sabato 29 ottobre 2011

Passaggio a livello, prossimamente su Starbooks Coffee in versione definitiva:

Tra i prossimi titoli della libreria di Starbooks Coffee, sarà disponibile nel formato Pdf, il mio racconto "Passaggio a livello", in licenza Creative Commons.
La versione che Starbooks renderà disponibile gratuitamente, è alquanto diversa dalla precedente, che qualcuno potrebbe aver trovato sui recenti aggiornamenti di Scribd. La collaborazione con Starbooks, mi ha datto la possibilità di rettificare il mio lavoro, con un editing che credo gli abbia fatto un gran bene. In ogni caso, lascerò disponibile anche la vecchia versione del racconto, ancora sul sito di Scribd e con la stessa licenza, per consentire dei confronti o trarre spunto dalle modalità di approccio a un testo, per verificarne dinamiche, tensioni, sviluppi. 
Credo che nulla più della pratica viva, possa dare delle informazioni su una materia così complessa e misteriosa, come quella dello scrivere e dello strutturare finzioni.
Ogni volta che lavoro su di un testo, anche su di un solo rigo, ho la sensazione di una prima volta e questa è forse la forza e la bellezza di questa attività. Tra l'altro, più sono brevi le storie – come nel caso specifico – e più lo spazio si riduce, più si deve lavorare di fino, con economia, attenzione, equilibrio, lucidità, sensibilità. Su questo stesso spazio, terrò aggiornati i miei lettori più fedeli, sull'uscita del racconto in versione definitiva, invitandoli a commentarlo anche sul blog della Starbooks Coffee. Inoltre li invito a visitare anche le pagine di Marco Freccero, dal suo blog: Certi racconti sono un tiro mancino, molto interessante, soprattutto per quanto riguarda le analisi dei racconti che propone tra le sue letture, presi da varie angolazioni e con citazioni e spunti autorevoli e stimolanti. Marco Freccero è anche scrittore, oltre che blogger. Sul suo blog anche la possibilità di alcuni download dei suoi lavori che ha scelto di condividere.
È tutto.

venerdì 28 ottobre 2011

A volte:


...non so se perdermi con lo sguardo
nelle sparse stellate dell'Orsa,
o nella nuca dolce di un down,
per quanto mi falciano a volte di Dio,
e nello stesso lontano modo
di una ragazza dietro gli occhiali
con i capelli dentro un nodo.

Starbooks Coffee


Le buone idee sono quelle che consentono di favorire slanci. Ne basta una di buona idea, e da quella stessa possono favorirsi molti slanci, come in un contagio e anche molte buone idee derivate. In effetti la buona cultura di condivisione, è quella che consente di partecipare a un interesse comune, con una certa attenzione e sensibilità letteraria, – come nel caso specifico – senza utilizzare lo strumento a senso unico, solo per carpire interesse verso i propri affari di scrittura. In questo contesto si armonizza a perfezione l'intento dell'espressività individuale e quello dell'attenzione alle altre voci – ne parlavo nel post precedente – e a quello che fanno gli altri, con la possibilità di aggiungere all'esercizio o capriccio di bravura individuale – si fa per dire – uno stimolo all'accrescimento attraverso l'ascolto. Come in un bar di un certo livello, uno di quelli dove scriveva Henry Miller, qualche stralcio dei suoi Tropici, o dove diversi scrittori ricevevano visite e vedevano svanire e riaffiorare dal fumo le luci di una città o di  un loro sogno.
L'idea degli ideatori di Starbooks Coffee (molto allitterante) è una di queste buone idee e ha il sapore del fumo di un bar (adesso penso anche a Giorgio Caproni), ma anche il calore di un amico o di un riferimento prezioso. Una libreria in rete, con materiale condivisibile e selezionato, in modo da creare una struttura di riferimento per chi scrive e per chi legge, una vetrina dove guardare e non soltanto dove apparire. Tra l'altro in modo molto professionale e raffinato – cosa piuttosto rara, di questi tempi!
Ho approfondito da poco la loro realtà, anche un po' per caso, e tra l'altro la loro buona idea mi ha anche consentito di riaprire una storia di un po' di tempo fa – una storia scritta di getto  – che dovrebbe far parte dei loro scaffali,
Credo che sia importante seguire quello che accadrà in questa libreria e anche sul loro blog, dove vi sono diverse opportunità di interagire e di poter partecipare, sia commentando i testi resi disponibili gratuitamente, sia parlando di esperienze personali, legate alla scrittura e a materie affini.
Tra l'altro, il racconto in questione "Passaggio a livello", lo avevo proposto su Scribd e linkato in questa sede, mentre adesso avrà un assetto alquanto diverso, anche grazie ad alcuni preziosi suggerimenti da parte della responsabile di redazione. A conferma che qualsiasi procedimento di scrittura vada nutrito con confronti e mai isolato in un contesto solipsistico.
Lascerò disponibile la versione vecchia del mio lavoro, che per gli interessati si potrà confrontare con quella inserita a breve nella libreria di Starbooks, per dimostrare quanto facciano bene e siano salutari certe buone idee!
Buona giornata.

mercoledì 26 ottobre 2011

Qualità dell'attenzione e della relazione

Il pericolo in ogni forma di comunicazione, si annida nella qualità dell'attenzione ricevuta. Mai come in  questa fase così complessa, di grandi fermenti, rivoluzioni digitali e di relazioni, conviene riflettere sul tipo di attenzione e di qualità dell'attenzione ricevuta, quando in un certo modo ci si espone.
Partendo dal presupposto che qualsiasi forma espressiva si ponga altro come meta, oltre al semplice richiamo numerico dell'attenzione, in senso lato, – come oggetto di un'aspettativa generica verso un tipo di ascolto, – va anche detto che senza la conferma di una certa attenzione, lo stimolo all'immaginario e diversi moventi creativi successivi o anche correlati, rischierebbero di sbandare o di disseccarsi, se non supportati da altri tipi di polmoni, che ne sostanzierebbero le dinamiche o gli spasmi. Va quindi dato per certo che la ricerca dell'attenzione, sia quasi basilare perché abbia senso una forma minima di comunicazione, perché la si organizzi in un certo modo e non più in un altro: per ottenere una certa corsia preferenziale e prioritaria. Ma quale tipo di attenzione? Quanto consapevole e davvero autentica?
Nel momento attuale, vi è la possibilità di potersi esporre, rispetto a prima, anche non molto tempo fa, con maggiori comodità, con tempi immediati, prediligendo spesso la reazione immediata alla propria formula espressiva, anziché i lunghi percorsi di gestazione e di attesa, che forme meno evolute di relazione e di comunicazione, costringevano, ahimè, a rispettare. Le dinamiche moderne di relazione, hanno sensibilizzato all'espressione e quindi al concetto democratico di espressività, persone che in altri contesti non avrebbero minimamente pensato di esporsi o di rischiare certi azzardi, dal momento che non vi erano i presupposti perché l'impulso espressivo potesse maturarsi e diventare un'urgenza – o a volte, ma non sempre, un'insolenza. D'altra parte non credo che esista una legge che vieti a qualcuno di esporre una propria idea del mondo, attraverso un canale che avverte più o meno consono alle proprie inclinazioni, che abbia a che fare più o meno con un processo o un percorso artistico, ma qui la faccenda si farebbe troppo complessa, non vorrei andare troppo al largo. 
Il problema rimane ancora la fame di attenzione. Le lucine sul palco sono bene accese, lo spazio sembra necessario e sufficiente perché ci si metta in gioco e si investa una tessitura fitta di relazioni, come tramite se non esca di una certa espressività, sopita e forse latente da tempo, ma che aveva bisogno di maturare la certezza di una forma sicura e immediata di ascolto e di reazione e consenso tempistico, per potersi disincantare dal suo lungo sonno. Dunque, per non perdere il filo, se riesco a stringere una rete solida di relazioni, più o meno superficiali ma consistenti, dal punto di vista numerico, e ho qualcosa da dire e che mi preme dire, sarei a cavallo. In un contesto relazionale, giocando su diversi fattori, della mia persona, della mia attitudine a gestire e a maturare la pasta e la grana di questi intrecci, potrei giustificare qualsiasi cosa io proponga, anche se mediocre, o appena accennata, o sussurrata, per la sola fatica di aver suggellato un patto assistenziale di fiducia o di sangue, per qualsiasi cosa esca dalla mia bocca, dalle mie dita, dal mio pensiero, che sia la fiammata di un drago a tre teste, o un lied di Hugo Wolf. L'attenzione diventa numero. Il dito premuto che clicca e premia, è parte di un impero di numeri che premia l'arte e l'impegno della relazione e della dedizione alla tessitura relazionale, contro tutto il gravoso resto che dovrebbe officiare e rappresentare il contenuto e il contributo più profondo del proprio dire. La propria voce, il proprio cantus. 
Quante volte avrò prestato attenzione e anche premiato, cose appena sfiorate, e di fronte alle quali avrò anche sorriso, ma che rimarranno violate da un mio passaggio d'ombra, che mi corporerà nella numerica globale, come adepto o prova singola di un'adesione a una forma d'arte, a una capacità che in fondo non è manifesta, e forse nemmeno ostentata, ma che nemmeno esiste. Quanto la bellezza dell'involucro, potrà continuare a proteggere e a celare, altre possibili e temibili mancanze? C'è davvero così tanto spazio per il vuoto? Ma soprattutto: c'è ancora chi incoraggia il vuoto?
Uno scrittore si accorgerà del tipo di attenzione numerica ricevuta? Quanto sarà legata a un ascolto, e quanto invece a uno spasmo o contrazione relazionale, che premierà il contenuto così come la simpatia, l'audacia, senza nemmeno capire di cosa si tratti o quanto davvero valga?
Ancora dell'altro. In una condivisione di passioni e di intenti, si tende a dare ascolto ed elogio a un potenziale ascoltatore-scrittore, anche se la sua voce non sarà così pregiata e di valore, ma sarà parte numerica o coefficiente della costruzione del mio impero. Anche se qualcosa non merita la mia attenzione, o meglio, non incontra il mio gusto, continuo a premiarla per ricevere in cambio la stessa stupida e sufficiente tolleranza, che nella cifra globale però avrebbe lo stesso peso di un'attenzione ispirata e di qualità. Il numero non arriva a spiegare la differenza, ma conta. È quello che deve fare il numero.
Alla fine rimaniamo sui numeri, sul loro infinito. Eppure questi numeri hanno la loro forza, hanno gli occhi chiari. Qualcuno premiato senza meriti, avrà il suo peso e penserà di essere stato premiato per altro, per il suo valore, anche se non avrà mai le prove del tipo di attenzione ricevuta, non potrà nemmeno trovare quelle prove contrarie, ma soprattutto non ne avrebbe il tempo. Una dedizione a un certo tipo di relazione, ha anche una sua valenza etica, che non si può negare, ma quando si parla di scrittura e di letteratura, le cose dovrebbero cambiare. Ma oggi c'è troppo fermento. Si confondono le chiavi. Adesso tutti vengono assemblati in un unico gregge, e gli autorizzati a dover decidere su questo o quel manoscritto, cercano di farsi  grandi su come sia difficile scrivere bene, o anche solo scrivere – scrivere male è altrettanto faticoso, ma questo non lo dicono mai – e continuano a selezionare in nome di un assoluto che non esiste, corporato in una sequenza impalpabile di dogmi e di standard, che sfumeranno come soffioni, alla prima stoccata di ponentino. 
La solitudine, signori, a volte è l'unica maestra. Credo che alla fine sia bello circondarsi di amici, riempirsi la vita e la casa di relazioni, di sorrisi, di emozioni, ma per carità, che tutto questo non sia un fine e uno strumento per il proprio momento di gloria o di attenzione. Un amico, anche un solo amico al mondo, credo che valga molto di più di qualsiasi sogno o demonico bisbliglio di gloria letteraria, possa un giorno turbare la nostra piccola pace.
Buonanotte:

martedì 25 ottobre 2011

PScrittori Halloween 2011

sabato 22 ottobre 2011

Passaggio a livello, di Luigi Salerno (download free)

Questo racconto, sarà disponibile a breve, in una versione diversa, presso la Libreria Starbooks Coffee, e scaricabile gratis nel formato pdf
Lascerò comunque disponibile la vecchia versione, su Scribd.
A presto.

venerdì 21 ottobre 2011

Estratto romanzo Capitolo I mp3 Internet Archive:

Diploma d'onore con Nadine:

Con il racconto breve Nadine, di Luigi Salerno: diploma d'onore (XVIII edizione) Romany Friend" Arts Competition  2011 Lanciano.

giovedì 20 ottobre 2011

Taccuino: struttura e sonorità:

Nei percorsi letterari, o affini, uno scrittore non può prescindere da alcuni parametri fondamentali.
La struttura e la sonorità. Qualsiasi sia il suo genere, deve avere ben tese queste due ali. Ben robuste ed equilibrate.
Una scrittura deve avera una buona pasta di suono, personale, inimitabile, anche se sporca, deve avere un suono proprio, che non è la stessa cosa dello stile. E poi anche una buona struttura, un impianto dove la sua voce possa accordarsi e ricordarsi in qualche modo. Senza suono una struttura non si muove. Senza struttura un suono è un semplice ronzio di insetto, ma in ogni caso conta molto lavorare dall'interno. Uno scrittore che non lavora dall'interno e cerca solo lettori o metodi perché questi lettori si affollino sulla carta moschicida di un certo richiamo, o di una certa moda – che decida quale sia il richiamo giusto per scrivere bene –, non avrà mai un suo suono. Potrà lavorare sulla struttura, anche un fisico o un ingegnere potranno lavorare perfettamente su di una struttura o su di un impianto, ma non sulla personalità o sul dolore di un suono. Sulla purezza, sulla coerenza o l'influenza di un certo suono interno, e internato da una propria esperienza intima e non programmata per alcun tipo di futura condivisione, – altrimenti non avrebbe quella giusta intimità e profondità per definirsi una vibrazione interna. 

Il telegramma (selezionato tra i migliori racconti Terre di Mezzo/Holden 2008 Milano)







il telegramma

Archivio testi scaricabili:

mercoledì 19 ottobre 2011

Bottoni, di Luigi Salerno (download free)


bottoni

Da una lettura pomeridiana. Il nuovo e il già conosciuto.

Alcuni paragrafi possono dire qualcosa di nuovo e trafiggerti di questo nuovo che già sai. Non tutte le cose che si sanno sono vecchie, e nemmeno le cose già viste e già lette sono o diventano vecchie. Non credo che abbiano tempo. Le cose che si sanno, di solito, non hanno tempo, e diventano nuove quando vengono dette e riascoltate in modi e in momenti particolari della propria vita – saranno quelli allora le lancette imperfette? 
Ci sarebbe da interrogarsi sul rapporto tra il tempo e le parole, ma preferisco abbandonarmi al vivo di questo stralcio, da un libro straordinario, un regalo di Natale fatto a mia sorella, che ho preso in prestito per la seconda volta, e nel quale scopro sempre nuove cose da cose che già conoscevo e che ritornano, per un incanto, conosciute e sconosciute insieme. Cose che si conoscono senza saperle davvero, fino a quando non c'è qualcuno che ti ricorda, con la sua voce, della loro esistenza. (Sarà questo allora il senso misterioso del leggere e dello scrivere?).
Una come questa, per esempio:

Per molto tempo non udii nulla, poi alcune parole, di cui per lo più non capii il nesso, infine delle parole che si riferivano chiaramente all'attività letteraria dell'industriale. Nell'ultima settimana aveva fatto enormi progressi, disse l'industriale, e aveva intenzione di continuare così. "Anche se ho distrutto tutto quello che ho scritto finora," disse "ho fatto lo stesso enormi progressi".
Da Perturbamento di Thomas Bernhard

Scrivere è guardare dai vetri:

Non credo che siano così grandi le differenze. Tra scrivere una canzone, un romanzo, dei versi, potare un melo, nuotare, passeggiare, guardare uno stormo, un tramonto, un temporale nero; c'è lo stesso confine tra il sentirsi in essere o in fare. Sentirmi in essere di quello che faccio, ha lo stesso sapore e sopore di una cosa non fatta ma vissuta, da vivere non perché si attivi da un braccio, ma perché si irradi.
Non credo che tra lo scrivere e il guardare dai vetri un temporale, si attivino queste grandi distanze. Se mi riconosco solo in quello che faccio,  potrei romanzare nell'immobilità e comunicare al mondo il mio essere felice o già stanco, semplicemente vivendo quello che mi accade con lo sguardo. È la tensione di un risultato che ingabbia nel fare l'incanto di essere, comunque e nonostante, vivo e vivace, tra l'espresso e l'inespresso, senza addentare la mia realtà per collocarla di forza in una fornace, impastarla alla meglio e imboccare i passanti.  Senza volontà creativa, senza la macchina della creazione, ma solo la sua pace notturna e invalicabile, che potrei esercitare di frodo, come una ragazza in ritardo un trucco a matita nelle lacrime, poco prima di uscire.
Non credo che lo scrivere, per concludere, faccia parte del mio fare. Vorrei disfarmi del braccio e del laccio che scrive e che fa, e che dice come sia meglio fare e che divide, che frappone e giudica e pregiudica, il ben fatto, il mal fatto o il mai fatto, per lasciare spazio all'attività opposta, quella che rimane in piedi e ostinata senza la tensione della verifica, del risultato, e che non risulterà mai per nessuno al mondo ma che avrà il suo peso. Un' azione di solo fare non potrà mai risultare come vorrei. Vorrei fare non facendo, o dimenticando di fare e poi disfarmi nel mio non fare, perdermici, come negli occhi di una strada amata, in una musica da film.

martedì 18 ottobre 2011

Convegno Internazionale di Poesia - Anterem

Convegno Internazionale di Poesia


RIVISTA ANTEREM – BIBLIOTECA CIVICA DI VERONA

In occasione dei venticinque anni del Premio Lorenzo Montano, la rivista “Anterem” e la Biblioteca Civica di Verona promuovono un Convegno internazionale di poesia.

Sono in cartellone dodici appuntamenti che prevedono eventi poetici, filosofici, musicali e artistici con autori internazionali. Tali eventi si svolgono da venerdì 11 novembre a domenica 20 novembre 2011 negli spazi della Biblioteca Civica di Verona. 

La nozione sulla quale ruoterà il Convegno è “Parola per parola”. La finalità è far emergere l’intima relazione che unisce la poesia e l’umana esistenza, ponendo al centro dei vari incontri le questioni che legano la poesia alle complesse problematiche del nostro tempo. 

Per ulteriori informazioni e per scaricare il programma:

lunedì 17 ottobre 2011

National Novel Writing Month 2011



Per chi non lo conosce: qui.

domenica 16 ottobre 2011

Taccuino

Sono convinto che nell'impulso di scrittura e in successione in quello più descrittivo, si giochi una sfida con l'inesprimibile o l'inespresso. Con quello che potrebbe giacere per lungo tempo senza voce, ma che in qualche modo va smosso, anche di poco, dal suo processo di stasi con un esercizio costante, a volte svelto e radioso, altre volte cupo e logorante. Tutto il non detto, e il non scritto o il non ancora scritto, risentirebbe di questa frustrazione, così quanto il detto, lo scritto e il già scritto.
Quando questa frustrazione diventa invece altro, si intrattiene e si diverte con altri spasmi o pulsioni, allora si starà cominciando un altro passo, forse più pulito, e l'inespresso diviene così importante quanto o di più di quello che si esprime, da essere desiderato sempre più oscuro, in modo da rafforzare tutto l'impianto e tutti i passi e i passaggi che si affineranno per proteggerlo del loro stesso chiaro.
Una matrice e non un handicap. Mi esprimo, in questo caso, solo se sopprimo qualcosa, e in questa soppressione avviene una certa fecondazione o risonanza di espresso dal soppresso.
Solo con qualcosa di inespresso, si potrà garantire autenticità a quello che si pensa e che qualche volta si scrive e si esprime. Nello sforzo e nel contrasto degli opposti, forse si crea. Dall'oscuro ci si imprime.

Il disabitato: estratto Primo capitolo

Il disabitato Di Luigi Salerno, Edizioni Il Pavone 2011 - Estratto

sabato 15 ottobre 2011

Meerschaum di Luigi Salerno (Prova tecnica Atto Unico con finale)


Meerschaum

Questo breve Atto Unico, è una piccola prova tecnica sulla consapevolezza e sulla fuga dalla dimensione affettiva, rilette in una chiave insolita e sospesa tra aspetti surreali, onirici e grotteschi.
Una ricerca della trasgressione nella famiglia e della familiarità e del riparo nella trasgressione. I sei personaggi, in questo caso tre coppie “clandestine”, rifugiate per una breve vacanza in un locale freddo e senza letti, non si accorgono di aver scelto come amanti e come mariti gli stessi professori d'inglese dei loro corsi. Tre ruoli diversi con le stesse persone, che si ritroveranno sempre tra i piedi, in qualsiasi dinamica di relazione e altrettanto inconsapevoli perché altrettanto accecati dalla furia del cambiamento. Come in un gioco dell'oca, le pedine avanzano nella nebbia, mosse da lanci di dadi ignoti, e fuggendo ostinatamente dalla percezione di un minimo richiamo affettivo in ciascuna delle loro scelte, e senza riuscire a comunicare. Quando avvertiranno in lontananza il rumore della schiuma del mare, come richiamo a un ascolto più interiore e raccolto alle loro esigenze più profonde e sconosciute, forse sarà troppo tardi.
Una piccola prova sperimentale e in embrione, per cercare di analizzare una mia idea della solitudine; la cecità del desiderio di fuga e di ritorno, che spesso lascia accecati e murati nello stesso luogo. Nelle stesse reti.

Writers

Writers, un programma per interviste a scrittori emergenti. Scovato ieri, originale e ben fatto. La scrittrice dello stralcio di puntata è Valentina Coscia. Il conduttore è Dado Tedeschi.

La malinconia di un personaggio

Capita che anche un solo pensiero, non scritto, può diventare parte reale della mia vita, quanto le cose che vedo, che tocco, che sento concrete e presenti. A lavoro finito, diversi personaggi vengono a costituirsi parte integrante della mia ossatura, del mio quartiere, la sera, appena illuminato, dei visi che intravedo, allo stesso modo di tutti quelli che non hanno avuto la forza di rimanere a galla nella storia.
La scrittura molte volte diventa una grande opportunità di incontrare una grana più sensibile e rara di malinconia. 
L'amore con il personaggio accudito, preservato, intarsiato, nel tempo, viene corrisposto nel silenzio, senza possibilità di recuperare il respiro, un solo battito di contatto.
Rimane sempre un conto aperto, con quanto avrei potuto dargli di più, della mia vita o dei miei incubi. E questo conto rimarrebbe aperto allo stesso modo, se al personaggio rievocato, avrei dispensato tutte le premure e le attenzioni che avverto mozzate e incomplete una volta calato il sipario sul testo. Se non avvenisse questa sorta di sospensione e di ansia, non saprei più come cominciare la prossima stesura. Tutto quello che manca e che mi distanzia da un certo appagamento, diventa concime per i  tratteggi successivi. In diversi casi tratteggi precedenti, accantonati o frutto di piccoli appunti, ritornano a vivere e a rinforzare una fisionomia, un dialogo, la descrizione di un silenzio, di un grido, di un amplesso. 
Non credo che si disgiunga il percorso che delinea una forma umana, anche se confusa, da un'altra, nata in momenti e situazioni diverse. Tutte le realtà mutanti che ho avuto modo di scoprire e di perdere nella storia – questo perché quando la storia parte, per uno scrittore comincia una perdita, una sorta di abbandono, di un suo limbo, di un suo stadio protetto e immune, che sarà costretto inevitabilmente a modificarsi per ogni minimo impatto successivo –, ritornano dopo tempo, come cani sulla tomba del loro padrone o sull'uscio di casa lasciato aperto, con qualcosa che brilla sul fuoco. 
Per ogni minimo contatto anche svogliato, quello che pensavo accadesse, diventerà e scivolerà nell'effetto di delusione o di stupore dopo l'incidente della lettura. Uno scrittore mai letto, potenzialmente ha ancora un rapporto puro e protetto con i suoi personaggi, non ancora trafitti e toccati dalle percezioni di chi legge senza immaginare, ma contando le lettere. Ancora intonsi, dalla possibilità di condizionarli e viverli, una volta letti e incidentati, come altro, come parte colpevole di qualcosa che poteva essere e non è stato, che poteva dire e non ha detto. Ma se qualcuno conta e non legge e non riesce a immaginare dalle mie parole, sia ben chiaro che la colpa sarà sempre la mia. In ogni caso. Fa parte del gioco, ci sta!
L'unica ancora che mi preserva da questo stadio di grande cupezza, rimane  la speranza della grande malinconia, di ciascuna parte di finzione con cui avrò percorso un certo tratto, zoppicando o saltando gli ostacoli, ma con una parte della mia sensibilità e percezione del reale, che non tornerà più, nemmeno se clonata o imitata nei dettagli delle prossime stesure, come in quel percorso finito.
La malinconia di un personaggio, di uno solo, che mi riappare dopo tempo, è la speranza di tutti gli altri, che abbiano ancora qualcosa da dirmi, di forgiare questo ruolo confuso e di slanciarlo oltre il solo confronto e conforto di un lettore o di mille o di nessuno, verso un livello intimo di comunicazione con un livello di tempo e di realtà, della mia vita, che in altro modo non avrei mai raggiunto, e che non   imporrà nessuna condizione di utilizzo o di profitto, dalla dimensione insostituibile di quel momento.
Il processo dello scrivere, è tanto arduo, quanto di più si avvicina a questo spasmo di ricerca verso un fattore interno e silenzioso,  che è l'unico che possa dare una voce e una risonanza all'ultimo personaggio della storia, quanto al primo. L'unica medicina è il provarne quel tipo di malinconia o trafittura, nel tempo. Nella mia ricerca dello scrivere, avverto di avere sempre qualcosa sul fuoco, e con quella luce sola di fiamma, illuminare gli ambienti della mia scrittura, per lasciare la possibilità al cane che non ho di ritornare a casa.

venerdì 14 ottobre 2011

Prima di spegnere. L'originalità

Questo è uno di quei post, che hanno rischiato di non esistere, così come tante parole che ho scritto senza volerlo, e forse senza nemmeno saperlo fino a due secondi prima di lanciarle. Come uno starnuto. Un post-starnuto.
Niente di che. Dalle mie parti è appena scoccata la mezzanotte, e mi veniva di parlare dell'essere originali. Di quanto sia facile e sia difficile parlare di originalità, dell'essere originali. Sento molto dire dell'originalità, come se fosse un valore aggiunto, ma certo che lo sarà, sarà un valore aggiunto se si beccherà quella autentica, che abbia quanto meno un valore – non è detto poi che lo abbia sempre. 
Che cosa significa essere originali? È originale quello che ho scritto fino a questo momento? La storia dello starnuto post, per esempio, è davvero più originale della parte precedente, o del collegamento successivo, che mi sta dando fiato, perché potrei aver perso il filo, la forza e la voglia di continuare? Quest'ultima parte, questa, questa che è appena passata, per esempio, forse sarà questa ad essere più originale del post allergico o starnuto, come diavolo si chiama? O c'è ancora dell'altro? Ma come farò a definirlo e a dargli forza se non so che cosa sia? Posso descrivere con una certa cura, la differenza tra un luogo di mare e un luogo di montagna. Credo che non sia così problematico. Ma tra un modo di scrivere originale ed uno tradizionale, non mi viene niente. Non saprei dove cominciare e quindi dove finire. Comincio finendo. La scrittura per me è quasi tutto buio. Non è mare e non è montagna. Parlare dell'essere originali è però fondamentale se si tenta di scrivere e di descrivere un mondo attraverso un occhiale. Non è detto che i conoscitori dell'originalità e dell'essere originali, alla fine lo siano di più di coloro che come me ammettono di non avere le idee troppo chiare in merito. 
Una cosa però è certa. La volontà o lo spasmo verso l'originalità, è un cattivo segnale. L'attrazione nell'essere a tutti i costi originali, è molto comune, quindi poco originale o meglio: troppo più comune, – non avendo chiaro il concetto, conviene ragionare un po' per assurdo. 
È un segno di pericolo lo spicco del balzo. Sembra che qualcuno ci tenga a tutti i costi a distanziarsi, e a calcare le tinte, e a fare il possibile per essere di spicco con la forza, con la tinta carica. Molte volte l'originalità ha più calore e più intimità delle cose comuni. È più semplice delle cose molto comuni. Le cose molto comuni sono le cose originali. Non credo che nessun aspetto troppo comune non abbia in sé dell'originale, e non credo che nessun aspetto troppo originale, non abbia in sé del comune.
L'originalità, secondo me, non è così lontana da una cosa comune. Se ci si allontana con troppa coscienza da un aspetto troppo comune, si è meno originali di un linguaggio detto comune, ma anche da un modo di vivere che si dice più comune. Si diventa scomunicati dal linguaggio comune, che è quello che ci consente di sopravvivere nella nostra lingua. Sarei tentato, nel mio buio, di escludere anche l'esistenza di cose comuni e di cose originali. Sarò originale per lo stesso numero di persone che mi riterrà comune. Potrebbe avvenire tutto e il contrario di tutto. Vi sono persone che sono orgogliose di essere chiamate sbadate, trasognate, come se questo potesse essere sinonimo di artista. E si offendono da matti se vai a toccare qualcosa che non va in quello che fanno, se cerchi  di mettere in discussione la loro capacità di essere distanti, migliori, meno comuni. Meno originali.
Credo che esistano definizioni utili a cominciare un percorso lungo e senza mete, e non a concluderlo o a fingersi etichettati. Se qualcuno troverà originale quello che leggerà dei miei scritti, non sarò mica più felice? Che cosa significa essere felici per essere definiti fuori dal comune? Ed essere fuori dall'originale, allora? Dove lo mettiamo?
Credo che una soluzione a questo percoso postifero, è il caso di dirlo, che ho impiantato questa notte, sia quella di non pensarci. Una soluzione comune. Non pensare a quello che si vorrebbe si dicesse di noi. Nessuno ci amerà mai quanto noi stessi. Nessuno ritornerà sulle nostre parole tutte le volte in cui ci siamo tornati noi, ma spesso pensiamo il contrario. Non possiamo immaginare che gli altri non leggano nelle nostre parole le fioccate di nevischio che vi leggiamo noi – io per fortuna non più: ogni paragrafo calpesto merde! – o che non notino i capelli sciolti e azzurri delle fate con cui sognamo di dipingere un mondo distratto o preso da tanto altro.
Non immaginiamo di poter essere meno originali e quindi meno felici nel non sentirci diversi come pensavamo. Io credo che nella vita conti il sentirsi amati, e non tanto il sentirsi diversi.
E poi perché ho parlato di soluzione? Non la vedo una cosa tanto problematica, più che altro enigmatica, insolubile, complessa. Come la vita, d' altra parte.
Sto imparando ad amarmi di meno. Ad amare di meno le cose che faccio, per lasciare spazio a quello che fanno gli altri. Ad innamorarmi della scrittura degli altri e imparare. Imparare, imparare, imparare, ad amare allo stesso modo quello che fanno gli altri quanto o forse di più di quello che faccio io.
Credo che sia la cosa più originale e intelligente da farsi, secondo me...
Passo e 
chiudo.

mercoledì 12 ottobre 2011

Concorso Letterario Aspiranti Autori We Pub.it


Le iscrizioni al concorso, indetto dalla nuovissima casa di editori nativi digitali WePub,  scadranno il 31 Dicembre 2011. Non è contemplata alcuna tassa d'iscrizione.
Qui i dettagli, le Faq, il regolamento.
Sul loro sito si potranno seguire quotidianamente i nomi dei testi in valutazione dei relativi autori, durante il periodo della loro lettura.
Un'intervista ai fondatori da Giovanni Venturi: Intervista ai fondatori di We Pub
Un'altra da Storia Continua: We Pub You!

Le strade e le trame della Mansfield


Di questa scrittrice incantevole, Katherine Mansfield, non ho mai parole o pensieri, ma sensazioni di luce, indefinibili. Come i luoghi dove l'ho scoperta, incontrata, approfondita, mai tradita. 
Qualsiasi cosa che la intersechi e la sfiori, nella mia vita, dentro e fuori la sua scrittura, ha lo stesso tono, le stesse tinte, la stessa luce del suo mood. Un processo di scrittura è un'esperienza profonda, che travalica il tempo dell'atto di lettura, e si espande e si mischia con tanto altro. Come questa raccolta di racconti, trovata per caso, quest'estate, nel tratto di via Indipendenza, a Gaeta. Un luogo che esprimeva con precisione, nel momento dell'acquisto – una cifra irrisoria per un gioiello del genere –, le trame che vi avrei scorto attraverso e che ancora vi scorgerò. Come quelle di questo viso, per esempio.

martedì 11 ottobre 2011

Senza titolo, una nuova realtà editoriale

Ecco che cosa si propongono: qui
Modalità per invio testi: qui

Ieri notte.

Ieri notte. Parlando con il freddo. In una zona molto interna di campagna, il freddo di ieri notte era parlante, perché improvviso, intenso. Sensazione oscura, perché anticipata da climi ancora stuzzicanti di una certa aria di aprile o della migliore sferzata settembrina ormai smagata. Parlando col freddo, ne gustavo il calco maestro, la pazienza di odorare il nero immenso dei campi, che abbracciavano la tenuta come braccia umane nei pullover. 
Vivere con la fame del lupo e con questo odore di freddo e di simultanea ricerca di caldo, ma che non lo distrugga, ma che lo allontani, solo per poco, quel giusto, ma che mi dia sempre il tempo di osservarlo cantare da un luogo protetto, sul suo ramo bianco e folto, senza mai alzare un fucile, ma appena un bicchiere in segno di brindisi.
Mi accorgo sempre di più di vivere di sensazioni e di risonanze interne che prendono vigore e linguaggio da queste frizioni o funzioni immediate, quasi mai sincrone ma sempre armoniche, in un appuntamento privato con un mio luogo, e che dirigono dal corpo i miei pensieri e i miei esecutori, i miei antenati da portare in carrozza, a volte le mie scelte, le mie carezze, il mio appetito. 
La mia vita avrà sempre qualcosa da dirmi. Nessun giorno o nessuna notte di freddo improvviso sarà mai uguale ad un'altra. Nessuna campagna notturna avrà gli stessi occhioni sporchi di pianto di un'altra. Nessun colore, nessun impasto di odori già sentiti potrà presentarsi mai noiosa o copia pirata di un'altra vita passata. Immagino di entrare nella sensazione, con il torpore di uno appena sveglio, con una faccia idiota, avvolto dall'odore di una tostatura violenta di chicchi, ma che non sia quella faccia pesante e assente di chi sta prendendo un colpo di sonno e getta la spugna, o di chi mi sta guardando mentre cerca qualcosa che ha perduto – vi è mai capitato di essere guardati negli occhi da qualcuno che si sta accorgendo di aver perso qualcosa? E che si tasta le tasche e intanto guarda, e in quello sguardo c'è un vuoto che ingoia te con l'oggetto perduto? Fateci caso, e sono convinto che mi darete ragione. Il vuoto di quegli occhi è quello che annebbia il mondo, la sua bellezza, la sua intimità, la sua profondità di carburazione continua verso il sogno...e verso la caparbia impossibilità di avverarselo. 
Non voglio guardare la mia vita con gli occhi di chi lo fa per caso, mentre si sta scucendo una tasca a furia di cercare, ma voglio farlo con l'occhio di un bambino che riceve in regalo un animale vivo, che ha sempre desiderato e che adesso se lo vede sbattere davanti, come un cuore umano.
Non sarà mai disgiunto dalla scarpa del mio occhio che cammina e non guarda. L'occhio di uno scrittore deve camminare e non solo guardare, o sbirciare e smozzicare briciole di appena guardato e subito pensato, o ancora peggio: di visto da altri e pensato e raccontato come visto in proprio.  Lo chiamo l'occhio di passaggio, di chi è lì per caso. L'occhio di un custode ubriaco e non di un Rottweiler, vigile e slanciato.
Leggo diversi scrittori, anche bravini, che hanno paura di guardare e di prendere una merda mentre l'occhio che scrive cammina e si avventura in luoghi meno sicuri e con meno luci dentro. È lì che si deve andare, dove l'occhio stanca e inciampa, e non dove si riposa. Dove incontri la storta ma non sarai mai  lì di passaggio. Leggere di persone che sono di passaggio, e che non vedono o che non camminano con lo sguardo, abbrevia la vista e opacizza. Me ne accorgo dopo molte pagine, o dopo le prime, non conta. Ma l'occhio di chi scrive contamina quello di chi legge e diverse volte la luce dal balcone potrà risentirne, e così l'odore della cena pronta e quando un occhio che scrive è cieco, io non vedo e non sento più...Fa male. 
È questa la differenza fondamentale. Non scrivere di un visto pensato, e quindi di un non visto e di un già visto, ma di un impatto diretto con l'avvenuto, con il calpestio e il passo dell'occhio nel freddo di quella notte, esempio ruvido, al quale adesso mi sono ricongiunto con una sterzata maldestra e sporchissima, che se adesso stessi guidando, sarebbe tradotta in una brutta inversione. Ma sono ancora vivo. Una questione di vita o di morte, per ogni parola. Con l'intensità di chi prova un grande spavento, una gran sete, una gran rabbia.
È l'unica speranza, è di non contare mai troppe certezze ammuffite o preconfezionate nel processo investigativo e sensibile che mi concedo, e che mi rende e protende pronto a un certo ascolto, di rimanere e di narrare o poetare, sempre all'ultimo banco, contro l'immenso che dirama fuoco e che mi spiega, con gli occhiali sul naso, un mondo incantato senza le parole.
Stasera l'aria è più dolce. Sono in città, alfabetizzato al buon tepore ritrovato, prima di spegnere, e sono felice perché vivo, e anche perché ne scrivo. 
È già mezzanotte e chiudo.

lunedì 10 ottobre 2011

Uova e storie chiare

Nelle comuni definizioni ornitologiche, l'uovo non aggallato, non fecondato, si dice chiaro. Quando al contrario l'esito del coito tra volatili è stato positivo, l'uovo potrà definirsi scuro, o anche pieno.  Gli occhi più esperti riescono a riconoscere al solo contatto e dal suo peso, se l'uovo dell'uccello è stato aggallato o meno.  In diversi casi, il buon allevatore esperto, lo prende tra due dita e lo pone sopra un lume, o verso il chiaro della luce solare, per scorgervi all'interno, di solito oltre un certo periodo di tempo dalla sua deposizione. In base a quello che vi scorgerà, in controluce, potrà confermare se al suo interno vi sia vita, vuoto o interruzione dello sviluppo embrionale, con i caratteristici filamenti embrionali scapigliati nel sangue. Tutto da un gioco tragico e indiziale, di luce o di opalescenze, più o meno rassicuranti. La cova e la febbre dell'uccello o della balia, potranno assicurare sviluppo alle uova piene, con embrione vivo. Non potranno dare vita a uova chiare, non aggallate o con una struttura in formazione ormai interrotta.
Perché questo strano preambolo, in un blog che tratta di scrittura, poesia e generi affini? 
Perché io mi pongo nello stesso modo con i miei scritti, di qualsiasi natura essi siano, di qualsiasi periodo della mia vita. Esisteranno così scritti chiari e scritti scuri. Prima non ne ero così convinto, ma sono sicuro che fin dalla prima bozza, debba comparire quell'embrione, sanguinante di vita, caparbio e incazzato nero di nascere e di crescere, a dispetto del mondo intero e del suo stesso scrittore, che darà senso al calore e alla temperatura di chi scrive, alla sua fatica, alla sua sollecita attenzione. 
In caso contrario, vi saranno bozze o storie senza vita, che anche se perfezionate, incubate o covate, con la massima premura, e attenzione, anche con un amore maniacale e appassionato, non potranno invertire il loro stato, così come un uovo davvero chiaro, non potrà diventare mai pieno, ma solo scuro della sua stessa decomposizione – i più esperti, sanno anche distinguere tra i due neri, quello funebre e quello della vita, che si annuvola nel guscio quando erompe.
Questa divisione tragica, l'ho scoperta per caso, camminando per strada e pensandoci sopra, così come mi succede quando creo storie o possibili situazioni narrative – mai forzate o faticate al loro apparire. Sono state sempre loro a bussare, non tutte con la stessa educazione e non tutte pulendosi le suole, sul tappetino, nei giorni fitti di pioggia.  E mi auguro ancora, per non perdere il filo, di essere sempre sensibile come un allevatore di uccelli, al peso o all'occhio nella luce delle opalescenze delle uova, come anche in natura, spesso avviene. Non disperdere il calore su materiale cattivo o sterile. A volte basta riconoscere che l'impianto è  ammalato, e rimediare per tempo, rivolgendo l'attenzione verso altro. Questo tipo di consapevolezza e sensibilità, andrebbe accorpata anche e direttamente allo scrittore, e non solo alle sue storie. Se le uova di un uccello saranno sempre chiare, ci sarà qualcosa che non va a monte, così come se troppe storie non cantano e non vivono, potrebbe esserci un problema di fondo. Esisteranno allo stesso modo, secondo un mio modesto parere, scrittori chiari e scrittori scuri, o pieni. Tutto qui. Un tipo di approccio del genere, eviterebbe molto dolore, sia ai lettori che agli scrittori. A volte basta un niente. Gli uccelli lo sanno bene, compreso il cuculo...
Credo che nel paradosso di questo post, potrebbe esserci qualche spiraglio di vero, o anche di pura follia, che in ogni modo andava condiviso. Doveva in qualche modo erompere.
Una splendida serata,

sabato 8 ottobre 2011

Problematiche personali nella revisione di un romanzo

Un qualsiasi lavoro intellettuale, mi pone di fronte a fasi critiche, come a lunghe spianate di pura beatitudine. L'una non escluderà l'altra, spesso entrambe godibili, allo stesso modo. Lavorando sui romanzi, lo scrittore può incontrare diverse sfumature, dalla fase più ombrosa e paralizzante, alle grandi schiarite di un'intuizione. Dal bunker alla prateria, incluse tutte le possibili variabili intermedie o anche più estreme, se esistono.
Nel mio caso, non credo di poter più dimenticare l'esperienza di questa mia ultima revisione, per un lavoro di circa un anno fa,  arrivato al suo capolinea, Per stasera, infatti, dovrei chiudere l'ultima scorsa delle minuzie, con evidenziatore: la fase biologica, quella del microscopio elettronico – tutto sempre su carta stampata, naturalmente, e con evidenziatore e penna bic; il primo per richiami topografici, la seconda per note e piccoli appunti, o maledizioni. 
Credo, per la prima volta, di avere effettuato dei tagli precisi e soprattutto devastanti al mio romanzo, ma questo dopo una serie molto approfondita di riletture ostinate, senza penna alla mano – di solito quando leggo un mio testo in bozza e quindi da "armato", non riesco a leggere soltanto, ma devo intervenirvi in qualche modo, anche solo per una virgola. È difficile che resista e non sporchi la pagina. Anche se il testo è già in stampa. Anche se quella bozza è la ventesima.  Anche se tutto funziona, ci sarà sempre una parte di me, di solito ben distinta e organizzata, in altri casi banditesca e selvatica, che dovrà lasciare la sua traccia ed espletare lo spasmo e la costante insoddisfazione che costella il lavoro di qualsiasi scrittore, in ogni fase del viaggio. L'importante è sentirsi insoddisfatti mentre si lavora, e non quando il lavoro è ormai finito. Se non sono soddisfatto a pieno, quel lavoro non sarà mai finito e non vivrà in nessun altro luogo al di fuori del mio Mac.
Il pericolo più grande, spesso dettato dall'inesperienza ma anche da una certa arroganza, è quello di illudersi prima del tempo di quanto sia perfetto e soddisfacente il proprio testo, senza darsi il tempo di rientarvi e uscirvi più volte, come da una nuova casa: lo stato dei tramezzi, l'umidità, l'esposizione, avranno bisogno di occhi attenti e non solo di sensazioni; di ore differenti per osservare la luce nelle stanze, i rumori dei vicini, quanto disti la quercia selvatica ammalata dalla piccola finestra della mia stanza e quanti tralicci teschiati dell'elettrcità vi saranno mai in agguato.
In questa mia revisione, ritornando alle riletture da disarmato o in borghese, ho notato quanto di tutto quello che credevo bello, efficiente, originale, offuscava e impediva, invece, la scorrevolezza, l'intensità, la radiosità di un passaggio, e quindi anche di un intero testo – sono convinto che in una struttura di romanzo, breve o più o meno lungo che sia, nessuna parte è mai del tutto indipendente dalla logica e dal risultato armonico dell'insieme. Ogni piccolo elemento spostato, verificato, sezionato, andrà a incidere fino a quello di cento pagine prima o dopo, anche se all'apparenza le zone più distanti dovrebbero essere meno influenzabili  e intaccate. E invece, dopo aver distrutto un capitolo e averlo quasi ricostruito da zero, dalle sue poche macerie, mi sono accorto che anche le parti più lontane, si muovevano e risuonavano di un'aria diversa, come se fossero state liberate dall'impedimento che murava l'organismo, come da una stenosi. In effetti questo potrebbe saperlo solo chi scrive, chi conosceva i punti prima e dopo l'eventuale mutilazione. Invece io sono convinto che un qualsiasi buon lavoro letterario, rifletterà in sé, nella sua ultima stesura, tutto l'impulso energetico di quello che ci è stato; sacrificato, sezionato, vissuto, sofferto, celebrato, senza il quale non si sarebbe arrivati a quel certo delicato equilibrio che dovrebbe garantisi in una storia finita, alla quale si deve dire un addio, doloroso o liberatorio, non importa – nel mio caso coesistono bene in salute le due condizioni, di perdita e di conquista. Credo che tra i regali più belli che ci possa regalare l'attività dello scrivere, vi sia proprio il mistero di tutto il percorso, e di quanto possa essere sorprendente la rapidità con cui si cambia e ci si scopre diversi da come si immaginava. Davanti alle nostre stesse, povere, semplici parole, una prova del nostro mutamento, costante. E in una revisione, tutto questo accade e riaccadrà all'infinito, con la stessa potenza e impulso amorevole del primo getto creativo.
Saluti e buon fine settimana,

giovedì 6 ottobre 2011

Luigi Salerno tra i finalisti Verba Agrestia 2011 IX Edizione Gallarate

Tutto qui e qui

Un book trailer di qualità



E anche un omaggio alla mia prima editrice, presente al Bookfestival di quest'anno con la stessa opera.

mercoledì 5 ottobre 2011

Tutti gli stores per "il Disabitato":











Qualcuno mi ha detto

Rileggo e rileggo questi pochi versicoli di Patrizia Cavalli, sempre freschi, come vernice sulle pareti di una casa, con cui apre la raccolta del 1974 Le mie poesie non cambieranno il mondo. Così perfetti e così semplici. Come è perfetta e come è semplice la poesia:

Qualcuno mi ha detto
che certo le mie poesie
non cambieranno il mondo.

Io rispondo che certo sì
le mie poesie
non cambieranno il mondo.

Patrizia Cavalli

lunedì 3 ottobre 2011

Bookfestival 2011

Libri da salvare e i Quaderni della radio:

Fu all'inizio del 1949, che l'ufficio Conversazioni del Giornale Radio, formulò uno spinoso e accattivante quesito a una serie di scrittori italiani di rilievo, chiedendo loro quali sarebbero i dieci libri che salverebbero da una guerra atomica, immaginandosi parte di una particolare Commissione. Libri da scegliere rigorosamente dalla fine del XVIII ad oggi.
Diversi gli interventi, che ho letto dai Quaderni della radio, Edizioni Radio Italiana, davvero incantevole e suggestiva edizione, così come gli interventi.
Alcuni stralci delle preferenze tra gli intervistati:

Salvatore Quasimodo, stila la sua lista in questo senso:

1) La Scienza Nuova, di Giambattista Vico;
2) Poesie di Ugo Foscolo;
3) Le opere di Giacomo Leopardi;
4) I promessi sposi, di Alessandro Manzoni;
5) I sonetti, di Gioacchino Belli;
6) I Malavoglia, di Giovanni Verga;
7) Ariette e sunette, di Salvatore di Giacomo;
8) Il teatro, di Pirandello;
9) Teoria e Storia della Storiografia, di Benedetto Croce;
10) Lettere dal carcere, di Antonio Gramsci.


Così Massimo Bontempelli:

1) Foscolo , Le poesie, quasi tutte;
2) Manzoni , I Promessi sposi;
3) Leopardi,  Scelta di Poesie e Operette morali;
4) Rovani,  Cento anni;
5) Nievo,  Confessioni di un ottuagenario;
6) Collodi,  Le avventure di Pinocchio;
7) Verga,  I Malavoglia;
8) De Roberto, I vicerè;
9) Scelta di liriche dalla triade: Carducci, Pascoli, D'Annunzio;
10) Panzini, Il padrone sono me.

domenica 2 ottobre 2011

(S)Considerando:

Il rapporto con quello che si scrive, si basa, molto spesso, sulla possibilità di creare opportunità di memoria, di ricordi, in chi legge. Ma non di ricordi legati a quello che si ricorderà di quelle precise parole, ma invece legati a tutto quello che quelle parole potrebbero rievocare e che non si vede, o che non sarebbe riaffiorato in quel certo modo con due persone appena diverse che leggono, ma che spesso non ha nulla a che vedere con la natura e con l'intenzione primaria che avrebbe consentito a quelle parole di vivere o di smuoversi in un certo livello di tempo o di realtà. Rievocare quindi una certa dimensione personale, di un certo vissuto, o anche di  possibile ricordo di vita reale o immaginata. Credo che se non avviene questa condizione particolare... insomma, che dire? Si può continuare, certo, ma.
Non è tutto un affare cosciente e troppo consapevole,  la buona e anche la grande scrittura. A volte si basa su tutt'altro! Su qualcosa che va oltre...e che cambia per ogni scrittore e per ogni razza di lettore inciampato o incavigliato in qualche bel paragrafo. Qualcosa di preconcettuale.
Potrebbe esserci anche un solo lettore al mondo che vede, attraverso queste parole, cose che non ho ancora visto, e che potrei non vedere mai, se qualcuno non me le mostra. È quello che in fondo dovrebbe fare un vero scrittore, in sostanza. Partecipare attivamente a un meccanismo naturale e involontario di rievocazioni e risonanze, memorie, incubi, sobbalzi, atterraggi, stravaganze, senza averlo necessariamente costruito troppo coscientemente, e forse non proprio quel punto così più efficace, rispetto agli altri, al quale potrebbe non aver dato peso. E senza che un solo rigo letto sia solo tollerato – quante volte mi è capitato di leggere tollerando. Adesso leggo, e scrivo, in ebollizione, e con molta lentezza, come l'acqua nella pentola, altrimenti faccio altro, davvero!
Il grosso problema è che si possono imparare mille sistemi e stratagemmi per gestire, organizzare, ed ottimizzare al meglio le forme di un certo linguaggio, i parametri di una certa intellegibilità del proprio testo, la sua fluidità, le sue dinamiche, i suoi climax o anticlimax, la sua correttezza, ma non è mai possibile prevedere quanto possa diventare vivo e dinamico in un'altra vita che lo incontra, e che spesso non ha idea di quello che sia una struttura e cerca solo di saltare in aria in qualche modo, come quando è sorpreso da un amico, da un bel viso, da un bel culo, da una telefonata nella  notte o da una fioccata improvvisa, che scorre da una finestra, al buio. 
Quanto, chi scrive, possa scomparire in un altro, nella stessa possibile o inattuabile esplosione/immersione?
E credo che il grande fascino e la grande scommessa, sta proprio nella possibilità che quest'incontro potrebbe non avvenire mai, anche con tutte le carte in regola, le scarpe ben allacciate e i quadernetti dei compiti foderati e senza orecchiette. O forse avvenire per pochi istanti, senza che lo scrittore se ne accorga o lo sappia mai, o anche per sempre.
Ma avrebbe lo stesso un senso, in ogni caso. Misterioso e di ritorno.
Lo credo e lo vivo. A volte, (s)considerando:...che per scrivere si deve essere inzuppati di vita. E poi tutto il resto, volentieri.

Macchianera Blog Awards 2011:

Ecco l'elenco dei vincitori per il 2011:

sabato 1 ottobre 2011

Il mio E-Book reader: Cybook opus Bookeen