venerdì 14 ottobre 2011

Prima di spegnere. L'originalità

Questo è uno di quei post, che hanno rischiato di non esistere, così come tante parole che ho scritto senza volerlo, e forse senza nemmeno saperlo fino a due secondi prima di lanciarle. Come uno starnuto. Un post-starnuto.
Niente di che. Dalle mie parti è appena scoccata la mezzanotte, e mi veniva di parlare dell'essere originali. Di quanto sia facile e sia difficile parlare di originalità, dell'essere originali. Sento molto dire dell'originalità, come se fosse un valore aggiunto, ma certo che lo sarà, sarà un valore aggiunto se si beccherà quella autentica, che abbia quanto meno un valore – non è detto poi che lo abbia sempre. 
Che cosa significa essere originali? È originale quello che ho scritto fino a questo momento? La storia dello starnuto post, per esempio, è davvero più originale della parte precedente, o del collegamento successivo, che mi sta dando fiato, perché potrei aver perso il filo, la forza e la voglia di continuare? Quest'ultima parte, questa, questa che è appena passata, per esempio, forse sarà questa ad essere più originale del post allergico o starnuto, come diavolo si chiama? O c'è ancora dell'altro? Ma come farò a definirlo e a dargli forza se non so che cosa sia? Posso descrivere con una certa cura, la differenza tra un luogo di mare e un luogo di montagna. Credo che non sia così problematico. Ma tra un modo di scrivere originale ed uno tradizionale, non mi viene niente. Non saprei dove cominciare e quindi dove finire. Comincio finendo. La scrittura per me è quasi tutto buio. Non è mare e non è montagna. Parlare dell'essere originali è però fondamentale se si tenta di scrivere e di descrivere un mondo attraverso un occhiale. Non è detto che i conoscitori dell'originalità e dell'essere originali, alla fine lo siano di più di coloro che come me ammettono di non avere le idee troppo chiare in merito. 
Una cosa però è certa. La volontà o lo spasmo verso l'originalità, è un cattivo segnale. L'attrazione nell'essere a tutti i costi originali, è molto comune, quindi poco originale o meglio: troppo più comune, – non avendo chiaro il concetto, conviene ragionare un po' per assurdo. 
È un segno di pericolo lo spicco del balzo. Sembra che qualcuno ci tenga a tutti i costi a distanziarsi, e a calcare le tinte, e a fare il possibile per essere di spicco con la forza, con la tinta carica. Molte volte l'originalità ha più calore e più intimità delle cose comuni. È più semplice delle cose molto comuni. Le cose molto comuni sono le cose originali. Non credo che nessun aspetto troppo comune non abbia in sé dell'originale, e non credo che nessun aspetto troppo originale, non abbia in sé del comune.
L'originalità, secondo me, non è così lontana da una cosa comune. Se ci si allontana con troppa coscienza da un aspetto troppo comune, si è meno originali di un linguaggio detto comune, ma anche da un modo di vivere che si dice più comune. Si diventa scomunicati dal linguaggio comune, che è quello che ci consente di sopravvivere nella nostra lingua. Sarei tentato, nel mio buio, di escludere anche l'esistenza di cose comuni e di cose originali. Sarò originale per lo stesso numero di persone che mi riterrà comune. Potrebbe avvenire tutto e il contrario di tutto. Vi sono persone che sono orgogliose di essere chiamate sbadate, trasognate, come se questo potesse essere sinonimo di artista. E si offendono da matti se vai a toccare qualcosa che non va in quello che fanno, se cerchi  di mettere in discussione la loro capacità di essere distanti, migliori, meno comuni. Meno originali.
Credo che esistano definizioni utili a cominciare un percorso lungo e senza mete, e non a concluderlo o a fingersi etichettati. Se qualcuno troverà originale quello che leggerà dei miei scritti, non sarò mica più felice? Che cosa significa essere felici per essere definiti fuori dal comune? Ed essere fuori dall'originale, allora? Dove lo mettiamo?
Credo che una soluzione a questo percoso postifero, è il caso di dirlo, che ho impiantato questa notte, sia quella di non pensarci. Una soluzione comune. Non pensare a quello che si vorrebbe si dicesse di noi. Nessuno ci amerà mai quanto noi stessi. Nessuno ritornerà sulle nostre parole tutte le volte in cui ci siamo tornati noi, ma spesso pensiamo il contrario. Non possiamo immaginare che gli altri non leggano nelle nostre parole le fioccate di nevischio che vi leggiamo noi – io per fortuna non più: ogni paragrafo calpesto merde! – o che non notino i capelli sciolti e azzurri delle fate con cui sognamo di dipingere un mondo distratto o preso da tanto altro.
Non immaginiamo di poter essere meno originali e quindi meno felici nel non sentirci diversi come pensavamo. Io credo che nella vita conti il sentirsi amati, e non tanto il sentirsi diversi.
E poi perché ho parlato di soluzione? Non la vedo una cosa tanto problematica, più che altro enigmatica, insolubile, complessa. Come la vita, d' altra parte.
Sto imparando ad amarmi di meno. Ad amare di meno le cose che faccio, per lasciare spazio a quello che fanno gli altri. Ad innamorarmi della scrittura degli altri e imparare. Imparare, imparare, imparare, ad amare allo stesso modo quello che fanno gli altri quanto o forse di più di quello che faccio io.
Credo che sia la cosa più originale e intelligente da farsi, secondo me...
Passo e 
chiudo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Gardner dice che l'originalità si conquista con la diligenza, non è una condizione naturale. E invita a dare un'occhiata ai primi racconti di Melville.
I primi lavori di Melville erano in un certo senso quello che il pubblico americano dell'epoca cercava. La vita nelle isole dell'Oceano Pacifico, tra tribù di cannibali e natura selvaggia. Dopo, lo scrittore inizia un suo percorso che lo condurrà all'anonimato, e quando morirà sarà ricordato soprattutto per i primi lavori, non per Moby Dick. Adesso è celebrato per la balena bianca: credo che possa ritenersi soddisfatto, anche se il suo desiderio di trovare una propria scrittura lo ha spinto a fare l'impiegato per le dogane statunitensi. Non credo sia il massimo, ma pur di mangiare...

luigi ha detto...

Grazie del bello spunto, Marco. L'originalità come conquista e non come stato o condizione, è molto innovativa come visione. Ne sono rapito.
Quello che scrivi mi fa pensare all'incantevole "Taipi" di Melville, letto la scorsa estate, che racchiude i semi di certe inclinazioni e anche di alcune dissonanze dello scrittore.
Un saluto e grazie della visita.
l.s.