rabbrividire. Troppo romantica, davvero troppo. Te la potevi risparmiare; non avevi niente di meglio da fare a quest'ora del pomeriggio? Era meglio soltanto la foto del post precedente, accidenti a me. In quella foto c'era davvero tutto. Nelle parole invece, sembra che più ne metti e più danneggi. Le parole a volte ungono più delle immagini. Le tue parole!".
l.s.

Schiarita del Cilento con uomo solo


La passeggiata.
l.s.

martedì 23 giugno 2009

XXVII dalle Conclusioni amorose del Tasso


"Ogni piacere amoroso esser accompagnato da dolore, né darsi ne gli amati alcuna pura e sincera allegrezza".
Torquato Tasso

lunedì 22 giugno 2009

Rimanendo in tema


Il taglio di Tatarkiewicz è accattivante.
Chiudo i piccoli post di oggi, rimanendo in tema con un ricordo, che forse è una caratteristica che mi ha accompagnato in più occasioni: in effetti non ricordo malinconia più profonda che sentirmi e mostrarmi felice più di qualcun altro. Soprattutto più di qualcun altro che mi osserva e che mi crede più felice di quanto io davvero non sia e che riesce a gioire lo stesso della mia presunta felicità.
L'ho buttata giù così, ma è tremendamente vera.
A volte provo vergogna a esternare certi affari così complessi. La felicità non condivisibile sa poco di umano, ma molto spesso lo si dimentica e la si vive come una questione privata, solitaria, come un primato da raggiungere o un tenebroso affare di cuore.
La tristezza o la tendenza ad esternarla, di solito, pare parecchio più docile ed elegante e mi crea molto meno imbarazzo. Forse per il fatto che può sembrare più facilmente condivisibile e che si comporta in modo più prevedibile e meno selvatico.
È molto probabile che siano entrambe preziose, e allo stesso modo, alla nostra piccola e misteriosa economia emotiva.
Per stanotte passo e chiudo.
l.s.

A proposito di felicità



"Una delle ragioni per cui la gente non è felice è il fatto che si immagina di non poterlo essere".
Epicuro


"Ringrazio Dio di essere viva".
Katherine Mansfield

Analisi della felicità di Tatarkiewicz


Dall'Introduzione al testo:
"Un libro completo sulla felicità non è mai stato pubblicato e questo è, in un certo senso, incredibile, se consideriamo la quantità di libri che sono stati scritti su argomenti umanamente meno importanti.
Questo è il vuoto che vorrei far riempire al mio libro".

Wladislaw Tatarkiewicz
p.s.
"La maggior parte di questo libro è stata scritta durante la guerra tra il 1939 e il 1943...
...pensiamo più alla felicità quando siamo infelici che quando siamo felici".
W.T.

domenica 21 giugno 2009

Ultimi respiri di un solstizio


Il solstizio di questo 21 giugno, è arrivato con sferzate di tuoni minacciose, dal piglio deciso, invernale. Tuoni neri come mille mastini, che hanno svegliato palazzi, contrade, quartieri, pollai, ingoiandosi la luce come un boccone.
Muore nel silenzio di una domenica. Senza respiri né clamori.
l.s.

Senza parole




Immaginando: risvegliarsi in un mattino qualunque senza una parola. Un pensiero, un' immagine da poter tradurre e codificare. Neanche una lettera in testa. Alzarsi e toccare con mano il vuoto improvviso e raggelante di questa nuova condizione: trovarlo sugli oggetti che non riesci più a nominarti, anche i più familiari, le persone che ami che hanno perso i loro nomi, perché anche quelli sono fatti delle stesse lettere che hai perduto, come le telefonate mute, la posta, che diventa incomprensibile, il nome di città del tuo taxi o quella solita insegna gialla del tuo bar del mattino.
E la tua voce che c'è ma che diventa inutile.
Continuare per ore, per giorni, a non conoscere il mondo delle lettere, come se fosse scomparso o forse mai esistito nella tua vita, perché nemmeno ricordi di averlo mai incontrato.
Questo vuoto ti soffoca e comincia a schiaccarti, togliendoti l'aria, lo spessore, l'intensità del tuo vissuto, quando d'incanto...tu cominci a scrivere.
l.s.

Strategia del manoscritto fatale




"Allora, mi dica qualcosa, la prego!".
"Ebbene, mi ha staccato il fiato dalla gola. Dal primo rigo. Una cosa mai successa, mi creda".
"Lei sta scherzando?".
"Assolutamente no. Perché dovrei scherzare?".
"Quindi?".
"Cè solo un problema, che chiaramente non è dipeso da me come vedrà".
"Mi dica".
"Non sono riuscito a superare il secondo rigo. Questioni di ossigeno. Penso che mi può capire, vero?".
"Forse...è anche probabile. Ma almeno è una cosa buona?".
"Scherza? È una cosa ottima e anche molto ma molto rara. Può andarne orgoglioso, si fidi!".
"Dice che è una cosa...rara?".
"È molto rara. Vada pure a gioirne, non voglio rubarle altro tempo prezioso e, aspetti dove va? Questo è suo. Che fa, si dimentica un manoscritto così?".
"Così come?".
"Così...come dire: potenzialmente fatale".
l.s.

XXX dalle Conclusioni amorose del Tasso


"L'imaginazione delle felicità passate all'amante che sia in miseria non giunger dolore, ma recar diletto".
Torquato Tasso

sabato 20 giugno 2009

Post scriptum


"Cosa ha detto il signor Wren? Parola è solitudine".
Tropic of cancer

Pomeriggio e squarcio di silenzio


Pomeriggio di insolito e accattivante silenzio. L'ideale per sprofondare nel sonno, per guardare un film o per buttare giù qualcosa. Mi accorgo di quanto ci condizionino i suoni: è soprattutto in loro assenza che senti di esprimerti. Adesso sento un gruppo di uccelli, o forse soltanto due che hanno infranto la pace. La loro espressione mi sconfigge per quanto sia perfetta, armonica, superiore. È un altro tipo di pace, legata alla sonorità.
Allora forse posso smettere. Dovrei aspettare il prossimo squarcio, o imparare a inventarmelo da solo.
Sarebbe un'idea.
l.s.

Considerazioni sui Tropici



Ho ripreso i due Tropici milleriani. Per la terza volta, credo, nella mia vita, mi immergo nel golfo delle grandi luminescenze, nel vascello, nel castello incantato dalle torri fiammanti. E ogni volta che ci ricado è come se quel libro non lo avessi mai letto: "Abito a villa Borghese..." e da lì scorre, scorre, in un flusso incostante e profondamente liberatorio come la vita e la profonda verità dei libri che ritrovi e che puoi abitare, distruggere, inventare, interpretare, mordere, con la temperatura del sangue che ti ritrovi in quel momento e senza provare mai noia e senza mai resistergli. Almeno ieri sera, le prime pagine del Tropico del Cancro mi sono sembrate tese e freschissime come non mai. Nitide e perfettamente agibili a ogni variazione sismica di tempi e dimenticanze.
Come forse dovrebbero essere tutte le vere grandi pagine.
l.s.

venerdì 19 giugno 2009

Attese diverse


Eppure, in buona parte dei casi, trovo che più che aspettarsi molto dagli esiti della scrittura, sia più onesto e soprattutto più pratico, aspettare molto prima di occuparsene.

p.s.
Eppure, in buona parte dei casi, trovo che più che aspettare molto prima di occuparsene, sia più onesto e soprattutto più pratico, aspettarsi molto dagli esiti della propria scrittura.

p.s.
Eppure, in buona parte dei casi, trovo che più che aspettare molto prima di occuparsi di scrittura o ancora aspettarsi molto o troppo dalla stessa, sia molto più logico, onesto e soprattutto più pratico, scrivere con la più grande pazienza e passione che un essere umano possa contenere, ma senza aspettarsi assolutamente niente.
Adesso ho finito.
l.s.

Percentuali e prime impressioni

Se dovessi stilare una percentuale delle cose interessanti e di quelle da buttare, dopo una seduta quotidiana di scrittura, potrei grosso modo ritenere davvero riuscito il 2, 3% del mio lavoro. Il resto molto probabilmente lo rivedrò, lo ridimensionerò, lo casserò. Ma quel 2, 3% sono certo fin da ora che non lo terrò e non lo utilizzerò mai! Di solito lì non ci sono io, ma quello che vorrei essere. Le cose che sembrano nitide, funzionali, organizzate, che sembrano incoraggiare e non allontanare, non creare sforzo, dinamiche, tensioni ma solo facilità, molto ma molto spesso sono frutto della volontà di puntare un obiettivo, di accontentare qualcuno, di farsi notare e quindi di prenderlo in giro diventando o cercando di diventare altro, più preciso e più falsario di quello che davvero sei.
Io invece scrivo per prendere qualcuno alla gola e non in giro, semmai con il manico di un ombrello o con il guanto di un bacio notturno e improvviso, di un'emozione. Anche per una frazione di secondo qualcosa del genere dovrebbe avvenire. Altrimenti è meglio impiegare diversamente il proprio tempo. Meglio nessun lettore che lettori tiepidi, accondiscendenti, avvolti negli sbadigli.
O sarà così o altrimenti non ha alcun senso.
Costi quel che costi!
l.s.

giovedì 18 giugno 2009

Scrittura e solitudine


Trovo la scrittura un affare meravigliosamente solitario.
Lo sento come il passaggio notturno in una strada che cambia, tra la pioggia, la nebbia, l'insicurezza della sua uscita, dove incontri un amico dopo anni. Uno che in fondo non hai mai perduto e che ti apre l'ombrello.
Non trovo altro spazio per orizzonti diversi da tutto questo. Che le parole che scrivo debbano trovare una direzione o meno, una sorta di senso o di approdo legittimato da criteri e da standard superiori, questo non le priverà della bellezza notturna del loro percorso solitario senza meta, che in ogni caso qualcosa mi avrà lasciato lo stesso. E che io sento comunque di difendere, una volta che decido di lanciarle. Nonostante.
Ciò che può accadere a uno scritto, non andrebbe mai troppo ricercato, forzato. Potrebbe sembrare un controsenso per uno che scrive tutti i giorni, ma molto spesso le stesse parole seguono percorsi impercrustabili e profondi, che sfuggono inizialmente agli stessi scrittori. Non trovo niente di male nel dimenticarsi completamente di loro. L'importante è allacciargli almeno le scarpe, prima di lasciarle andare con le proprie gambe. Se qualcosa dovesse avvenire, questo qualcosa dovrebbe coniugarsi in un percorso molto più ampio, dove il tuo burattino possa rincontrarti nella bocca di uno stesso pesce, forse oggi pomeriggio o forse mai più.
l.s.

Da "Il codice dell'anima" di Hillmann






"L'attività immaginativa esige attenzione assoluta".


mercoledì 17 giugno 2009

Les ètrennes des orphelins

L'impatto con il primo testo par les poèsies di Rimbaud, nella pregevolissima edizione dei Meridiani curata da Diana Grange Fiori, mi rivela diverse importanti sfumature, a mio parere essenziali per il tentativo di acclimatarsi con il respiro e con i tempi più ostici dell'opera nel suo insieme, ancora oggi così singolare e in diversi punti più avanzati ancora meravigliosamente impenetrabile.
Il quadro sinottico del testo originale de "Les ètrennes des orphelins", rimane ostinatamente disteso nei fruscii degli ambienti e in quelli più profondi della solitudine disperata, quando saltano agli occhi i magnifici rintocchi: e quell'impercettibile chuchotement del secondo verso, letteralmente il sussurro. In questo punto mi sono soffermato a rileggere e a confrontare i due termini e a percepire la continuità del sibilo italiano con la diversa dolcezza quasi baciata del corrispettivo francese, e ancora i movimenti delle tende nel vento, che sembrano rappresentare un leitmotiv sotteso, costante: ...sous le long rideau blanc qui tremble, dove si realizza un effetto mirabilmente fotografico dello spostamento e insieme del nitore di una sonorità spettrale che si propaga, con l'ampiezza di un volo funebre di avvoltoio, sui punti successivi e soffocanti di quella stessa insolita bellezza e del vuoto fisico e tangibile della morte; e ancora effetti morbidi, avvolgenti tra l'ambiente interno e l'esterno: la bise hivernale, le tourbilloner, un bruit lontan, un lointain murmure...Sans clefs! Nella mirabile sapienza di un gioco estetico a tratti raggelante di angoscia e di grandissimi effetti visivi, Rimbaud lavora con lo stelo tremante e sensuale delle situazioni più distillate e rarefatte per oscillarsi al polso l'ampolla del suo liquore.
Le strenne degli orfani, lo stesso titolo che schiude in un paesaggio di ombra invasiva e già perenne, dal suo primo nobile ingresso dell'attacco: la chambre est pleine d'ombre...
Terribilmente incantevole.
l.s.

martedì 16 giugno 2009

Lettera fantastica a un editore immaginario...


Gentile amico e probabile piroscafo futuro per le mie inutili parole,
solo qualche rigo, cercando di potenziare le spianate più barocche e lucenti del mio stile, appena prima di affidarle i loro polsi d' inchiostro e d'argento. Sì, mio caro amico, perché il mio è comunque un atto di fiducia, e lo faccio con un grande e sontuoso distacco, mi creda. Le cose importanti sono ben altre nella vita, ma tentare questa strada mi sembrerebbe comunque giusto, forse doveroso, tanto meno per le ore di sonno e anche di buona luce solare perduta per affastellare alla meglio tutto questo ciarpame.
Dunque, io trovo importante il porsi con grande onestà ma anche con un certo coraggio di fronte ad un manoscritto ricevuto e ai grandi rischi che comporti l'impegno di una sua valutazione organica e corretta. Valutare e appurare se dietro lo scrittore ci sia prima di tutto un vero, grande lettore. Uno che non legge perché deve scrivere, ma perché non può fare a meno di leggere, perché l'amore per la parola scritta è la sua natura e gli è indispensabile più di ogni altra cosa al mondo, come un'ossessione, un pensiero fisso che non gli dà tregua. Affinarsi al fiuto di questa fondamentale valutazione, e poi nel caso sgrossare.
Cercare di scoprire il manoscritto in tempi diversi, rispettarne e sondarne i vizi, le buone e le cattive inclinazioni, la tenuta dei tramezzi e dell'intonaco, la necessità di intervenire con l'allestimento di ponteggi appropriati, senza disperare un crollo al primo cedimento e cestinare di furia. Avere occhio per quelle piccole improbabili virtù della sua struttura, che molto spesso possono essere potenziate e fare la differenza; sviluppare sensitività e acume per l'orrore dei suoi vuoti d'aria e per i picchi di amianto e di mercurio dei suoi paragrafi meglio riusciti e fiammanti, che il più delle volte richiedono intere distese di sacrifici e di incoerenze precedenti per vedere appena la luce e poi appena dilatarsi e ritornare più opachi. Scorgere quindi e giustificare quando possibile anche questi principi, spesso anche legittimi, di compensazione e di economia di una costruzione letteraria, che potrebbero risultare funzionali alla schiusa di una buona fioccata di ispirazione, che di solito non arriva mai senza sporcare qualcosa, come anche dai migliori stormi, anche i più lucenti e romantici, ci si può aspettare ogni tanto qualche schizzo imprevisto.
Scovarne quindi il flusso più terso e gitano del suo cantabile quanto la grana secca e viscosa del suo involuto, dei suoi azzardi, del suo senso del pericolo e dei suoi lanci nel vuoto, e cercare possibilmente di leggerlo in luoghi e in stagioni diverse, con effetti di luce e di vento che siano sempre più vari e contrastanti per fiutarne la stoccata inconfondibile del moschetto di un talento robusto, tanto più selvatico e naturale, quanto, purtroppo, più scomodo e poco funzionale per certe regole del gioco: leggerlo su di una terrazza di aperitivi, che tagli a sangue i cieli bassi e sfiniti delle campagne al tramonto, o nel tragitto più roboante e violento di una metro, che incontri una galleria nell'ora di punta di un mattino feriale. Cercare di entrarci con la punta del cuore, se non chiedo troppo, per avvertirne meglio quel soffio sottile e metodista di un canto flebile di organetto dei pini, contro le ridondanze tuonanti e manieriste di uno stile fin troppo appariscente e tecnicamente impreciso, anche se ben congegnato e promettente per l'appettito di quei mercati raffinati ed esigenti e ancora in buona salute. Trovo importante sentirsi comunque dolcemente responsabile, qualsiasi sia il proprio ruolo all'interno del processo di valutazione, e farlo a mente fresca e mai troppo meccanicamente, cercando di convincersi che quelle sue presunte oscurità molto spesso non sono sempre variazioni polimorfiche letali, ma forse anche le tracce più pure del suo daimon e anche la sua unica possibilità di essere una voce appena più originale e non un clone masticato di qualcos'altro, sentito nell'aria o ingurgitato a brani freddi nella sala d'attesa di un aeroporto, per affinarsi alla strategia mirata di un bersaglio certo e più facile da centrare.
A questo punto, se dopo questi procedimenti, il lavoro non dovesse cantare e risuonarle ancora dentro, nel tempo, allora lo può anche bruciare o usarlo come fondo per gabbie di uccelli. Una sola e ultima cortesia: in quest'ultima opzione, lasciare alle cloache dei volatili la parte bianca del foglio, quella dove non si vede l'inchiostro. Le parole in quei casi possono far molto male. Possono essere tossiche anche per gli animali, oltre che per gli uomini.
Grazie della cortesissima attenzione,
Mario Rossi.

l.s.

La lettura



La lettura è il segnale di una ricerca oceanica e sconfinata, che forse non avrà superfici calcolabili di estensione né fondali finiti. Penso che i grandi lettori abbiano l'eleganza sfilante di un buon tuffatore-apneista, che si apre i polmoni con le parole, con la loro bellezza, la loro profondità, e riesce a resistere sempre più a lungo in una dimensione diversa e invisibile, ma potentemente concreta e nutriente per tutti gli aspetti di una sua crescita organica e reale.
Non conta a volte quello che si legge: ogni lettore può trovare informazioni preziose in autori diversi, lontani per stili, per epoche, per genere. Conta la sete e la fame di perdersi nelle parole degli altri, che sono un ponte prezioso con quello che conosciamo e quello che ancora ci sfugge e che, per nostra fortuna, ancora ci sfuggirà...
l.s.

lunedì 15 giugno 2009

Essere artisti da R.M. Rjlke


"Qui non serve misurare il tempo, a nulla vale un anno, e dieci anni son nulla. Essere artisti significa: non calcolare o contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e fiducioso sta nelle tempeste di primavera, senza l'ansia che dopo possa non giungere l'estate".
Rajner Maria Rjlke, da Lettere a un giovane poeta.

domenica 14 giugno 2009

Prospettive


"Per cambiare il modo di vedere le cose, bisogna innamorarsi. Allora la stessa cosa sembra del tutto diversa. Al pari dell'Amore...".
James Hillman

sabato 13 giugno 2009

Tre squarci di un borgo del basso Lazio

Castellone: meta dei miei pensieri, a volte solitari.
Nutriente inquietudine di pietra e pan di zucchero all'impasto delle arcate.
La ripropongo nei suoi colori, da scatti imperfetti e assonnati del mese scorso.





l.s.

Da "Il soccombente" di Bernhard


Ho finito di leggere il soccombente di Thomas Bernhard giusto stamattina. Parlarne in un post è un progetto impossibile. Posso soltanto dire di leggerlo, di imparare ad amarlo per le sue profonde e mirabili vedute sul mistero umano.
Questo libro mi è suonato diverso e un po' speciale, perché lo avevo da anni e solo tre giorni fa ho scelto di aprirlo. L'ho fatto senza un motivo, all'improvviso.

"Ciò che lo affascinava erano gli esseri umani nella loro infelicità, non lo attraevano le persone in sé, ma la loro infelicità, e l' infelicità la coglieva dovunque ci fossero delle persone, pensai, era avido di persone perché era avido di infelicità".
Thomas Bernhard

venerdì 12 giugno 2009

Adesso tocca all'avarizia


Questo mese tocca all'avarizia. Sto parlando sempre dell'appuntamento con i sette vizi capitali della Casa Editrice Giulio Perrone. Trovo che sia molto utile accogliere queste piccole sfide narrative a tema, soprattutto per il limite di caratteri a cui attenersi (parlo soprattutto dei racconti brevi). È un buon esercizio di abilità e anche l'occasione per affinarsi e confrontarsi con altre sensibilità su temi comuni.
Ecco il bando ufficiale:
INSTANT-ANTHOLOGY
VIZI CAPITALI - L'AVARIZIA
Un avaro aveva liquidato tutto il suo patrimonio e l’aveva convertito in una verga d’oro; poi l’aveva sotterrato in un certo luogo, sotterrandoci insieme la sua vita e il suo cuore, e tutti i giorni andava a farci un’ispezione. Un operaio lo tenne d’occhio, subodorando la verità, andò a scavare e si portò via la verga. Dopo un po’ arrivò anche l’avaro e, trovando la sua buca vuota, cominciò a piangere e a strapparsi i capelli. Ma un tale, che l’aveva visto lamentarsi così dolorosamente, quando ne seppe la ragione, gli disse: “Non disperarti così, mio caro; tanto, oro non ne avevi nemmeno quando lo possedevi. Prendi una pietra, mettila al suo posto, e immagina d’avere il tuo oro: ti farà lo stesso servizio; perché vedo bene che, anche quando il tuo oro era là, tu non ne facevi nulla”.

La favola mostra che nulla vale possedere una cosa senza goderla.
Questa è l'avarizia secondo Esopo: un peccato che preclude il pieno godimento di ciò che si possiede; un vizio che nasconde il reale valore delle cose. Vi è mai capitato di voler tenere tutto per voi? E non solo denaro o oggetti, ma anche conquiste, risorse – sentimenti? (Per poi scoprire, magari, che quel tutto in realtà era poca cosa, e che in fondo non valeva più nulla.) Raccontateci la vostra versione dell'avarizia, il sesto della serie “Vizi capitali” delle *istant-anthology* Perrone.


Per partecipare è sufficiente inviare un racconto di massimo 3 cartelle (ogni cartella 1800 caratteri) oppure da 1 a 3 poesie (massimo 36 versi) in un unico file word che contenga anche tutti i propri dati personali (nome, cognome, indirizzo, telefono, email) a antologie@perronelab.it entro e non oltre il 30 giugno 2009.
Gli autori selezionati verranno inseriti in un volume antologico in uscita a maggio e verranno avvertiti mezzo email. Partecipando alla selezione si dichiara di essere gli unici autori delle opere inviate e si dà autorizzazione automatica alla pubblicazione gratuita in antologia dei testi selezionati dal comitato di lettura.

giovedì 11 giugno 2009

Poesia nel gioco


"L'occupazione preferita e più intensa del bambino è il giuoco. Forse si può dire che ogni bambino impegnato nel giuoco si comporta come un poeta: in quanto si costruisce un suo proprio mondo o , meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del mondo".
Sigmund Freud

mercoledì 10 giugno 2009

Ancora Auster


A volte è sorprendente come alcuni passaggi di un testo ti svelino sensazioni e piccole percezioni che semmai tenevi incastrate dentro, senza ancora dargli una forma definita. Ma erano comunque già vive. È il caso di questo breve passaggio da "Il libro della memoria (L'invenzione della solitudine), di Auster:
"...nessuna parola può venire scritta senza prima essere stata vista, e prima di trovare la strada fino alla pagina dev'essere stata parte del corpo, una presenza fisica con cui si è vissuti...".
e ancora: "Ciascun libro è un'immagine di solitudine...
".

martedì 9 giugno 2009

Un editore e un editor


Sono sempre più convinto che alcuni termini si intreccino e si depositino come sedimenti negli automatismi di un certo pensare di letteratura, di buona cultura, e spesso si corre il rischio di allontanarsi dal nucleo centrale che li rianima e li giustifica in un certo contesto di discussione.
È il caso del concetto di editore. Il termine ha origini latine e nella sua accezione più comune si riferisce a colui che dà fuori, che pubblica (Garzanti). Nell'evoluzione e nella storia del termine, si possono distinguere principalmente due grossi canali per identificarne il ruolo e il senso nei confronti di un'opera nella quale la sua figura entri in ballo: l'elemento puramente imprenditoriale, relativo alla possibilità di stampare, ottimizzare, selezionare e diffondere un testo, articolando quindi tutta una serie di meccanismi e di processi che porteranno il tipo di lavoro selezionato a diventare un oggetto di vendita, con un determinato marchio che spesso ne giustifichi inclinazioni, orientamenti, o che addrittura consideri ogni avventura editoriale, come pregiato e insostituibile tassello di un unico discorso organico e più ampio da espandere (vedi Adelphi).
Poi vi è un'interpretazione dello stesso termine che si rifà alla figura di uno studioso, di qualcuno che abbia un tale gusto di fruire e di gustare di un certo ramo dell'espressività umana, da diventarne filtro verso il mondo esterno, fucina, piccolo-grande ponte verso la sua cura e la sua distillazione, con tutti gli apparati e i ruoli della sua società, fino a favorirne la massima divulgazione possibile in relazione a una serie di standard che codificheranno lungo il percorso la migliore direzione della freccia da scoccare, la forma ottimale della punta, la quantità di buona tenuta alle sferzate dei venti e la sua buona flessibilità. In alcuni casi si può intendere il concetto di cura di un testo, come quell' approfondimento del suo impianto filologico in un'edizione critica, ma in questo caso mi sembrerebbe di allontanarmi troppo dalla piccola idea di fondo che vorrei esprimere. In effetti io penso che per chi si occupi di scrittura, conti molto un incontro con un personaggio dell'editoria, grande o piccola che sia, che intersechi nel suo approccio al testo e al suo lavoro, quei due punti sopraccitati, quello del buon imprenditore e quello dello studioso appassionato e vorace di buone idee originali, nuove e commestibili da lanciare su di un determinato mercato.
Penso che il senso del vedere un proprio lavoro pubblicato, sia legato soprattutto ad accettare il rischio di misurarne adeguatamente i confini, la magia, le oscurità, la feccia e la cantabilità con un'altra sensibilità e dimensione umana, e spesso accettando anche il confronto o una dissonanza con un'idea e una nuova percezione del tutto opposte sulla bellezza di una frase o sul ritmo di un paragrafo, sui tempi, sullo stile, sui dialoghi. A volte questo incontro potrebbe completamente devastare i parametri prefissati in precedenza dall'autore, in altri può addirittura diventarne parte viva nell'economia e nella coesione generale del suo impianto, dei suoi contenuti e del suo destino, motore vorace e mutante dello stesso tessuto creativo.
Io trovo utile che un testo veda la luce solo se vi sia una sorta di piccola folgorazione da parte di chi decide di dargli la fiducia che merita, e che uno scrittore debba cercare possibilmente di lavorare e di maturare perché quest'incontro avvenga nel modo più naturale e meno forzato possibile, con tutte le problematiche e le sorprese che una qualsiasi relazione umana può riservare a chiunque. La figura responsabile del lavoro approfondito sulle sorti di un opera letteraria, sulla scelta dei tagli, sulle modifiche alla struttura narrativa, sul contenimento di eccessive ridondanze, sull'abilità di inviduare l'insidia di vezzi, ripetizioni o anche piccoli vizi di maniera, è quella piuttosto delicata e complessa dell'editor. Il suo ruolo si differenzia quindi per una specificità di approccio meno legato all'elemento puramente imprenditoriale, ma come studio e analisi accurata di tutti i pregi e i difetti del lavoro in oggetto. Un tipo di angolazione diversa rispetto al prodotto, semmai più ispirata, anche se di fronte alla sorte di un libro ci si debba accostare sempre con tutti e cinque i sensi, qualsiasi sia il proprio ruolo operativo all'interno del gruppo.
Mi piace citare, in conclusione di questa mia piccola considerazione, una bellissima immagine di Claire DeLannoy, con cui apre un suo libro dicendo: "La parte dell'angelo, la parte dell'ombra, quella della levatrice che aiuta a nascere, ecco come definisco il mestiere di editor".
È tutto.
l.s.

Anatomia di un metodo


"Lo stesso giorno, più tardi, scrive ininterrottamente per tre o quattro ore. Poi rilegge lo scritto, e trova interessante un solo paragrafo. Pur non sapendo bene cosa farne, decide di conservarlo, e lo ricopia su un taccuino a righe".
Paul Auster.

lunedì 8 giugno 2009

L'accidia


Il vizio capitale dell'accidia, nella nuova raccolta antologica di Giulio Perrone Editore.
All'interno il mio racconto Appunti da un diario parigino.
l.s.

Presentazione romanzo "Facciamo finta che sia per sempre" di Ilaria Giannini



Tanto di cappello alla scelta profonda e misteriosa di questa copertina. Il romanzo in questione è di Ilaria Giannini, e sarà presentato Giovedì 11 giugno alle ore 19, a Firenze presso la Libreria Café Meykadeh.
Segue l'annuncio ufficiale della casa editrice Intermezzi e la breve presentazione dell'autrice e della sua opera:


Cari amici,

siete tutti invitati alla presentazione del romanzo di Ilaria Giannini: Facciamo finta che sia per sempre.
L'appuntamento è per Giovedì 11 giugno alle ore 19, a Firenze presso la Libreria Café Meykadeh in Via dei Pepi, 14/r.
Con l'autrice interverrà lo scrittore Vanni Santoni, autore dei Personaggi precari e degli Interessi in comune (Feltrinelli).

Vi aspettiamo!
ILARIA GIANNINI
Facciamo finta che sia per sempre
Intermezzi, 2009
120 p. 8,90 Euro

Il libro:
Nicole è ossessionata dal proprio passato. Martina è innamorata di un’amica. Stefano è uno psicologo affetto da manie di grandezza. Paolo è morto in uno strano incidente stradale.
Quattro grandi amori, quattro solitudini che cercano disperatamente di farsi compagnia. Quattro anime che si sfiorano senza incontrarsi davvero, nella malinconica bellezza dell’entroterra della Versilia, alla ricerca di qualcosa che dia un senso alle loro vite.
Nicole ha trent’anni, insegna storia al liceo classico di Pisa e non ha mai dimenticato il suo primo amore, scomparso tragicamente. Martina studia all’università ed è innamorata di Nicole. Stefano è lo psicologo di Martina e si serve della sua paziente per rivedere Nicole, con cui aveva vissuto una storia intensa a vent’anni. Paolo è il primo amore di Nicole, morto in un incidente stradale che “assomigliava troppo ad un suicidio per farsene una ragione”.
Le loro storie si intrecciano lungo dieci anni di vita. Dalla Versilia a Pisa, dal Lago di Massaciuccoli a Lucca il romanzo ci conduce in angoli sperduti, fatti di natura, acqua e silenzio.
Le loro voci ci raccontano in prima persona l’amore, la passione, il rimpianto, le incomprensioni in un gioco crudele da cui nessuno esce vincitore.
Ad unirli tutti è Nicole, prima adolescente, poi ragazza, infine donna. Nicole è egoista perché fragile, sfuggente perché ferita. Nicole è sola con il ricordo di una felicità svanita troppo presto, prigioniera della sua devozione al mito del vero amore.

L'autrice:
Ilaria Giannini, nata nel 1982 a Pietrasanta (Lucca), vive e lavora a Firenze come giornalista al portale della Regione Toscana Intoscana.it. Ha pubblicato racconti nelle antologie di Edizioni ETS, Giulio Perrone Editore e Las Vegas Edizioni. Raccoglie poesie e racconti brevi nel blog www.traccenellarete.splinder.com. Questo è il suo primo romanzo.

domenica 7 giugno 2009

Zandegù dai visi veloci



Sgancio un post a un tiro di schioppo dal precedente, in ragioni di tempo e non spaziali.
L'articolo che segnalo è da Urban, che illustra la realtà della casa editrice Zandegù con un simpatico contributo, corredato di una bellissima foto che ritrae questi ragazzi allineati e così vicini, probabilmente da un balcone, che guardano l'obiettivo con un loro tempo espressivo molto singolare, profondo e ispirato nello sguardo, forse nemmeno così voluto, ma che ho sentito così leggero e veloce da raggiungermi e catturarmi subito, come se attraversato in un solo colpo di moschetto dalla bellezza del vento delle loro idee.
Non lo so il perché, sarà una mia sensazione o un avanzo da piccole virate di buona sensitività, ma vi suggerisco di soffermarvi come ho fatto io sull'articolo e anche sulla strana velocità incontrollata di quei visi che lo precedono, e che portano un po' a sperare nel respiro e nella forza che viene fuori da chi lavora in un certo modo con le parole e con l'azzardo sfilante e delfino del surreale, senza rete e senza paure.
Penso che faccia davvero bene.
Il link: Surreale quotidiano
l.s.

L'inizio del pomeriggio


Esistono momenti di tempo sospeso, quelli dove muta la luce e il pensiero ti visita, come la sorpresa di un amico o lo sbuffo di vento dal fondo cupo di un vicolo. Come la Salerno antica e marittima di ieri sera e la calma di una passeggiata calda tra amici, per inoltrarsi nel corso e salire fino al Duomo e poi ancora una lieve discesa e la direzione del porto, schiarito a neve da uno schiaffo pieno di luna nel buio.
Ho trovato anche i Dialoghi del Tasso curati da Ettore Mazzali e a un prezzo stracciato, su quello stesso lungomare, quando c'era ancora la luce naturale e le persone, poche, ancora in costume. Peccato: solo il secondo tomo, ma l'edizione Einaudi era di certo molto affidabile. Perla degli anni Settanta, corredata da note approfondite per ogni pagina relativa al testo originale. E a quest'ora di oggi, che si prepara alla pioggia come una donna alla sera, rivivo il riflesso del pensiero e del pericolo del mio scrivere, a volte avvertito come un brutto castigo, o come quella strana castità implosa, che ti conduce ad esplodere troppo e in una volta sola nell' incoerenza marcia dei tuoi inutili vuoti meccanici. E se fosse tutto inutile, insensato, grottesco? Forse troverebbe un senso, definito, assoluto o mutante che sia.
Gorgheggio roco e concluso.
Cedo.
E ancora penso a Paul Auster, lucido e austero, che sembra aver centrato la violenza stessa del tema, senza cedere o tentennare:
"Comprendo che è impossibile entrare nella solitudine altrui. Seppure possiamo arrivare a conoscere molto parzialmente un altro essere umano, questo vale solo entro i limiti da lui stesso imposti".
A volte sono tentato di ritagliare e serbarmi ossessivamente i richiami più profondi in cui mi imbatto nell'attacco giusto di un testo, che a volte diventa una dolce sferzata di aliseo, in altre la stoccata piena di un sinistro, quando penso che vorrei scrivere soltanto di questo, e farmi trafiggere dal concetto di impenetrabilità dell'altro e continuare a cercare il punto dove abbia origine il tutto e poi stanarlo e guardarlo negli occhi, come una preda bianca e selvatica che ti scalcia di calore nei palmi aperti alla mascella. Ma alcuni personaggi, nei miei tentativi faticati di esplorazione, hanno già qualche lieve punto in comune tra loro. Forse è un piccolo inizio. Spesso avverto che cominciano a cercarsi, come per chiedermi di scambiarsi il numero e continuare a intrecciarsi in storie nuove, ancora insondabili e forse mai nate.
Adesso è arrivato un tuono. Esatto, impeccabile nella cortina opaca che le nubi mi ritraggono a dispetto, dalla finestra chiusa.
Penso ancora alla profondità dell'amicizia e a quanto valore abbia una buona compagnia sui confini e sulle luci dei luoghi. Penso che ci scriverò un racconto.
È solo l'inizio del pomeriggio...
l.s.

venerdì 5 giugno 2009

Mattino di nature diverse e piccoli miracoli


Un altro sorprendente e insolito attracco di prora nel clima di un liceo così raro, che adesso chiude le tende del suo anno, come davanti ai tifoni o ai grandi marosi cubani, nei sorrisi delle emozioni e nelle tinte velate di abiti corti e di sorrisi rallentati dalla musica forte, come quel sole di lucertole delle 9.15, sui muretti di fronte al liceo Brunelleschi di via Firenze, poco prima di entrare. La giornata è immersa in un clima sospeso di celebrazione e bilancio, tra i balconi gonfi di gomiti e canzoni a fronteggiarsi in un agone di gioia e di piccoli equilibrismi sonori, che impennano alla profondità degli sguardi più smarriti e smaniosi, nella trappola del fiato grosso dei quattordici anni, che arriva allo stomaco e scalcia come un cavallo e peggio di un neonato e il vento dei ragazzi negli occhi e le loro ansie che svettano di gioia e di paura, come pennoni di antichi velieri spettrali e romantici...
Dentro quella cesta di paglia e di emozioni, raggiungo con calma la sala professori, con Daniela Fariello che mi fa strada con la destrezza di un grande ammiraglio e che mi ha aperto le porte a quella piccola lampada di Aladino, dove ho strofinato e ho trovato il miracolo di qualche piccolo grande lettore che mi rimarrà nell'animo per quanto abbia accolto la fragilità delle mie parole e per quanto abbia sopportato la follia dei miei esperimenti letterari; e ancora gli ultimi accorgimenti della classe docente prima di tirare le somme, dentro gli schermi ancora neri dei monitor, che sembrano scrutare la dolcezza di un lavoro così bello e pericoloso, che a volte somiglia a quello del pompiere, quando guardo Daniela che svetta fiammate calde di stanchezza o quando si scioglie in un getto azzurro di grande tenerezza nello sguardo basso di un'allieva che ne spegne la fatica dell'anno negli occhi, e il buon clima dei suoi colleghi, come il valido e simpaticissimo Pasquale Terrecuso, che ci accompagna nel nostro piccolo incontro con i ragazzi, e poi incontrare di colpo la I L, che si lascia la musica di spalle come si lascia il mare di una vacanza, per salutarmi e per parlare di storie come di starnuti e del rapinatore dal bacio facile, e poi rivederli così uniti negli stessi sorrisi della prima volta, con quel silenzio di timidezza che suona ancora più forte, come vino novello e schiumoso che preme nelle botti di una risata disperata e di imbarazzo, e nelle casse dall'interno i bassi come grandi cuori di giganti che sbattono di ginocchia nella mia incertezza e nella solitudine di un altro ricordo improvviso, e a quanto mi faceva pensare da matti la poesia di quel momento...o a quel loro piccolo miracolo che scintilla ancora una volta da solo, senza che nessuno lo spinge mai troppo.
Intanto tutto quell'universo brulica all'interno della libertà protetta e sconfinata di quel giardino del liceo, a quell'ora parlante come un grillo, e irresistibile per la bellezza profonda e surreale dei suoi colori e di quel suo incanto di seta e così orientale e pomeridiano di pace nel suo ascolto, e quando la classe poi scatta dentro, con il piglio di uno stormo spaventato, e ritrovo la meravigliosa accoglienza della professoressa Rosa Fortunato, come un lampo in piena luce, con cui riattraverso insieme a Daniela i sentieri degli alberi e delle parole, come residenze papali ammantate dal velluto porporato e cardinalizio del sacro, e dal sangue dei petali alla morte artistica e tragica del nostro vecchio carciofo nel suo sogno impossibile della stamina, e ancora nuovi sentieri diversi e vicini, come fiumi di montagna, come quelli delle farfalle, dei grandi poeti e del piccolo e caparbio stagno, con i pesci americani che brindano a modo loro alla fine del loro anno nei piccoli fucili delle code, la visita elettrica di una libellula, come una speranza. È proprio dentro quello stagno che rivedo allo specchio la delicatezza sognante di quel percorso, le mie occasioni mancate, le minuzie e le profondità delle cose più piccole e sottili che si trasformano con il tremore umano del pioppo e la scientificità acuta e ispirata della professoressa pittrice, fino alle tese di luce naturale e vorace di quella bellissima flanèrie, forse appena un po' triste se pensata a quest'ora che sto scrivendo e intorno non sento più nessuno ...e ho ancora dentro le parole e i passi di Rosa e di Daniela che si fanno sempre più lontani, come la luce solare sulle rose selvatiche, o le ultime voci dei ragazzi che già si perdono nella loro grande e sfilante allegria di Giugno...in questo viaggio di sola andata e di quasi scuola, piccolo miracolo di inizio vacanza.
l.s.

Riscrittura da Carver


"Mi piace pasticciare con i miei racconti. Preferisco armeggiare attorno a un racconto dopo averlo scritto e poi armeggiarci di nuovo in seguito, cambiando una cosa qui e una lì, piuttosto che scriverlo la prima volta. La stesura iniziale mi sembra la parte più difficile da superare per poi andare avanti e divertirmi con il racconto".
Raymond Carver da On "Rewriting"

mercoledì 3 giugno 2009

Plurali insidiosi di nomi composti


Dall'interessante forum di Ozoz, qualche sera fa ho letto un'interessante discussione sul plurale dei nomi composti. In quel caso si partiva dal nome caporedattore e il suo plurale corretto. Ve lo segnalo, perché approfondisce bene la questione, citando anche l'auotorevole parere dell'Accademia della Crusca.
Il link: Caporedattori o capiredattori?
Questo forum di scrittura è parecchio interessante e fresco di idee e di vitalità.
Consiglio di tenerlo d'occhio, ogni tanto.
l.s.

martedì 2 giugno 2009

Pioggia persistente


Pioggia persistente. Il nuovo giugno di Napoli che volteggia le sue pinne nell'acqua. Dalla finestra della mia stanza sento l'aria delle strade bagnate. Apro a caso una pagina, da un libro di Stanislaw J. Lec: " Il fondo non esiste. Ci sono soltanto limiti alla profondità". Richiudo la pagina e guardo fuori.
l.s.

lunedì 1 giugno 2009

Da Giugno di Attilio Bertolucci


"Stan le ciliege rosse tra le foglie
nella calma sera estiva
vedo il mio amore che le coglie
seria come una bambina, e così sola e schiva."


da Giugno di Attilio Bertolucci (Schizzi e abbozzi)