martedì 9 giugno 2009

Un editore e un editor


Sono sempre più convinto che alcuni termini si intreccino e si depositino come sedimenti negli automatismi di un certo pensare di letteratura, di buona cultura, e spesso si corre il rischio di allontanarsi dal nucleo centrale che li rianima e li giustifica in un certo contesto di discussione.
È il caso del concetto di editore. Il termine ha origini latine e nella sua accezione più comune si riferisce a colui che dà fuori, che pubblica (Garzanti). Nell'evoluzione e nella storia del termine, si possono distinguere principalmente due grossi canali per identificarne il ruolo e il senso nei confronti di un'opera nella quale la sua figura entri in ballo: l'elemento puramente imprenditoriale, relativo alla possibilità di stampare, ottimizzare, selezionare e diffondere un testo, articolando quindi tutta una serie di meccanismi e di processi che porteranno il tipo di lavoro selezionato a diventare un oggetto di vendita, con un determinato marchio che spesso ne giustifichi inclinazioni, orientamenti, o che addrittura consideri ogni avventura editoriale, come pregiato e insostituibile tassello di un unico discorso organico e più ampio da espandere (vedi Adelphi).
Poi vi è un'interpretazione dello stesso termine che si rifà alla figura di uno studioso, di qualcuno che abbia un tale gusto di fruire e di gustare di un certo ramo dell'espressività umana, da diventarne filtro verso il mondo esterno, fucina, piccolo-grande ponte verso la sua cura e la sua distillazione, con tutti gli apparati e i ruoli della sua società, fino a favorirne la massima divulgazione possibile in relazione a una serie di standard che codificheranno lungo il percorso la migliore direzione della freccia da scoccare, la forma ottimale della punta, la quantità di buona tenuta alle sferzate dei venti e la sua buona flessibilità. In alcuni casi si può intendere il concetto di cura di un testo, come quell' approfondimento del suo impianto filologico in un'edizione critica, ma in questo caso mi sembrerebbe di allontanarmi troppo dalla piccola idea di fondo che vorrei esprimere. In effetti io penso che per chi si occupi di scrittura, conti molto un incontro con un personaggio dell'editoria, grande o piccola che sia, che intersechi nel suo approccio al testo e al suo lavoro, quei due punti sopraccitati, quello del buon imprenditore e quello dello studioso appassionato e vorace di buone idee originali, nuove e commestibili da lanciare su di un determinato mercato.
Penso che il senso del vedere un proprio lavoro pubblicato, sia legato soprattutto ad accettare il rischio di misurarne adeguatamente i confini, la magia, le oscurità, la feccia e la cantabilità con un'altra sensibilità e dimensione umana, e spesso accettando anche il confronto o una dissonanza con un'idea e una nuova percezione del tutto opposte sulla bellezza di una frase o sul ritmo di un paragrafo, sui tempi, sullo stile, sui dialoghi. A volte questo incontro potrebbe completamente devastare i parametri prefissati in precedenza dall'autore, in altri può addirittura diventarne parte viva nell'economia e nella coesione generale del suo impianto, dei suoi contenuti e del suo destino, motore vorace e mutante dello stesso tessuto creativo.
Io trovo utile che un testo veda la luce solo se vi sia una sorta di piccola folgorazione da parte di chi decide di dargli la fiducia che merita, e che uno scrittore debba cercare possibilmente di lavorare e di maturare perché quest'incontro avvenga nel modo più naturale e meno forzato possibile, con tutte le problematiche e le sorprese che una qualsiasi relazione umana può riservare a chiunque. La figura responsabile del lavoro approfondito sulle sorti di un opera letteraria, sulla scelta dei tagli, sulle modifiche alla struttura narrativa, sul contenimento di eccessive ridondanze, sull'abilità di inviduare l'insidia di vezzi, ripetizioni o anche piccoli vizi di maniera, è quella piuttosto delicata e complessa dell'editor. Il suo ruolo si differenzia quindi per una specificità di approccio meno legato all'elemento puramente imprenditoriale, ma come studio e analisi accurata di tutti i pregi e i difetti del lavoro in oggetto. Un tipo di angolazione diversa rispetto al prodotto, semmai più ispirata, anche se di fronte alla sorte di un libro ci si debba accostare sempre con tutti e cinque i sensi, qualsiasi sia il proprio ruolo operativo all'interno del gruppo.
Mi piace citare, in conclusione di questa mia piccola considerazione, una bellissima immagine di Claire DeLannoy, con cui apre un suo libro dicendo: "La parte dell'angelo, la parte dell'ombra, quella della levatrice che aiuta a nascere, ecco come definisco il mestiere di editor".
È tutto.
l.s.

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