sabato 27 maggio 2017

Ancora un po'

                                                                                                    per A. e D. Lombardo



Arrivarti da
Lontano
Fratellino leggero
Ricordando di te
Eccoti:
Dormendo
Ombreggiano
Estati
Dirompenti
Avviciniamoci
Naso e naso
Incantando
Equilibrismi
Lontanissimi.
Ancora un po'.










martedì 23 maggio 2017

Istanti


"All'improvviso la mia anima cominciò a traboccare 
come il latte quando bolle"

David Grossman



lunedì 22 maggio 2017

I draghi non conoscono il paradiso




domenica 21 maggio 2017

Altra epigrafe da un libro amato


"Et ignotas animum dimittis in artes"

Ovidio, Metamorfosi, VIII, 188, da "Dedalus" di James Joyce



sabato 20 maggio 2017

Claudio Damiani





venerdì 19 maggio 2017

Chiaroscuri


Avverto sempre di più, nella mia scorsa, che la mia scrittura a volte è una scrittura aperta, in altri casi è una scrittura chiusa. Capita che mettermi a scrivere a lungo, di buon ora, comporti entrare, chiudere, murare, anziché fendere e cercare spazi. Pensare all'aperto come a una porta scolpita nel chiuso. È difficile combattere questo stadio in cui la sensazione della chiusura si accompagna al desiderio di precisione. Anche alla zona di esplorazione, dove comincio il mio viaggio. Ma esiste anche una scrittura aperta, legata a condizioni che non controllo, ma che trasformano l'aria intorno a me, non solo quella che attraversa le mie parole, ma anche quella che mi sento sul viso, negli occhi, nelle narici, come qualcosa di nuovo, di mai stato prima. Un'aria di neve, di metà aprile o anche solo di freddo, ma fatta di molta vita e anche di molta impenetrabilità. Nella scrittura chiara, quella più ariosa, e anche quella più aperta, non conta solo la precisione e l'ispirazione a quella precisione, ma altri elementi, che non sempre possono essere controllati. Intanto, quando la mia scrittura diventa aperta, io mi avverto come la vittima di un ritorno. La sensazione delle mie parole, quando la mia scrittura è aperta, crea un'aria molto diversa intorno al luogo dove lavoro e allo stesso modo lo stesso luogo dove lavoro opera in modo che l'aria della mia scrittura e delle mie parole risulti più aperta e nervosa, semmai anche più vera dell'altra. Nella scrittura chiara opero un ritorno a casa complesso, avvenuto dopo un viaggio strano, senza mete. Non credo che possa mai essere in grado di decidere quando optare per una forma chiara e aperta, nei registri della mia scrittura e quando invece affossarmi in quella più chiusa. Entrambe avranno la loro forza, nel loro tormento troveranno il loro (in)canto, la loro utilità. Non controllo il colore del mio scrivere, ma ne patisco le curve sull'abisso. Avviene che una scrittura sia aperta per quanto tempo sia stato murato da una scrittura molto chiusa e fobica. Una scrittura molto chiusa in certi casi è il seme di una scrittura molto aperta. In questi contrasti si dipana un cammino faticoso e insieme naturale, che mi rende vivo e ostinato nel mio amore per la vita.  Quando avverto che il chiaro contraddistingue la mia scrittura, la mia scrittura è aperta e pare che si faccia meno fatica. Ma la fatica è sempre la stessa. L'apertura non alleggerisce il tipo di strada, la sua pendenza, ma lo trasforma in uno spasmo differente, che non riduce il carico della tratta. Con uno spasmo la fatica è la stessa ma si confonde con altro. La quantità di aria presente in una frase e anche nella gestualità che precede e che accompagna questa frase e il suo teatro, incide sulla sensazione viva della fatica, ma non la riduce. La fatica dello scrivere chiuso è la stessa della fatica dello scrivere aperto, allo stesso modo dell'incidenza del sole crudo sulla pelle con il vento forte. In certi casi si potrebbe scrivere senza la maglietta, in altri avvolti in un cappotto enorme. I colori della scrittura risultano diversi, ma quando il tutto sarà trasformato, rielaborato ancora, allo sfinimento, potrebbe capitare che i colori di una scrittura chiara e ariosa diventeranno quelli più cupi, con un tratto più massiccio, una maggiore pietrosità e rudezza al loro interno, nonostante la fragranza del loro trascorso più aperto. Non credo nelle apparenze. Quando cammino e avverto che la mia scrittura è molto aperta o anche molto chiusa, devo fare in modo di assecondare questo squarcio dinamico dell'idea, senza pensare troppo a modificarlo nel suo perfetto contrario. Ma proteggere quel momento dell'idea così com'è, rispettandone le inclinazioni e le caratteristiche, anche quando non mi entusiasmano. Senza intervenire troppo e rimanendo in disparte, appena in ascolto della sua natura, che in certi casi diventa e migliora anche la mia. 






giovedì 18 maggio 2017

Epigrafi di libri amati


"Tutto quello che ho scritto ora mi sembra soltanto paglia".

TOMMASO D'AQUINO sul letto di morte ( prima epigrafe delle cinque utilizzate da Henry Miller per "I libri nella mia vita").


mercoledì 17 maggio 2017

Cinema grattacielo




martedì 16 maggio 2017

La consolazione


Mi accorgo che a volte, scrivendo, vado alla costante ricerca di una consolazione. Una consolazione misteriosa, che sembra volermi consolare dallo stesso atto – o maledizione – dello scrivere attraverso cui poi la ricerco. Basterebbe smettere, allora, invece di perseverare in un atto così difficile, che si attorciglia su se stesso, cercando dentro la sua logica l'antidoto giusto per il suo veleno. 
Ma la ricerca di quella consolazione potrebbe riguardare anche altri elementi, non direttamente collerati al gesto dello scrivere e all'ideale estetico che immagino di preservarmi o di raggiungere attraverso. Elementi che non sono venuti ancora alla luce e che probabilmente non affioreranno mai; ma questo non è un buon motivo per non cercarli. Anche la sola macchina ilusoria di questo impianto, potrebbe dare ancora un senso a tutto questo tempo trascorso, (al quale ho sacrificato momenti, giorni, mesi, passeggiate, discussioni appassionate con gli amici, viaggi, partenze, ritorni, ritardi anche soltanto noia, ma tutti elementi assolutamente concreti, palpabili e quindi reali), cercando rimedi per qualcosa che forse nemmeno è andato mai perduto o che nemmeno esiste. A consolarmi per qualcosa che non mi ha ancora condannato, offeso e ferito, per esempio; ma che in qualche modo esiste, dentro un altro tempo e con una sua sete, in quel suo livello inconsolabile di irrealtà, che forse mi appartiene da sempre.


lunedì 15 maggio 2017

Grandi letture: "Perturbamento", di Thomas Bernhard




"Quello che c'è di essenziale in una persona viene alla luce soltanto quando dobbiamo considerarla perduta per noi, disse mio padre, nel momento in cui, ormai, questa persona può soltanto dirci addio. Ad un tratto, in tutto ciò che in essa è ormai soltanto preparazione alla morte definitiva, questa persona può essere riconosciuta nella sua verità".

(Perturbamento, di Thomas Bernhard)


domenica 14 maggio 2017

Mientras ellas duermen





sabato 13 maggio 2017

Lo scrivere come infinito riscrivere


Lo scrittore Mario Vargas Llosa

"Flaubert lavora, è quasi sicuro, con due fogli in bianco, l'uno accanto all'altro. Sul primo scrive – con calligrafia uniforme e minuscola, lasciando ampi margini – la prima versione dell'episodio, sicuramente molto in fretta, sviluppando le idee così come gli vengono, senza troppo badare alla forma. Sicché, sbozza qualche pagina. Poi, riprende dal principio e inizia la correzione meticolosa, lentissima, frase per frase, parola per parola. La pagina si ricopre di cancellature, di aggiunte, di strati sovrapposti di parole fino a divenire incomprensibile. Allora, mette in pulito la pagina sul foglio che fino ad allora non ha toccato. Procede molto piano, e questa nuova versione viene sottomessa alla prova del gueuloir, che sarebbe più giusto chiamare dell'udito. La sua convinzione è la seguente: 
« Plus un' idée est belle, plus la phrase est sonore; soyez-en sûre. La précision de la pensée fait (et est elle-même) celle du mot ». [ ...] Sicché vanno accumulandosi i fogli, a coppie: il retto dell'uno è la prima stesura del verso dell'altro. Una buona giornata di lavoro può significare mezza pagina definitiva; ma ci sono giorni trascorsi a comporre – è il verbo giusto – una sola frase".

(Mario Vargas Llosa, L'orgia perpetua. Flaubert e Madame Bovary)


venerdì 12 maggio 2017

"La città vuota": ultimo shooting


"Dopo un anno e mezzo di riprese abbiamo finalmente terminato la produzione de "La Città Vuota"! Ci tengo a ringraziare uno per uno tutti i professionisti che mi hanno accompagnato lungo questo incredibile viaggio". (Fabrizio Fiore)

Luigi Salerno (sceneggiatore)
Thomas Battista (co-regia)
Giulio Ciancamerla (aiuto regia)
Emiliana Santoro (assistente di produzione)
Marlene Mo (segretaria di edizione)
Stefano Petti (direttore della fotografia)
Giuliano Tomassacci (direttore della fotografia)
Jacopo Testone (assistente alla fotografia)
Stefano Centola (assistente alla fotografia)
Abaco (presa diretta)
William Piazza (operatore drone)
Azzurra Usai (scenografia)
Cristiana F. Fasano (scenografia e costumi)
Luisa Alessia Mulè Cascio (costumi)
Francesco Scaramella (parrucchiere di scena)
Giulia Stronati (make up)
Alessia Barbieri (make up)
Clizia Brozzesi (storyboard)

e i tre attori
Fabio Pasquini (Faber)
Maria Chiara Tofone (Laura)
Giancarlo Del Monte (Karl)

e inoltre, in ordine sparso,
Stefano Avvisati 
Hotel Vittoria (San Felice Circeo)
Massimiliano Antonioli 
Eva Serena 
Assessore Eleonora Farneti (Cantalupo in Sabina)
Assessore Egidio Calisi (San Felice Circeo)
Assessore Marsilio Francucci (Terni)
Federico Nannurelli (Responsabile Infrastrutture Comune di Terni)
Sergio Paragnani (Aree di Pregio - Infrastrutture a rete Terni)
Stefano Grilli (Cascata delle Marmore)
Angelo Francucci (Comune di Arrone)
Simone Campagnola
Club Portoricano v8
Lucio Massa
Alain Porzi (CMT Coop.Mobilità Trasporti)













giovedì 11 maggio 2017

Ore 17:32






17:32. Era questo l'orario di un biglietto del pullman marcato poco più di cinque anni fa: ventisette marzo 2012, con cui qualcuno avrà viaggiato per un tratto, utilizzandolo poi da segnalibro, lasciandolo tra le pagine di un bellissimo saggio su Flaubert e Madame Bovary. Trattasi de "L'orgia perpetua", di Mario Vargas Llosa. Una splendida prima edizione italiana, del 1986, che cercavo da tempo, entrata in mio possesso, con mia grande emozione, solo nel pomeriggio di ieri – se non fosse per quel biglietto nemmeno mi sarei accorto che il libro era usato. Quel titolo di viaggio scaduto da anni ho deciso di riutilizzarlo in un mio tempo di vita e solo per questa nuova avventura, usandolo come segnalibro in sostituzione di quelli a cui tengo di più e che di tanto in tanto alterno tra le mie frequenti letture e riletture in cartaceo.  Una sorta di piccolo valore aggiunto per un altro viaggio, che durante una lettura serale potrà farmi pensare al passaggio e al miraggio del tempo, tra la finzione, l'eleganza e l'irrealtà della vita, come è quella di chi legge e di chi scrive con un biglietto scaduto. 





mercoledì 10 maggio 2017

Nel vento di un romanzo


Catturando gli attimi degli attimi, come il geco gli insetti, sul muro bianco e un poco rosa dell'estate. Ogni  tormento di pagina ricorre in questo assedio ventilato alle parti lontane di un solo istante. Lasciando che il tempo lo taccia e poi lo forgi, come il vento di una notte la facciata di quel rudere più in fondo, dove dal buio delle scale una donna avrà cucito fino ad accecarsi, nell'incavo azzurro della lampada e della sua esistenza. Quando ormai tutto tace, se la mia stessa vita che riscrivo vi rimane muta, nel pegno del ricordo e in quel momento di cenere che si rosa sui vetri, poco dopo l'incendio di un bosco.



martedì 9 maggio 2017

Mario Luzi. "Incontro a Pienza"





lunedì 8 maggio 2017

Tra gli estremi


Tra gli estremi  da cui  spero sempre di rifuggire, vi è o quell'atteggiamento borioso e arrogante di chi sa scrivere davvero e ne è consapevole, cercando di utilizzare questa sua capacità come strumento di dominio o di annientamento intellettuale, verso e contro ogni possibile voce possa inciampare nel suo territorio minato. Oppure, dall'altra parte, la totale inconsapevolezza di taluni, non scrittori ma sedicenti tali, espressa da un costante gorgoglio amatoriale, a volte altrettanto borioso, che dispensa un flusso caotico di "scrittura" o stralcio di resoconti e getti adolescenziali da rotocalco, definendosi anche loro, più degli altri, a tutti gli effetti scrittori (non falliti ma incompresi), solo per il fatto che frequentino con le loro parole i loro spazi, quelli alla loro portata,  e non di rado disprezzando diversi altri luoghi, semmai meno semplici da occupare e da frequentare dei propri, se non moderatamente elettivi, come se non fossero adeguati a un certo tipo di linguaggio e di spessore, quasi con l'aria sprezzante di chi abbia declinato un invito, – che forse non gli è mai stato fatto.
Non so tra le due terrificanti caratteristiche di specie quale faccia più male a chi invece vorrebbe vivere la sua scrittura come un luogo profondo dell'anima, una porta aperta e silenziosa verso il mistero e non verso le certezze, le scuole, le mode o le roccaforti idealistiche.
In ogni caso preferisco sempre il difetto di chi possegga davvero qualcosa e la ostenti, anziché lo spasmo effimero di vacuità assoluta del fabbricante di fumo, pur rimanendo incline a fare sempre tesoro dell'umiltà e del riserbo su quello che si pensi di valere, ritenendoli due compagni di viaggio indispensabili per qualsiasi percorso ci si accinga a compiere. 



sabato 6 maggio 2017

Grandi letture: Palomar



"Il nuovo sapere che il genere umano va guadagnando non ripaga del sapere che si propaga solo per diretta trasmissione orale e una volta perduto non si può riacquistare e ritrasmettere: nessun libro può insegnare quello che solo si può apprendere nella fanciullezza se si presta orecchio e occhio attenti al canto e al volo degli uccelli e se si trova lì qualcuno che sappia dare loro un nome. Al culto della precisione nomenclatoria e classificatoria, Palomar aveva preferito l'inseguimento continuo d'una precisione insicura nel definire il modulato, il cangiante, il composito, cioè l'indefinibile".

(Italo Calvino, Palomar)



venerdì 5 maggio 2017

Letteratura e inquietudine




"... ma senta, non crede che sia proprio questo che la letteratura deve fare, inquietare?, da parte mia non ho fiducia nella letteratura che tranquillizza le coscienze. Nemmeno io, approvai, ma vede, io sono già abbastanza inquieto per conto mio, la sua inquietudine si aggiunge alla mia e produce angoscia. Preferisco l'angoscia ad una pace marcia, affermò lui, tra le due cose preferisco l'angoscia".

(Antonio Tabucchi, Requiem)




giovedì 4 maggio 2017

Estratto da un mio romanzo inedito



"Sì. Sono certa che vi siano delle fasi di non esistenza, che non vengono conteggiate dalla misurazione del tempo. Come quelle in cui ci si dimentica di qualcosa, o anche solo di esistere. Come adesso, per esempio", disse la donna, con un filo di voce, che Ottavio fece fatica a percepire.
”È possibile, ma quando dimentico non so di dimenticare, almeno in quel momento...", le disse con imbarazzo, guardandole la nuca, le spalle immobili, molto esili e piuttosto simili a quelle di sua sorella Despina.
"Potremmo dimenticare anche in seguito qualcosa. Potremmo dimenticare di aver conosciuto, visitato, amato, ucciso. Potremmo non sapere più alcune cose fondamentali di noi, come di qualcuno che ci sta accanto. Potremmo non avere il controllo totale sulle nostre scelte, azioni, volontà, per colpa della dimenticanza, dell'oblio. Lei non crede?", disse la donna, adesso con un tono di voce alquanto percepibile.
La radio smise. I respiri di Ottavio e della giovane donna seduta all'interno di quella camera ritornarono dentro ciascuno di loro.
"La radio. Si è spenta da sola", disse Ottavio.

l.s.