sabato 9 settembre 2017

"La rosa del deserto", estratto da un racconto inedito


“Questa casa non ha mai avuto luce, intendo luce naturale, quella che entra dentro le camere e al mattino rende tutto più facile. La voglia di vivere è facile, quando esiste la luce. Quando ero piccola era l’unica cosa che non mi mancava. La luce. La luce naturale, che si diffondeva in tutta la casa e in tutta la vita, come una cosa facile, facile perché era sempre disponibile, senza che dovessi comprarla, chiederla o implorarla. Non avrei immaginato un luogo senza quella luce naturale, quella delicatezza così astratta, che però un po’ mi parlava, non solo sotto le palpebre, quando ero ancora nel dormiveglia e lei veniva a carezzarmi, ma anche all’orecchio, come se quella luce fosse una voce, una voce soltanto luminosa, di qualcuno che esistesse soltanto per me e che mi confidasse ogni mattino il suo piccolo bene di luce, ma in gran segreto, senza che lo sapesse e lo sentisse nessuno. Ero convinta, ma questo anche quando ero più grandicella, che la luce naturale che esisteva nella mia casa e nella mia vita, avesse il suo senso solo e unicamente per me. O quanto meno che quella che io percepivo e amavo fosse una parte di quella luce che sentivo soltanto io, in quel modo lì, e che arrivava solo da me e da nessun altro al di fuori di me. Nessuno a casa amava la luce naturale quanto me. Per loro c’era e per il fatto che c’era sempre e che fosse sempre disponibile, è come se non esistesse, come succede con le persone, con quelle che trovi sempre allo stesso posto, ad attenderti, intendo quelle più docili, semplici, a volte anche un po' stupide e seccanti, che non fanno mai problemi per esserci e accompagnarti da qualche parte, quelle che non ti lasciano mai in pace, ma anche mai da sola, anche se al loro posto ne vorresti altre.   Insomma, ero convinta che quelle persone fossero quelle più sole, perché tutti le dimenticavano, per il fatto che ci fossero sempre e che non avessero cose importanti e speciali dove andare, che non fossero richieste e desiderate per la loro assenza, ecco. Essendoci sempre ci sarebbe stato sempre il tempo di dedicarsi a loro e quindi di stancarsene. Ma la cosa principale era occuparsi delle persone imprendibili, quelle complicate, che sfuggono e che da un momento all’altro potresti  non trovarle più e che vanno a tutti i costi inseguite, fino alla morte, per essere felici. Era così che funzionava il mondo, quando ero bambina, ma anche ragazzina, adolescente: la mia luce naturale, quella che amavo e che sentivo quasi una persona, per gli altri non contava perché c’era ed era facile, e forse stupida, mentre per me la sua bellezza e la sua poesia erano proprio legate alla sua esistenza, al fatto che fosse molto facile da ottenere, ma anche facile da perdere, se non la percepivi con quel tipo di innocenza e non la considerassi stupida solo perché era sempre lì, disponibile. Era quello il motivo del mio amore per la luce naturale della mia casa e della mia cameretta: il fatto che fosse dedicata a me, che mi proteggesse e non si negasse mai. Andava premiata, quella luce. Sapesse quanto mi manca, adesso, in questa casa. In questa casa dove anche in una giornata luminosissima la luce è stanca, pesante, fa sempre fatica a diffondersi e a prendere fiato, proprio come mi succede quando scendo un po' di corsa o quando faccio le scale, che mi prende sempre il fiatone. Anche adesso, mi dispiace ma mi devo fermare, altrimenti poi non riesco”, e Astrid allora si fermò.

Luigi Salerno


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