domenica 30 agosto 2015

Ancora del conforto delle cose (piccole)


Stavolta è da uno stralcio di Burgess, dal romanzo "The end of the world news", che ritrovo qualche bagliore nuovo, o leggera consonanza, dal mio pensiero del posarsi nelle piccole cose, spesso invisibili, di cui ho scritto ieri pomeriggio in questo blog.
Una sorta di misterioso cross al buio, inerente al conforto delle cose semplici, piccole, che in fondo sono spesso parte di una misteriosa essenza e risonanza a cui ricorrere, anche solo con il pensiero. (Nel caso di Burgess, si parla di piccole cose emblematiche, a cui l'uomo rinuncerebbe in seguito a un evento distruttivo che lo capulterebbe, al prezzo di un salvataggio, in una dimensione di una vita artificiale e tecnologica, quindi altra, diversa, imperniata su altre "cose" su cui organizzarsi e identificarsi; cose del tutto nuove e lontane, quindi, da quelle che Burgess cita nel suo romanzo.)
Giusto pochi righi, da un estratto del romanzo – il cui titolo italiano è "La fine della storia":
"Il conforto delle piccole  cose di cui uomini e donne non avrebbero avuto più bisogno – la carta d'argento del cioccolato, la senape gialla piccante nel vasetto di vetro, il gorgoglio e il plop dell'acqua bollente quando si fa il caffè".
























sabato 29 agosto 2015

Posandosi nelle proprie cose


In fondo il senso incompiuto di questo dire affiora davvero in un lieve posarsi, quel posarsi che mi pone in contatto con le cose del mio mondo, la mia parte non ufficiale e ortodossa, almeno quella non conclamata e decisa prima - o tatuaggio ardito che sbuca da un bikini per un oscuro pegno d'amore. 
Pensavo a questa azione del posarsi negli anfratti di questo mio (fini)mondo caotico ed espressivo, con un gesto sempre più astratto e fragile, come se impigliato negli strati infiniti di un gheriglio, appena schiuso da una noce spaccata male. 
L'azione del posarsi non la sento così vicina a quella che forma il riposo. Un posarsi in un gesto creativo trattiene in sé un presente estatico quanto possibile di continui mutamenti e diversivi. Sono fermo in questo frullo difficile di intensità e di sovversioni, ma con la febbre alta. Sono muto, ma con un grido in gola che strilla senza clamori.
Quando avverto la necessità di ritrovarmi dentro un qualsiasi nuovo passo, – che suona sempre come il primo, come se tutti gli altri non fossero mai esistiti, non fossero mai partiti e vissuti da me – quello che davvero conta è questo stare fermo e franco in questo posarmi, in un raccoglimento povero e appannato, senza storia, regole, ordinamenti e direzioni, ma solo nelle poche cose che mi rappresentano del loro strano silenzio, della loro angustia e invisibilità. Nulla di quello che potrebbe apparire o formarsi nel tempo sospeso di questo mio grido paziente, avrà l'intimità di quel qualcosa che vibra e che divora, ma senza ancora dirsi e tradirsi nel suo vero essere. Una luce soffusa che palpa i segreti della mia stanza,  come il celeste tenue di una lampada il seno quasi nudo da un affresco; senza economie o possibili identità di sorta. Ma soltanto posandosi come un polso molto sottile nelle mie cose più piccole, in un altrove da insetto che adesso mi è già qui: e, dunque, mi basta.























domenica 23 agosto 2015

Nuova selezione ufficiale per "Bang!"





Stavolta si tratta di un altro festival internazionale: The Color International Film Festival of India 2015che si terrà ad Ahmedabad (stato del Gujarat) dal 23 al 29 novembre 2015.
La notizia è arrivata venerdì sera. Un altro gran bel passo per il progetto!










































venerdì 21 agosto 2015

Lampeggi oltre un monte


Lampeggi oltre un monte, con qualche boato di tuoni, da un paese vicino. Sono al buio, in questo preciso istante di scrittura, ma sopra di me incombe ancora il sereno. Il temporale, o il suo nitrito fobico, dovrebbe essere altrove. Al momento la sua è una pronuncia inceppata, nemmeno un'ostentazione; ha l'aria di uno scherzo tardivo, capriccio di bravura o gara di rutti da parte di un gigante ubriaco e solitario. Ma i lampi, al contrario, non sono sommessi come i tuoni, ma intagli sgargianti e borghesi di cadetti tirati a lucido, colpi luminosi di cinghia, che rischiarano a giorno il buio dei campi circostanti, in contrappunto alla pace sognante di un solco interpoderale.
Questi fenomeni così agili, – ormai cristallizzati nel tempo come prodezze ancora palpabili di processi naturali – si irrorano e si rinnovano di continuo di un loro mistero inspiegabile di gioventù dei cieli, di una loro particolare e gustosa matrignità di spasmo, che vanifica, travalica e sospende la conta del tempo, delle epoche e delle loro possibili partizioni e risonanze, in una tremenda e crudele adolescenza magica, che parafrasa i nostri faticosi passaggi in ombra, il nostro svogliato, schizzinoso bagnarci negli starnuti, nel cercare un cornicione sicuro, a chiusura negozi. Degli arabeschi o ristagni di eternità, che a volte divertono, ma in troppi casi spaventano a morte i bambini, gli anziani, gli uccelli ornamentali, come i cani più sensibili.
Eppure potrei trascrivere questi fraseggi orgasmici nelle tonalità più svariate e senza accusare mai stanchezza, ma un progressivo rinvigorirsi delle forme impalpabili, della purezza del loro copione o delitto d'impeto, che si dislaga  nel suo costante pericolo, rimanendo ancora nel nitore dell'agguato un qualcosa di familiare, a volte di tremendamente certo e mai domestico ma estremo. Una certezza retrofuturista, fluida nella sua stessa impermanenza, forse.











mercoledì 12 agosto 2015

Si tratta di un romanzo...


Nell'appassionarsi e nel dedicarsi a un processo narrativo di finzione, esiste sempre qualcosa di misterioso e di edificante, che oltrepassa la fase più superficiale, evanescente o impalpabile del percorso immaginario raccontato e assorbito, e che persiste, nel tempo, oltre quell'esperienza e dentro di noi, come un nutrimento profondo, sotterraneo e insostituibile.
In questo breve e significativo passaggio dal romanzo "Gli innamoramenti", dello scrittore Javier Marías, che adesso segue, questo concetto è scandito con grande maestria e precisione:

"Si tratta di un romanzo, e quanto accade nei romanzi è indifferente e si dimentica, una volta terminati. Le cose interessanti sono le possibilità e le idee che ci inoculano e ci portano attraverso i loro casi immaginari, rimangono in noi con maggiore nitidezza dei fatti reali e li teniamo in maggiore considerazione".























lunedì 10 agosto 2015

Riempirmi questo spazio


Riempirmi questo spazio, indefinito, senza limitazioni o diktat di sorta, in questa mattina di agosto, anche senza un impulso particolare e dopo un discreto periodo di assenza, lo sento insieme un privilegio e una responsabilità. Eppure la facilità con la quale riusciamo a comunicare, a trovare il varco dal buio alla platea nebbiosa della rete, in molti casi ci ha reso insensibili al miracolo di questa condizione, così come avviene con un'abitudine, un dato di fatto, un panorama incantevole che diventa ordinario quando lo si vede per troppo tempo, o quando addirittura lo si abita, perché fronteggia la nostra nuova abitazione. Pur non avendo una certezza di attenzione consapevole, vigile, le nostre e le mie parole vibrano comunque di una possibilità, anche minima, e quindi dell'avere e recuperare un senso. Diversi anni fa questa possibilità avrebbe dovuto percorrere sentieri diversi e molto più complessi e tortuosi;  semmai sollecitare un certo impegno, una diversa tensione e interazione di energie, di spavento e di intensità, pur non discostandosi di tanto dalla certezza di attenzione consapevole e vigile a cui alludevo poco fa, che rimane sempre così vaga e impermanente.  Rimane ancora un privilegio il comunicare e anche il tenere pulito questo spazio, l'avvertirne il peso o la risonanza sismica, rispettivamente quando non è compiuto o quando è stato appena colmato di pensieri e di confusione. Non credo, però, che debbano esservi delle regole ferree in materia; ciascuno, nel proprio appartamento, potrà gestirsi come gli pare in relazione al suo gusto, alle sue abitudini, ai suoi ospiti, quindi ai ritmi delle sue giornate di caos o di profonda solitudine. Intanto questo spazio potrebbe sintetizzare un qualunque luogo di vita o di incontro, dove conti la salubrità dell'aria, l'esposizione alla luce, quanto la buona musica o gli odori di cucina che vi abitano. Non sempre trovo un motivo nel rispettare la compilazione di un certo numero di post entro un determinato periodo di tempo; nemmeno credo che sia così essenziale misurare l'estensione o la quantità dei miei intervemti, così come  nella mia casa non misuro la sua vita e la sua buona aria dal numero degli ospiti a cena, dei dischi suonati o delle ore passate al telefono. C'è dell'altro, dentro uno spazio vitale, qualcosa che dentro il suo accudimento, – spesso insensato se non inutile – si celano dimensioni lontane sia dalla responsabilità che dalla svogliatezza. Un terzo mondo, insondabile ma nello stesso tempo cruciale, per completare il mio disegno sul vetro appannato dei miei intenti, dei miei pensieri e delle mie azioni creative e ricreative che mi sostengono e mi tengono sveglio. Nella bruma di questo paesaggio che rappresenta ed essenzia il mio esprimermi e comunicare, esiste anche questo spazio bianco, misterioso, al quale stamattina mi sono rivolto, uno spazio spesso confortante più per me che per chi potrebbe imbattersene per puro caso, ma che comunque ha una sua ragione d'essere, pur nel disordine e nell'inconsistenza di qualcosa di non commissionato, probabilmente di indesiderato, di irragionevole o superfluo. Questa sua ragione d'essere, che mi porta a farmi vivo, poi a sparire, poi a riaffacciarmi, è una traccia visibile di una mia libertà, della possibilità cronica e dinamica di negarmi e di concedermi nonostante questo tempo di buio, controverso e asfittico, per quanto traffico si dipani nella sacralità di questo spazio, dove qualsiasi voce può parlare, ma anche canticchiare qualcosa stonando, e allo stesso modo trovare un senso, sciogliere un nodo, incantare o far prendere sonno.
La volontà di esserci, di poter esprimere anche un solo pensiero, una strofa, rimane comunque qualcosa di prezioso e di raro, nonostante siamo portati a considerare preziose e rare soltanto alcune realtà poco comuni, poco abbordabili, quelle che riguardano solo pochi eletti.
Eppure, e non so nemmeno il perché, adesso, nello scandire le ultime parole di questo strano post, continuo a sentirmi un privilegiato, un eletto, anche se questo post rimarrà sconfitto nel buio che i tempi della rete consacrano serialmente in proporzione alla facilità degli spazi concessi. Quello che nessuno potrà mai negare, è la sensibilità pura al nostro atto terribile e sofferto, allo scioglierci come pioggia in questo misfatto senza moventi, nel quale, spesso, ritroviamo un nuovo ordine, una chiave diversa di lettura del mondo e di noi stessi.
Dalle feritoie della tapparella adesso posso scorgere i movimenti delle foglie della quercia selvatica, appena dorate dal sole delle undici. Poi non avverto altro, a parte qualche auto che passa e che sfuma. Il tempo pare che stia cambiando, e intanto io scrivo, di niente, ma quel tanto per sentirmi vivo dentro un nuovo e strano tutto che ancora non conosco, ma che intanto mi accoglie, mi corregge e mi completa nella piana di questa eclissi; quanto basta.