sabato 30 settembre 2017

Il buio di una casa lontana


Nell’aria della passeggiata si avvertivano fragranze di tenebre. L’ansia dei passi palpitava dello stesso rosa della spuma marina, lo stesso che verso sera si addensa sulla cima del Redentore. Le pareti riflettevano il mutare feerico del tempo; la sua mota sanguigna, che si perdeva come lume di nave nel fumo, avviluppandosi dentro l’imbrunire, verso l'inizio di una musica da una casa lontana.



lunedì 25 settembre 2017

Pomeriggio di vento


Passeggiando, in un pomeriggio di vento di questo settembre, era come scrivere e perdermi in quello scrivere senza pagine, con il solo camminare, senza una vera meta, tacendo il senso di ogni mio passo. Quel momento di solitudine esasperante, in un pomeriggio presto di un litorale semideserto, era perfetto e sapeva di qualcosa che forse mi sarebbe rimasto per sempre, anche senza forzarne le tracce; intendo fermo nel quaderno della mia gola fino al mio animo e in nessun altro luogo fisico, come un privilegio, per il solo fatto di essere stato taciuto. Molti luoghi mi parlano, ma nello stesso tempo mi chiedono un certo riserbo, per contenere i loro segreti. Mi accadono spesso dei momenti che nella loro semplicità lasciano dei segni invisibili, che anche senza essere trascritti su di una pagina bianca, difficilmente incontreranno quello stesso oblio, rappresentato da tutto ciò che diventa concreto. Rimanere in contatto con questa economia della pura percezione e possibilità, senza spingerla subito verso una sua prima piattaforma di luce, credo che mi aiuti molto a precipitare nell'ascolto immediato della vita e della sua intensità, anziché nell'aggredirla con un'immediata decodifica semantica di quello che in quel momento significhi, per la sola ossessione di confidarla agli altri a tutti i costi e nel migliore dei modi. 
In quel pomeriggio di vento, che ho sentito scritto e già lontano, ancora prima di compierlo dentro di me, mi accorgevo di un livello emozionale di realtà diverso, dove non contavano più le parole, i segni, i suoni da condividere per mostrare l'esperienza, ma tutto quello che le parole, i segni e i suoni tacciono in quella stessa esperienza, mentre mi muoiono dentro, e che molte volte mi dicono di più, se li lascio fermi, come se fossero inutili o nemmeno mai stati. A volte in quel tacere avverto un privilegio, nel quale vorrei resistere il più possibile, prima di tradirlo, come ho fatto proprio adesso, con questo post.



domenica 24 settembre 2017

L'odore assordante del bianco


"Si ama solo chi non ha nome"

Stefano Massini, da "L'odore assordante del bianco"






giovedì 21 settembre 2017

"Il conflitto": proposta editoriale per la collana di teatro "Cōmōdìa". Edizioni "Le Mezzelane"


Ho firmato da qualche giorno la proposta editoriale per la mia pièce inedita in tre atti "Il conflitto", con la casa editrice "Le Mezzelane", che cura, tra le altre, una collana interamente dedicata al teatro, dal nome  Cōmōdìa . "Il conflitto" è un lavoro molto diverso da quelli a cui mi sono dedicato, dove ho sperimentato alcune chiavi e soluzioni che avevo in animo da tempo di affrontare e che ho ritenuto rappresentative di questa mia fase di approfondimenti e di ricerca.
Sono rimasto molto colpito e felice dalla fiducia che è stata data a questa pièce.
Qui lo staff editoriale:



Qui il link con la collana dedicata al teatro:  Cōmōdìa







mercoledì 20 settembre 2017

Creatività e spazio


Penso che ogni getto creativo richieda sempre uno spazio adeguato, che lo contenga e che lo slanci. Uno spazio che andrebbe meritato e che si raccordi quanto più possibile alle caratteristiche di quel certo linguaggio, di quella forma attraverso la quale uno scrittore o un qualsiasi altro artista si esprime, o quanto meno cerca di farlo in una sua possibile unicità.
Un'espressione richiede sempre un suo spazio, ma nello stesso tempo ne preserva già al suo interno le caratteristiche climatiche, il tipo di aria, di luce e di latitudine.  In diversi casi l'essenza più pura di un processo creativo sarà nutrita dalla conoscenza scrupolosa del proprio spazio,  altrimenti non avrebbe modo di esprimersi e di compiersi. Scrivere o in ogni caso creare qualcosa senza uno spazio adeguato a quelle frequenze, potrebbe essere un'esperienza molto poetica e suggestiva d'immaginazione; in diversi casi un'impresa onirico- eroica, se non di puro onanismo, per i più tormentati, semmai, ma anche un viatico per la disperazione o l'invasamento.
Dovendo ripercorrere un certo bilancio, legato alle mie personali aspettative riservate alle mie esperienze creative, proprio l'altra mattina, mentre guidavo per fare ritorno in città, mi accorgevo, riflettendo, che quasi tutte le speranze riposte, quelle che mi hanno tenuto vivo e ispirato, che mi hanno consentito quel giusto ardore e quindi il fantasma di quello spazio necessario, non si sono mai avverate, a dispetto di quando prevalessero all'interno delle mie emozioni e dei miei sentimenti, nel periodo della loro espansione. Mentre, all'opposto, tutto quello che posso dire di aver raggiunto e realizzato, quasi mai è stato sperato, forse disperato, ma comunque non ha mai vissuto quella particolare incubazione che ne preservasse quello spazio fantasmico di sopravvivenza.
Ma d'altro canto anche il solo sperare cose e situazioni che non si sono mai avverate, ha rappresentato un momento interessante di crescita per la mia vita. Uno spazio diverso, più intimo, anche se non concreto e tangibile all'interno di un quadro più ampio, maturando la consapevolezza di quanto conti la stagionatura di un'idea, al di là dell'immediatezza disperata di condividerla sempre e a tutti i costi.






domenica 17 settembre 2017

Ancora Remarque




In un'esperienza letteraria importante, avverto sempre questo senso diffuso di deriva, che si dipana dentro e oltre me stesso, disperdendomi in territori lontani ma nello stesso tempo profondamente famigliari. Così come mi è sempre accaduto negli incontri con opere profonde, indimenticabili, anche  in questo passaggio, mirabile quanto misterioso, di Erich Maria Remarque:

" Guardavo il suo viso abbandonato, dalle lunghe ciglia, che rimosso dalla magia del sonno non sapeva più nulla di me; del resto non esistevano più i giuramenti, i gridi, le estasi di un'ora prima, e non c'ero nemmeno io, al punto che avrei potuto morire senza che se n'accorgesse, guardavo avidamente, con un lieve orrore, quella creatura umana a me estranea che ormai era quanto di più vicino possedessi, e compresi che si possiedono per intero soltanto i morti perché non possono fuggire. Tutto il resto pulsava e si mutava e si separava, si spostava e non era più la stessa cosa già nel momento in cui affiorava. Soltanto i morti sono fedeli. Questa è la loro potenza".

Estratto da "Ombre in paradiso".





venerdì 15 settembre 2017

Estratto da inedito


"[...] Continuarono a fumare, tranquilli e come assenti, divorati dal mare dell’albergo. Mi sembrava di trovarmi davanti a un quadro. Un quadro che ritraeva due persone di spalle: un uomo e una donna, che fumavano. Avrei immaginato anche il titolo di quel quadro: giovani che fumano, o anche: due giovani camerieri che fumano. Ero fuori e dentro il quadro delle loro figure di spalle. L’odore delle loro sigarette mi raggiungeva e si mischiava con quello del mare, che ogni tanto scrosciava, schiaffeggiava e poi divorava la costa. Forse si erano accorti di me, come anche in un quadro può capitare che le figure ritratte si accorgano di essere viste. E nello stesso modo può capitare che anche dal fumo di sigaretta di un quadro, arrivi a percepirsi l’odore, mischiato con quello del mare dipinto, che ogni tanto scroscia e schiaffeggia e poi divora la costa in un olio su tela. Il tempo e la luce. I miei due copioni, riservati a loro, erano toccati dal vento e risuonavano della loro certezza di vuoto. Non ricordo quanto tempo rimasi a guardarli di spalle, i due fumatori silenziosi, gli unici ribelli che si erano sottratti alla prova dello spettacolo; venuti meno quasi nello stesso istante e per le stesse ragioni. E adesso fumavano insieme, così vicini, quasi a sfiorarsi. In quello stesso punto Klaus era stato da solo, con il suo vecchio copione, così immerso da non accorgersi nemmeno lui delle carenze presenti nelle scene, quelle che mi aveva rinfacciato.  In quello stesso punto Klaus era ritornato anche con mia sorella Lidia, in uno o più bagni tristi di pomeriggio, nei quali si erano inquinate le loro maledizioni sentimentali. E anche io, poco lontano da quel punto, forse esattamente quello stesso punto, mi ero accovacciato, accanto alla bella Irene, quando le cercavo nella borsa la crema solare per bambini e mi accorgevo di quella lettera con la busta strappata, che non ebbi il coraggio di estrarre e di leggere alle sue spalle, mentre con un pretesto le sistemavo meglio l'asciugamano nel vento. Tutto ritornava e si rievocava, in quello stesso punto, svanendo nell’ultimo respiro di sigaretta, mentre il fumo dei due camerieri si fondeva con i riflessi azzurrati del mare. Solo allora dissi qualcosa. In un sottovoce percepibile, ma stabile, diretto, un poco vacillante [...]".

Da "Il sangue dell'aria", romanzo inedito di Luigi Salerno

mercoledì 13 settembre 2017

Ombre in paradiso




"Mi fermai davanti al negozio di pipe Dunhill. Brune, lucenti o opache mi apparvero i simboli della vita borghese e della sicurezza, promettenti un riposo prezioso e serate di conversazioni tranquille, notti col profumo di miele, di rum, di tabacco, stagnante ancora nei capelli, nel bagno attiguo il leggero fruscio di una donna non troppo magra che si prepara per la notte e per l'ampio letto. Come era diverso tutto ciò dalle sigarette in terra straniera, fumate sino alla cicca, schiacciate in tutta fretta, le nere gauloises, che odoravano di angoscia, non di piacevole tranquillità!".

Estratto da "Ombre in paradiso", di Erich Maria Remarque



martedì 12 settembre 2017

"Melting point", di Baret Magarian (Quarup 2017)







lunedì 11 settembre 2017

"I numeri di Anna Recanatini", di Manuela Giacchetta




Posso dire di aver avuto l'onore di aver letto questo racconto, – classificatosi secondo al prestigioso premio letterario "Antonio Fogazzaro 2017", nella sezione racconto inedito – ancora prima che Manuela lo iscrivesse al premio. E quindi mi fa ancora più effetto rileggerlo dopo la premazione, avvenuta sabato scorso a Villa Gallia, a Como. 
Tra l'altro avevo percepito fin dalla mia prima lettura che questo racconto avesse qualcosa di più, qualcosa di lontano, intenso e ispirato, che non poteva passare inosservato; anche perché anche la sua scrittrice ha qualcosa in più, di lontano, intenso e ispirato, che non poteva passare inosservato. Per cui ...

Qui, la possibilità di leggere il racconto "I numeri di Anna Recanatini".





domenica 10 settembre 2017

L'intercapedine (Impromptu)


Il passaggio lieve di un'alba, dalla finestra non del tutto chiusa. È un tipo di luce che non rivela ancora il giorno, ma soltanto una sua patina desertica, non così lontana dai rinvenimenti di alcuni crepuscoli o da una breve serata di pioggia. E dentro la camera si sofferma in bagliori questa intercapedine di increato, una vena di glaucoma, incastonata nel silenzio e nel nitore della palpebra; dove non ci sono ancora i camion, neppure passano gli uccelli.



sabato 9 settembre 2017

"La rosa del deserto", estratto da un racconto inedito


“Questa casa non ha mai avuto luce, intendo luce naturale, quella che entra dentro le camere e al mattino rende tutto più facile. La voglia di vivere è facile, quando esiste la luce. Quando ero piccola era l’unica cosa che non mi mancava. La luce. La luce naturale, che si diffondeva in tutta la casa e in tutta la vita, come una cosa facile, facile perché era sempre disponibile, senza che dovessi comprarla, chiederla o implorarla. Non avrei immaginato un luogo senza quella luce naturale, quella delicatezza così astratta, che però un po’ mi parlava, non solo sotto le palpebre, quando ero ancora nel dormiveglia e lei veniva a carezzarmi, ma anche all’orecchio, come se quella luce fosse una voce, una voce soltanto luminosa, di qualcuno che esistesse soltanto per me e che mi confidasse ogni mattino il suo piccolo bene di luce, ma in gran segreto, senza che lo sapesse e lo sentisse nessuno. Ero convinta, ma questo anche quando ero più grandicella, che la luce naturale che esisteva nella mia casa e nella mia vita, avesse il suo senso solo e unicamente per me. O quanto meno che quella che io percepivo e amavo fosse una parte di quella luce che sentivo soltanto io, in quel modo lì, e che arrivava solo da me e da nessun altro al di fuori di me. Nessuno a casa amava la luce naturale quanto me. Per loro c’era e per il fatto che c’era sempre e che fosse sempre disponibile, è come se non esistesse, come succede con le persone, con quelle che trovi sempre allo stesso posto, ad attenderti, intendo quelle più docili, semplici, a volte anche un po' stupide e seccanti, che non fanno mai problemi per esserci e accompagnarti da qualche parte, quelle che non ti lasciano mai in pace, ma anche mai da sola, anche se al loro posto ne vorresti altre.   Insomma, ero convinta che quelle persone fossero quelle più sole, perché tutti le dimenticavano, per il fatto che ci fossero sempre e che non avessero cose importanti e speciali dove andare, che non fossero richieste e desiderate per la loro assenza, ecco. Essendoci sempre ci sarebbe stato sempre il tempo di dedicarsi a loro e quindi di stancarsene. Ma la cosa principale era occuparsi delle persone imprendibili, quelle complicate, che sfuggono e che da un momento all’altro potresti  non trovarle più e che vanno a tutti i costi inseguite, fino alla morte, per essere felici. Era così che funzionava il mondo, quando ero bambina, ma anche ragazzina, adolescente: la mia luce naturale, quella che amavo e che sentivo quasi una persona, per gli altri non contava perché c’era ed era facile, e forse stupida, mentre per me la sua bellezza e la sua poesia erano proprio legate alla sua esistenza, al fatto che fosse molto facile da ottenere, ma anche facile da perdere, se non la percepivi con quel tipo di innocenza e non la considerassi stupida solo perché era sempre lì, disponibile. Era quello il motivo del mio amore per la luce naturale della mia casa e della mia cameretta: il fatto che fosse dedicata a me, che mi proteggesse e non si negasse mai. Andava premiata, quella luce. Sapesse quanto mi manca, adesso, in questa casa. In questa casa dove anche in una giornata luminosissima la luce è stanca, pesante, fa sempre fatica a diffondersi e a prendere fiato, proprio come mi succede quando scendo un po' di corsa o quando faccio le scale, che mi prende sempre il fiatone. Anche adesso, mi dispiace ma mi devo fermare, altrimenti poi non riesco”, e Astrid allora si fermò.

Luigi Salerno


venerdì 8 settembre 2017

L'importanza degli altri


Henry Hopper e Mia Wasikowska


Ieri pomeriggio ho rivisto, credo per la terza volta, il film "Restless" di Gus Van Sant, –  anche perché siamo in piena fase di montaggio e di elaborazione delle musiche originali del progetto "Finalmente l'inverno" e mi andava di captare energie e stimoli da lavori che mi hanno colpito e che potrebbero riservarmi ancora qualche sorpresa o illuminazione, come mi capita tutte le volte che rivedo un film o mi imbatto per la seconda, terza o anche quarta volta in un'opera molto amata e quindi interiorizzata. 


Jason Lew

Lungo l'approfondimento di questo film di Gus Van Sant, scorrendo, come mio solito, nei contenuti extra, ho colto un pensiero dello sceneggiatore di "Restless", Jason Lew, che dice questo:
 "L'arte è spesso una guerra di logoramento. Lotti per qualcosa che credi debba esistere. C'è qualcosa che vuoi fare attraverso il racconto di una storia. È stato bello lavorare a questa storia con persone che la pensavano così".

Ancora una volta, anche ascoltando con attenzione queste testimonianze, rimango convinto che è nella cooperazione, nella sinergia di intenti che ciascuno potrà ritrovare la propria voce, la propria chiave espressiva e la propria unicità, che ha sempre bisogno di riscontri e mai di un ostinato isolamento. 
Credo che debba moltissimo alla mia esperienza con il cinema indipendente, con tutti i fantastici incontri che ho fatto, con tutte quelle persone che mi hanno dato la loro fiducia e il loro affetto, come la loro arte e umanità, sia nei momenti più duri e logoranti che in quelli più belli – anche se non sempre, o quasi mai, i momenti più belli sono legati ai momenti più facili; persone che mi hanno lasciato sempre qualcosa di unico e di indimenticabile e nelle quali mi sono perso, per ritrovarmi, come forse non sarei mai stato. Di sicuro riscoprendomi una persona migliore, e penso anche più vera e felice.








giovedì 7 settembre 2017

Processione notturna


Fino a pochi minuti fa avvertivo ancora le loro voci, quelle fioche e surreali della processione notturna, che ogni settembre, a quest'ora, spiana la sua calma verso il santuario. Gli alberi, non potati a dovere, quest'anno mi hanno impedito di scorgere le tante figure in fila, che procedono come scolaresche senza tempo, per raggiungere nella nottata il sentiero che ricordo denominato "dei cento minuti a piedi", quando lo intravidi dalla  mia macchina, qualche pomeriggio estivo che ero di passaggio lungo l'orlo del bosco, per salire verso la montagna.
La pioggia ha smesso da un pezzo. L'aria è rappresa da una costante schiarita e dalla creta modellata di queste voci antiche, appena stonate, che ancora si addensano e già ti perdono nel silenzio. 




Chiara Condrò: due monologhi sul sofà


Condivido con molta gioia due brevi monologhi di Chiara Condrò, splendida amica e bravissima attrice, che fanno parte di un suo nuovo progetto, volto a creare una sua piccola personale library di estratti da opere cinematografiche o serie tv. Il tutto, e non è poco, rigorosamente dal suo divano di casa.
L'idea di questo suo intento, di cui Chiara mi ha parlato con molta emozione ieri mattina, mi è piaciuta molto e ho deciso quindi di seguirne il più possibile l'evoluzione, augurandole un percorso entusiasmante e proficuo.

Seguono due monologhi estratti dai film "Blue Jasmine", di Woody Allen e "Maps to the stars", di David Cronenberg.










mercoledì 6 settembre 2017

L'esperienza più bella e profonda


"L'esperienza più bella e profonda che un uomo possa avere 
è il senso del mistero".

Albert Einstein


















martedì 5 settembre 2017

L'ascolto e il tacere, dicendo


Mi accorgo che non desidero più così tanto esprimere sempre e a tutti i costi i miei pensieri, nei pochi spazi personali di cui dispongo dove potrei concedermi questa sorta di lusso; ma ci sono dei periodi dove preferisco di gran lunga ascoltare. Ascoltare i pensieri degli altri, al limite condividerli, senza intralciarli con il mio punto di vista. E nello stesso tempo mi accorgo che le persone che sono più gradevoli da ascoltare, sono le stesse che prediligono l'ascolto, e che pongono il loro ascolto alla stregua della loro voce, della loro voglia di dire prima, possibilmente meglio e più degli altri. Il desiderio di ascoltare che diventa della stessa intensità, se non maggiore, di quello di dire. Ascoltando e poi anche tacendo, in molti di quei particolari casi, si dice.



lunedì 4 settembre 2017

"La compagna di classe" (The classmate)



"Now i only remember your nape, when we were in school. 
Your nape in the time. And nothing else..."

"Ricordo solo la tua nuca di compagna di classe. 
La tua nuca nel tempo. Poi niente più..."










Nelle foto di sopra l'attrice Chiara Condrò











domenica 3 settembre 2017

L'insoddisfazione


"Scrivo perché sono insoddisfatto di quel che ho già scritto e vorrei in qualche modo correggerlo, completarlo, proporre un’alternativa. In questo senso non c’è stata una “prima volta” in cui mi sono messo a scrivere. Scrivere è sempre stato cercare di cancellare di già scritto e mettere al suo posto qualcosa che ancora non so se riuscirò a scrivere".

Italo Calvino





sabato 2 settembre 2017

Il tempo passava e ci sbiadiva: "Andreina e l'imbrunire".


"Il tempo passava e ci sbiadiva. La domenica mattina passavo a prenderla verso le dieci, per una passeggiatina molto semplice, senza pretese. Si parlava poco. Andreina della sua settimana passata a scuola e di quella che sarebbe arrivata; io di qualche verbo irregolare di inglese, ma preferivo sempre ascoltare lei. Poi si pranzava insieme, qualche volta a casa di mia madre, anche insieme a mio fratello, con sua moglie Adriana e le sue due bambine. Il pomeriggio la riaccompagnavo a casa sua, sempre a piedi, dove rimaneva da sola tra le sue cose. Un riposino, ancora qualche appunto per la lezione del lunedì. Di sera passavo a riprenderla e la portavo nel parco, quello vicino casa sua, per baciarla un pochino, quasi di nascosto dal mondo. I nostri baci nel parco, anche se molto brevi e così minuti, rimanevano meravigliosi. La sua bocca sapeva di nevi e di malinconia, e dai suoi occhi chiusi sentivo il freddo vero nell'anima, ma anche i campanelli delle biciclette sul finire di un' estate o di un'intera vita, come di quella domenica all'imbrunire, che cominciava già a svanirci dentro e a portarci un po' con lei, lontano da noi due. In quei momenti, ormai i nostri ultimi della domenica, credevo e sentivo di amare Andreina ancora di più delle altre volte, per via di quella strana spossatezza che ci prendeva, forse per il pensiero del lunedì, o della morte di un giorno di festa, che avveniva nei nostri silenzi di studenti e nella bruma delle nostre carezze. Quando poi arrivava il momento di staccarsi, quando si faceva l'ora, la vedevo ricomporsi i capelli, dietro gli occhialini da maestra una nube di rossore, poi  girava lo sguardo, ancora spettinata, si ricopriva le belle gambe ancora un po' scoperte e mi evitava, come se fossi un estraneo, un perfetto sconosciuto, o quel suo allievo triste dell'ultimo banco, di cui mi diceva ogni tanto.
Avrei dovuto attendere un'intera settimana per poterla baciare e toccare di nuovo, come facevo tutte le domeniche sere nel parco, all'imbrunire. In quelle sere non mi sembrava di baciare o di carezzare appena Andreina, ma l'imbrunire. È anche per questo che quando poi ritornavo a casa mia da solo, dopo averla riaccompagnata al suo portoncino dello stabile numero sedici, mi accorgevo e sentivo che Andreina era davvero l'imbrunire e che forse anche l'amore era fatto di solo imbrunire, come la nostra domenica appena finita. Era davvero questo, forse? O soltanto per me?".

Estratto da "Andreina e l'imbrunire", racconto inedito di Luigi Salerno

venerdì 1 settembre 2017

Non si è mai


Non si è mai poeti per le proprie parole. Quelle sono altro, quelle della poesia sono parte di altro. Un'altra politica di sguardo, credo. Un altro impianto tonale, un altro fuoco, che mentre dice poi nello stesso momento ne tace. 
In quelle parole, in fondo, non si è mai:

l.s.