venerdì 30 dicembre 2011

Il disabitato su Omniabuk

Omniabuk.

Step 4: La petite mort: reading

step 4: sensazioni del presagio. L'uomo reagisce ai suoni e non solo agli eventi già manifesti nella loro coerenza e sonorità svelata o compiuta. Addentrati nella notte del racconto, da quando lo squillo fucile rintuona nella stanza, le supposizioni e i dubbi sulla sua origine più o meno oscura, saranno lo sfondo o pianta madre da cui dirameranno nuovi rami e radici. Il nostro personaggio non alza ancora il braccio verso la cornetta, ma aspetta che forse quel suono passi, così come sono passate le risate della coppia nella notte e gli altri scherzi acustici; come se non fosse mai arrivato, cercando di farsi un'idea attraverso la scorsa delle possibilità del possibile telefonista con il suo movente: urgenza di un amico, di un parente stretto, confidenza intima, scherzo, minaccia di morte, telefonata sconcia, dilatando il tutto nel pensiero e nell'ansia di pochi secondi. Tra i primi squilli che prendono un certo spazio introspettivo e retrospettivo, ricolmando la storia di quella sua febbricola insidiosa e già nota, ma per suoni che prima erano esterni alla stanza. La reazione a quello che ancora non si conosce, mette ancora più spavento di qualcosa di già manifesto, anche se di tragico. La psicologia del personaggio, si comporta come un animale poco selvatico ma anche poco domestico, dovendo accordare il suo istinto naturale alle sue convinzioni su quello che pensa possa essere successo. Invece di spezzare il dubbio dell'attesa con un semplice gesto del polso, si intrattiene nel buio, in balia di quello che potrebbe essere o essere stato o capitato, contro la semplicità di quello che sarà e che già è. Questo punto della storia, forse anche un tantino ambizioso, potrebbe aprire un'altra porta nella metafinzione, dove lo stesso respiro tra quello che non è avvenuto e che non si conosce, può condizionare il reale di quello che è già stato, che sarà e che non sarà, per il tempo riflesso e irreale che inquinerà lo spazio più semplice di una figura che si succede, contro le molteplici dimensioni che si realizzano nell'assenza del fatto, del suo fertile ignoto. In effetti è questo lo spazio ideale del fantasma, che sospende la sequenza temporale e logica delle figure reali, in questo caso anche nelle dinamiche lineari della narrazione, che lievita e si ferma, contro la rigidità dei pochi secondi concessi all'intervallo dei trilli.
Il link del racconto: La petite mort.

mercoledì 28 dicembre 2011

Step 3: La petite mort

step 3: proseguendo nella scorsa: adesso, da quando la voce narrante si accinge a narrare all'interno del già narrato, (sarà stato un caso, ma questa sorta di piccolo labirinto non mi dispiace). Dunque, il suo inizio pare stonare, perché non si concentra sul fatto, ma sulle rimembranze o sugli echi del possibile fatto. Quindi riprende la tessitura iniziale, poco scandita, una marcia turca di lumi e di suoni, che hanno qualcosa del Natale e qualcosa del sogno o della sublime solitudine di chi è solo in un giorno di festa; ché forse da soli si sente meglio o si vedono le cose sotto un'altra luce: questo sarà un percorso creativo del lettore, dipenderà dalle luci o dalle voci che avvertirà scendendo i gradini dello strano sviluppo. Il personaggio e voce narrante, ascolta dei rumori e non dei fatti. Questi rumori diventano immagini e queste immagini rievocano situazioni non definite ma appena accennate. Il tactus barocco di una nota appena accennata prima della reale esecuzione. La storia entra ed esce dal suo cuore, con la delicatezza di un fantasma, lasciando la stanza buia in balia di cavallucci a dondolo, che sbattono come dentiere dall'appartamento del piano di sopra, dove abitano la dattilografa con le mani da pianista e il marito, con i capelli tinti lucido da scarpa. E ancora: risate di una coppia — ancora suoni che rievocano immagini — la donna porterà un cilicio al confine col morso dell'autoreggente. L'uomo si pettina i capelli con l'acqua. Cosa c'entra tutto questo con l'accaduto o con il possibile narrato? È parte dell'attesa e dello stesso orgasmo del titolo. I messaggi poco chiari, appena luminescenti, saranno l'annuncio impalpabile che in quella notte qualcosa sta cambiando. Intorno a quei suoni e a quelle immagini, vi è già il dito di qualcuno che ruota nell'anello di un vecchio telefono. Credo che in questo blocco, vi sia l'anticamera del suono cuore della storia, che si fa spettro dei suoi spettri, tra volute grigie di erotismo e di spavento.
Il link per il racconto: "La petite mort".

lunedì 26 dicembre 2011

Step 2 (La petite mort):

Step 2: Dedico il secondo step di approfondimento, all'uso dei tempi. Cerco di non dilungarmi e lasciare solo qualche spunto di riflessione o stimolo. Il blocco introduttivo del racconto si mantiene sul particolare presente di un luogo che potrebbe non essere scenario attuale del fatto narrato, ma scenario passato. Stesso luogo, stessa data, ma vissuto come ambiente di rievocazione e non di azione pura e vissuta. Ma questo che cosa potrebbe cambiare? Se il luogo della stanza è lo stesso il presente illistra un passato? Lascio che la storia si sveli. I tempi dell'inizio, al presente, illustrano le sensazioni di quello che avviene o di quello che è avvenuto la notte della telefonata?" È molto tardi quando mi affonda un certo pensiero/gli occhi magici a quest’ora avvertono meglio e in modo più scandito il crepitio di tutto quello che avviene, o che freme e che non avviene ancora del tutto./ Alcuni miei pensieri si addensano ai pochi ricordi rimasti vivi,/ un pensiero come questo, che mi ha sfiorato in una smorfia svogliata di sonno": è chiaro che la voce narrante allude a un fatto che avviene, ma che potrebbe essere avvenuto o avvenire ancora in futuro: "Una telefonata oscura, nel cuore contrabbasso della mia notte – quelle mute e appena affannate, avrebbero lasciato insonni diversi individui per intere discendenze". Questa telefonata, che sarà il nucleo della storia, non è ancora specificata da un tempo di azione, ma da un'ipotesi delle sue conseguenze, che possono quindi associarla a un'esperienza subìta o anche passata, in quella stessa situazione ambientale ed emotiva. "C’è addirittura chi pensa che da una particolare telefonata anonima e zannata notturna, ti si possa spezzare qualcosa dentro e per sempre, nel fondo più insondabile del dirupo, senza alcuna possibilità di rimedi. Ho i brividi…Anche in una notte di veglia e di vigilia così solitaria e insulare, di cui mi accingo proprio adesso a narrarvi" continua ancora, la voce narrante, a parlare di un presente che ha già vissuto e che adesso dimostra di conoscere. La lente d'ingradimento sta dilatando le forme e i dettagli ancora oscuri. È un presente condizionato da una conoscenza dei fatti, quanto un fatto passato anche se oscuro, nel suo passato. E poi, all'improvviso "Ma quella notte del ventiquattro io risposi": questo è il primo punto rivelatore della prospettiva temporale, che fino a quel momento era rimasta sospesa in un presente molto sformato e probabilistico. Credo che sia importante ragionare sulle scelte temporali. I più certosini griderebbero allo scandalo, per il solo fatto di variare l'uso dei tempi in segmenti di narrato molto vicini, senza sapere che per raggiungere certi effetti, è necessario proiettarsi nelle mille possibilità offerte dal tempo psicologico, oltre a quelle del tempo cronologico. È tutto.

venerdì 23 dicembre 2011

La petite mort: step 1. Titolo e luci

Un cenno sul titolo, credo dissonante per i più se relato al tema del racconto, dico di quello commissionato e natalizio. I francesi hanno dipinto con questo breve disegno "petite mort" la sensazione surreale e sospesa dell'acme di un amplesso o del perdersi dentro un altro. Perché un titolo del genere alla mia storia? Due motivi, legati alle atmosfere interne e anche all'estetica che ho cercato di affinare: la sospensione o senso di sospensione costante che si avverte (livello della realtà e di tempo psicologico) e l'intimità – una mia antenata morta ragazza circa un secolo o più fa, che mi riappare dalla voce di una telefonata improvvisa e attraverso un lungo bacio. Il cuore del racconto attraversa lo spazio che precede, che vive e che segue lo squillo, ma forse lo squillo potrebbe cominciare dal primo rigo, essere ancora squillante attraverso le descrizioni delle fasi motorie e oscure che lo precedono, non essere mai avvenuto; così come nelle storie sui fantasmi, il soffio sulla candela o tra i capelli di una bambina che dorme, potrebbero averlo causato un'imposta difettosa, una feritoia in una vecchia porta, una corrente d'aria. Così come una voce all'orecchio, un sussurro prima di spegnere la luce o di addormentarsi potrebbe essere ricondotto al ricordo di un cattivo pensiero, all'inizio barcollante di un sogno. Il narrato di cui tratto, partirebbe anche da un altro Natale, diverso da quello della telefonata spettrale, simile a quello dello squillo, ma poi pare fondersi con quello evocato: "Anche in una notte di veglia e di vigilia così solitaria e insulare, di cui mi accingo proprio adesso a narrarvi:". E in effetti narra di una notte gemella a un'altra notte natalizia, come se fosse lo stesso clima a rievocare e poi a fondere e a confondere i momenti e i tempi del pensato passato, rievocato e accaduto. La luce della stanza è quella di una torcia, e anche tutte le cose che accadono e che non accadono hanno la stessa luce della torcia, sia nella notte in cui narro che nella notte del narrato accaduto: Dalla finestra appannata il rosaurora di un pianino che fischia dalle Americhe/ il rigo d’ombra di un piovasco sulle grondaie/ di una mano notturna che cuce [...]un palazzo moderno e ancora tutto acceso di lumiere/ i tacchi svelti di una donna dal cortile/l’indaco dei seni/ gli occhi lunari nella saliva lenta del sorso/ un cenone malinconico tra compagni di classe[...].

mercoledì 21 dicembre 2011

La petite mort: step 0:

Questi che trascrivo, sono gli step che ho scritto per commentare il racconto "La petite mort". In questo le motivazioni di questa scelta:
Giornata domenicale di pioggia fitta. Atmosfera ideale per leggere. Credo che scenderò più avanti, giusto per comprare il giornale e sentire il freddo negli occhi, il tempo di riappropiarmi del calore di una casa. Dunque, passo zero per precisare un paio di punti. Questi miei interventi non hanno alcuna pretesa di indicare come si faccia qualcosa, ma sono l'opportunità di intrattenermi ancora in un luogo che amo e che ho amato. Tutto qui. Non credo di sapere come sia giusto scrivere, soprattutto tra gli aderenti all'evento, — e lo dico con sincerità – credo di avere solo cose da imparare. E anche in caso vi fossero persone estranee alla passione per le parole che si aggiungeranno, non mi sognerai mai di passeggiare nelle certezze scientiste dello scrivere — oggi molto in voga. L'approccio scientista alla scrittura, al metodo è ancora molto diffuso anche tra generazioni di giovani talentuosi; è un brutto tarlo quello del "si fa così", che divora e che crea un'angolazione asfittica sul testo ma anche su tutta la vita che esiste attraverso e oltre il  testo e che non si vede. Lo immagino e lo sento un approccio esistenziale, quello di leggere e di scrivere con il grembiule stirato e ben abbottonato e le coccarde bene in vista. Quindi le mie opinioni in merito a questa piccola avventura, sono legate più all'amore per la lettura che alla scrittura e ai suoi difficili demòni. Credo che sia importante la magia della lettura e non lo scientismo su come si diventa magici quando si scrive.
 "La petite mort", è un racconto che nasce su commissione. Mi piace usare questo termine, anche se forse non sarà appropriatissimo, (mi capirà bene Aura), ma perché nell'invito diretto alla partecipazione alla rassegna dei racconti Natalizi, mi è stata commissionata la certezza di un luogo di ascolto e di pratica per la storia, e questo fattore può cambiare non poco il tipo di approccio creativo, almeno in parte, secondo me. Il sapere che c'è qualcuno che sta aspettando la fine delle tue parole, inserisce nel tuo modo di procedere e nel tuo mood di narrare, la sensibilità alla speranza di un ascolto vero, che di solito è la grande incognita di chi scrive: il non avere un luogo e un ascolto definiti e sicuri; il sapere che si sta girando a vuoto — anche se in quel caso una storia scritta, una buona storia, non sarà mai un giro nel vuoto e potrà esistere e sussistere nell'aria anche se non letta e mai letta, ma questa è una questione diversa e anche più complessa. Anche se in qualche modo si potrà sempre stabilire un certo incrocio dove poter condividere una storia, nella rete soprattutto, una richiesta diretta responsabilizza e affina il proprio spirito. Lo stesso che avviene nel prepararsi. sapendo di dover incontrare qualcuno, per un appuntamento importante, per esempio: muterà, anche in piccolo, dettagli e sfumature, rispetto ai ritocchi per un'uscita solitaria e senza una meta. A volte cambierà il modo di pettinarsi, di specchiarsi, di profumarsi. Si faranno più sciocchezze del solito, si cambieranno più camicie, facendo saltare più bottoni dai polsini; si urteranno più oggetti nella stanza, si starà meno tempo al telefono con chi ti chiama prima di scendere, si lasceranno più luci accese e più finestre aperte. Ma con questa tensione, quella dell'appuntamento, si potrà sfruttare al massimo la possibilità di un ascolto certo, sensibilizzandosi alla responsabilità e alla fifa di chi scrive o di chi tenta di farlo in un certo modo — non ho mai affrontato un rigo, nella mia vita, senza un filo di spavento.
Mi piace allora immaginare i passi succesivi di questo minuscolo evento narativo, come i dettagli  dei miei ultimi preparativi prima dell'appuntamento-commissione. Senza dettare regole, ma raccontando il privato e il celato del racconto finito; la quantità di profumo rovesciato in eccesso, o la sua ultima fragranza. Ho  appena concluso ed è uscito il sole:

lunedì 19 dicembre 2011

Sera di Aprile su Lieto Colle

Sera di Aprile, di Luigi Salerno

sabato 17 dicembre 2011

Supremazia del creativo

Non immagino quantificabile un qualsiasi spasmo creativo. In effetti il risultato di un lavoro creativo, sarà una lente o un oggetto di rifrazione su una certa parte di reale o di finzione di un reale, o anche di una realta finta o ibridata di finzioni che si esplora in un certo percorso e trascorso. In ogni modo non mi piace immaginarla troppo fisica da poter essere misurata, pur riconoscendo che un lavoro creativo che funzioni davvero sarà raro, frutto di fatica, intuizioni, circostanze oscure, incontri, scontri, resconti. Quanto più raro ed efficace, tanto più lontano da un'idea di supremazia del creativo sull'altro mal o peggio o anche ben creato. La scrittura e l'amore per la scrittura e per il creato, non sono cose con cui misurarci, ma forse con cui migliorarci. Scriviamo senza i grembiuli del liceo e senza i fucili da caccia, ma con il sole e la luna addosso.

giovedì 15 dicembre 2011

Vantaggi del formato ePub:

lunedì 12 dicembre 2011

La petite mort, il tempo e i piani della realtà

In ogni racconto, romanzo o in qualsiasi altra esperienza letteraria, imparo sempre qualcosa di nuovo. Ma soprattutto riparto da zero, senza grandi orizzonti e supporti esperienziali. Strano ma vero: per ogni nuova storia, ritorno vuoto e in bianco anche io, come la pagina  1. Da zero: intendo senza le certezze del giorno prima e nemmeno le angosce del giorno prima. Da zero: perché ogni scritto appartiene a un livello di tempo e di realtà unico, irripetibile, che non può attingere da altri contesti o sensazioni di contesti che mi avrebbero nutrito o addestrato. Non in questo caso, io dico; e nemmeno nel caso di domani e nemmeno di dopodomani. Non si scrive sempre allo stesso modo. Ogni storia avrà delle richieste, delle tendenze, dei compromessi diversi con lo scrittore, da rispettare e da considerare. 
Sono sempre lo stesso a scrivere, ma cambiano alcune coordinate per ogni lavoro e per ogni emozione che mi darà quel lavoro. Non riesco ad affrontare uno scritto senza il seme forte di una certa emozione singolare che lo ferisca al  cuore e lo caratterizzi. La cosa più importante è avvertire qualcosa che preme. che ti disturba e ti conduce, quando si parte.
Questo racconto, dal titolo così particolare, "La petite mort", nasce come richiesta dalla mia editrice per una rassegna natalizia di un gruppo chiuso di scrittori, che dovranno rendere la loro opera disponibile gratuitamente. La storia nella sua stesura mi ha insegnato moltissimo, perché mi ha messo di fronte a materiale linguistico a cavallo tra diversi piani di realtà e anche perché mi sono immerso dentro di lei, come se non avessi mai scritto altro nella mia vita, e come se non esistesse altro scritto a cui dedicarmi al di fuori di lei, de "La petite mort". Strano ma vero. 
La storia si svolge in una stanza chiusa, in una notte di vigilia, ma ripercorre attraverso la voce narrante, ambienti, luoghi e risonanze molto lontane, legate a livelli di tempo e di realtà sovrapposti e paralleli che ho dovuto snodare e articolare, con un uso di un linguaggio appropriato e sospeso, che mi consentisse di attraversare i vari piani senza infrangere alcun vetro separatore e senza rovesciare nessun vaso comunicante, cercando di non perdere quota nello sviluppo. Per ottenere questa sorta di impianto armonico, mi è stata utile l'immagine della situazione che ho descritto e di cui ho scritto. Avevo negli occhi la quantità esatta di luce, sia dell'ambiente interno alla stanza, sia delle varie rievocazioni dei luoghi esterni o di altri interni più o meno surreali o fantasmici. Così come avevo impressi nelle orecchie tutti i suoni, dal primo all'ultimo, che hanno attraversato il narrato. L'aspetto che mi ha sorpreso di più, in questo lavoro di ripristino e di disciplina tra le parti e i vari piani delle realtà simultanee, è l'intreccio tra il possibile o vero e la finzione, dove l'aspetto più irreale e impossibile, è quello scorporato e romanzato da un fatto veramente accaduto a una mia antenata, da ragazza. Per cui ho elaborato una finzione da un aspetto reale del passato, e ho anche avvicinato al reale, aspetti immaginifici. L'importante è la convivenza e la condotta tra le parti, come nelle fughe a due o più voci, e non smascherare mai troppo presto il fattore del possibile da quello dell'assurdo. Non credo, infatti, che i fattori dell'irrealtà, in una storia, debbano essere necessariamente separati o relegati, ma mischiati il più possibile ai più credibili. Sono convinto che nulla sia vero o falso in assoluto. Il seme del mio racconto, anche se avvenuto davvero, come fatto o accadimento, avrà degli aspetti di irrealtà e di realtà della stessa frequenza di un episodio o di una tensione narrativa mai avvenuta, o meglio: mai verificata come accaduta. Ed è questo il senso del raccontare. Lasciare dei varchi di possibile nell'impossibile, e viceversa.
Al momento l'unica versione disponibile della mia storia, —gratuita —, è quella del sito della casa editrice "Il Pavone", ma con l'editrice e il gruppo di scrittori coinvolti nel progetto, si sta già pensando a rendere disponibili le nostre storie natalizie, in una raccolta con un formato più comodo e meglio adattabile alle diverse esigenze dei lettori. Quest'articolo lo renderò disponbile anche sulla sezione "Disappunti" del mio nuovo sito web.

La petite mort, di Luigi Salerno

Il mio racconto La petite mort, in versione gratuita,  disponibile da questa mattina sul sito della Casa Editrice Il Pavone, in occasione della rassegna per i racconti di Natale.

venerdì 9 dicembre 2011

Nella scrittura:

Nella scrittura, pensando, avvengono cose probabili, naturali e miracolose, nello stesso tempo e spesso nello stesso piano di accadimento. Per esempio: quello che scrivo non lo vedo sul foglio e non lo vedo quasi mai in parole, prima di codificarlo nel mio linguaggio, e nemmeno come il nastro di un pensiero compiuto o quanto meno coerente. Il mio linguaggio sul trampolino, prima che il dito batta il tasto, è confuso tra vari stadi di realtà, più o meno ispirati o confusi tra immagini, bagliori, eruttazioni, schiocchi, graffi di vinile o di artigli di gatte su tappeti, sentieri folti e boschivi di pensieri non ancora pensati, ma non lettere. Non vedo quasi mai le lettere che dovrò scrivere e trasferire. Non ne vedo la forma: questo vorrà  dire che sarà già il pensiero dell'immagine a occuparsi di codificarle, alle mie spalle, naturalmente. E quanta fiducia potrò dare a chi articolerà questo codice frammentario, nell'oscuro? Che cosa o chi, si prenderà la briga di trasferire, tra un balzo o l'altro di pensiero-sentiero immaginario, quello che ne rimane? Il flusso fognario o il guano prezioso delle sue feci-voci narranti? Dovrei organizzare i piani costruttivi e creativi, con un rallentamento graduale, in modo da responsabilizzare i vari pistoni del  motore nello scoppio dell'azione reale. Ma soprattutto per non affliggermi, quando la fragilità di questo codice residuo, imperfetto e imperituro, risulterà acerbo o guasto, al destinatario ultimo, se in fondo non  sarà nemmeno così lontano, nella sua sostanza, da un intricato labirinto fognario.

mercoledì 7 dicembre 2011

Kobo eReader:

martedì 6 dicembre 2011

Più libri: tutte le informazioni


qui

lunedì 5 dicembre 2011

Cybook Odyssey: il video

domenica 4 dicembre 2011

Comprensione dell'immagine e della parola.

L'immagine si comprende? Quanto deve essere perfetta, chiara, per giungere alla sua simmetria, alla sua perfezione nel monitor obitorio? Sento e avverto, nell'aria, desiderio di comprensione e di controllo dell'appreso. Contro la grande libertà del rapprendersi con l'unto di un codice nuovo.
Nemmeno più chiarezza. Le maestrine cicale scrivono e cercano nettezza, limpidezza, massima coerenza. Una scrittura dimagrante, con le mutandine pulite, che arrivi giusto nel segno torvo del disegno, sotto il frontino che sorregge i capelli: ma che ingegno! 
Un sapere che non si sente e che si possiede, sarà una forma di vuoto, una mutilazione.
Esiste una sensitività nel segno contro questi deserti dessert. E così si cataloga il facile dal difficile; il giusto dallo sbagliato; l'onesto dal disonesto; l'azzurro dal turchese e dal turchino e dal celeste. Quanto conta questo luna park di autopsie se non ti portano a una maturazione di sensibilità alla parola, ma soltanto a uno sviluppo dei femorali nell'estro ginnico? Per certe voci così compostucce e raffinate, Sanguineti è incomprensibile, così Gadda, e Miller è  invece turpe, con i suoi turpi Tropici.  E la ginnastica  non risuona nella sbarra del linguaggio. Un linguaggio, credo, ha fame di risonanze e di lunghi echi. Ecco perché partivo dall'immagine. La parola che scende nella mia gola, che appanna i miei occhi e che raggela e disgela le mie caviglie, al mattino, prima di  nascere o di morire contro il polso, ha un'affinità tremenda con quello che vedo o che sogno di vedere, contro l'artefatto del saputo e del pensato e dell'imparato a memoria. Ma ancora una volta si cerca sempre la punta del chiodo e la sua ruggine, l'errore e verifica anche nell'immagine, le trame dei colori e la loro intonazione all'abito esatto del pomeriggio.
Adesso qualche verso di alba, da Alfonso Gatto dal cuore marittimo e gigantesco. Una forma dolce di esorcismo,  in una Domenica sera di poca pioggia:

Sorgeva l'alba, le finestre chiare
sulla neve notturna, e già la rosa
del vento nella luce apriva il mare
al tratteggio dei gessi, alla mimosa

del sole giallo come fune; [...]

da L'Alba di Alfonso Gatto

sabato 3 dicembre 2011

Lessico e semantica (Vocabolario)

Che cosa è il lessico e che cos' è la semantica?
Il lessico rappresenta un insieme di elementi che costituiscono una lingua, quindi l'insieme delle parole, dei vocaboli e delle locuzioni che ne formano il tessuto, la parte viva e circolatoria
La semantica, invece, non rappresenta un insieme o un complesso di elementi o di parole, ma un ramo o parte della linguistica, che analizza nei dettagli il significato dei singoli simboli e anche delle loro relazioni nel raggruppamento. Quindi l'approccio di approfondimento mirato a svelare il significato non solo della singola parola, ma anche delle sue possibili sequenze sintatticamente definite di senso compiuto, come le frasi e gli enunciati.

venerdì 2 dicembre 2011

Sull'obbligo di esprimersi

Se oggi mi fermo a pensare, dalla finestra sento e vedo la pioggia. La stessa che attraversa il mio desiderio di comunicare e di esprimermi attraverso le mie parole. Le mie parole sono le mie nuvole. A qualsiasi grado di profondità, di dottrina e di competenza, avverto il pericolo di essere annebbiato dall'illusione delle mie parole da dire a tutti i costi. Nel sentirmi obbligato da un fantasma lontano, a doverle mettere in riga e propinarle ad altrettanti fantasmi, che non sanno nemmeno quello che dico. Che non sanno, che non sentono, che non capiscono di quello che dico e che non dico. Che non vivono quello che dico.
Non voglio sentirmi lo scudiero di un discorso lungo e incompleto, e mettermi in una fila interminabile di matti, perché la nuvolaglia delle mie parole si faccia chiara con una saetta gialla, o con il rutto bovino di un tuono. Credo che non abbia senso quello che penso di desiderare, attraverso il mio linguaggio. Quello che penso di desiderare non è la stessa cosa del desiderio di un linguaggio. La costruzione di un linguaggio è il filo spinato di un'esistenza in perenne combustione e discussione, o anche l'accesso a un nuovo spazio di libertà, se si parte con il passo giusto. Credo di provare nausea per quello che ho desiderato fino a ieri, delle mie parole nuvole, senza lampi. Del loro valore relativo, e della relatività di tutti gli incidenti e le incidenze che potranno incontrare nel loro vapore. Optare per un cambio di gestalt. Oggi la comunicazione è un grande prato notturno, illuminato a giorno. Mi sento soffocare nella lana viola del gregge color neon. 
Desidero un nuovo silenzio. Una luce notturna. Temo che le parole a cui mi addestro e che sto truccando per renderle tollerabili e commestibili, mi allontanino dalla mia vita. Non ha senso esprimersi per rotte ortodosse. Credo che la nausea mi sta aumentando. La nausea del desiderio di scrittura per la scrittura, che è il più grande maleficio che possa abbattersi su una sensibilità creativa. Come chiavarsi una donna per le sue scarpe e la sua pettinatura, e non riconoscerla più, dopo due ore, dal cambio di calzatura o di parrucchiere.
Non credo che sia importante diventare bravi nell'uso delle parole. Nemmeno eccellenti. Conta invece lo sfondo: cerco l'urgenza di un grande teatro, attraversato da spire di vento dalle quinte, dove poter attorcigliare paragrafi ai brividi di una prima. Di un'eterna prima.
Non credo che la bravura mi mozzi la nausea che preme nella mia gola, dallo sterno. Ho l'urgenza di riconoscermi in quello che faccio, attraverso quello che sente il mio fare, e non per quello che il mio fare mi dice attraverso le rotte degli altri. Voglio scindere l'attività dello scrivere dallo scrigno angusto di una maratona, per ritrovarmi con la mano sepolta nel fianco e il fiato spezzato. Preferisco una corsa vera e viva.
Vorrei avere il coraggio di azzerare ogni traccia. Vorrei cominciare ad azzerare e non a creare. Quando avverto la nausea, vuol dire che le parole stanno marcendo dentro, e la scrittura putrefatta attira larve di mosca carnaia. Non voglio scrivere dentro i vermi. Ho bisogno di recuperare una purezza e una tenacia, che mi scalcino via il disgusto che preme. 
Mi auguro di rimanere sopreso dalla nausea e dall'inquietudine delle parole per le parole, e di non realizzarmi attraverso un linguaggio, se questo non accenderà camini o non spaccherà vetrate.
Ha smesso di piovere.