venerdì 27 settembre 2013

Cronaca di un mistero


Il disegno terso di un grido sforma il pomo nudo dal nodo di una cravatta a lutto, la fascia tesa sul braccio occluso dall'ultimo infarto.

L'uomo, che è molto sudato, le si avvicina  e si accovaccia, mentre la sua prima figlia
si impregna della sua tosse vecchia e sorride al mare verde come appena dipinto, dalla vasca.

Si levano pavoni distanti, dalle piume spruzzate di rame, con dei flautini infranti nelle gole azzurre.

Le reti pulsavano di marmore, nel fumo rosato del tramonto. Le tirava una donnona dalle braccia grasse, i polpacci affossati e arrabbiati di vene.

Qualcuno che poi ha sentito uno sparo; qualcun altro uno schianto sordo,  dal villino 
liberty e triste lì accanto.

Più tardi ancora,  nella notte fonda: il rimbombo tombale di un pianoforte.

giovedì 26 settembre 2013

Pilar, Finito e la musica di una banda che passava a Valencia






Ho assaporato questo passaggio dall'incantevole romanzo "For Whom the Bell Tolls", di Hemingway – credo che sia assolutamente superfluo, quanto meno per i veri appassionati "purosangue" dello scrittore, tradurne il titolo dall'originale, anche per non perdere la purezza del rimbombo selvatico e della possenza (che sarà poi diffusa come una spezia in ogni cellula del romanzo), lasciandolo così indisturbato nel suo assetto  primario.
Non voglio aggiungere troppo, prima di lasciare chi leggerà l'estratto di questo post al mare di queste penombre, al vizio di estasi  e di succo di cui questo breve estratto è rappreso e del quale ancora profuma e cattura. In certi frangenti si diventa prede, che aspettano la rapina. Non altro.
Aggiungo solo questo: Hemingway non è solo asciuttezza, precisione, massima economia. Non è solo artigiano dello sparo secco e indovinato nel segno, della traccia scarna e ruvida della frase, della cellula rotonda che si basta e che non ha bisogno di altri ornamenti superflui per espandersi. Ma è anche molto altro. Come in questo esempio, dove è proprio una donna che parla e racconta: si tratta di Pilar, la donna di Pablo.
Ascoltiamola:



"Qué va" disse la donna di Pablo. "I meloni di Castiglia servono per masturbarsi, quelli di Valencia si mangiano. Quando ci penso, lunghi come un braccio d'uomo, verdi come il mare e freschi e pieni di sugo se li tagli, e più dolci di un'alba d'estate! Ah, se penso a quel mucchio di anguille minuscole sul piatto, così delicate e tenere! E poi tutto il pomeriggio boccali di birra, birra freddissima che trasudava nei boccali grandi come brocche d'acqua."
"E quando non mangiavate o bevevate, che cosa facevi?".
"Facevamo l'amore in camera, con le persiane di legno abbassate sul balcone e una corrente fresca che entrava dal vano sopra la porta e la faceva girare sui cardini. Facevamo l'amore là, in quella stanza tenuta al buio di giorno, con le persiane abbassate, e dalle strade veniva il profumo del mercato dei fiori e l'odore di polvere da sparo dei petardi, delle tracas, che durante la feria si snodavano in lunghe file per le strade e venivano fatti esplodere ogni primo giorno, a mezzogiorno. Tutta una catena di fuochi d'artificio, da un capo all'altro della città, tanti e tanti petardi infilati nello spago, che scoppiavano lungo i fili e i pali del tram esplodendo con gran rumore, saltavano di palo in palo con uno scoppiettio e un fragore che non si può credere...Facevamo l'amore, sì, e poi ordinavamo un altro boccale di birra con le goccioline fredde sul vetro, e quando la ragazza lo portava, io andavo a prenderlo alla porta  e mettevo il vetro freddo sulla schiena di Finito che se ne stava steso e dormiva e nemmeno si svegliava quando arrivava la birra, e lui diceva "No, Pilar, no, muyer, lasciami dormire" diceva.
"No", dicevo io, "svegliati e bevi, vedrai com'è fredda...". E lui beveva senza aprire gli occhi, e si riaddormentava, e io mi mettevo ai piedi del letto con la schiena contro un cuscino e lo guardavo dormire. Era bruno, nero di capelli e giovane e tranquillo nel sonno, e io bevevo tutta la birra del boccale e ascoltavo la musica di una banda che passava".

Ernest Hemingway










mercoledì 25 settembre 2013

Pensiero è scrittura


"Il pensiero esiste soltanto a partire dal momento in cui si formula, vale a dire si costituisce grazie alla realtà delle parole".
Clément Rosset.

lunedì 23 settembre 2013

I suoni di molte anime


Molte persone mi rimangono dentro, nell'aria della mia vita, come campanellini di biciclette. Ciascuno il suo timbro, il suo tono, la sua fatica radiosa di esistere, accomunate da quel tocco confidenziale e delicato, che mi scorge in lontananza e mi fa svoltare, come un tornante, quando ci sono e poi non ci sono più...
Rimanere nell'aria come un campanellino di bicicletta, in diversi casi può significare rimanere dentro un'altra vita per sempre, anche dalla traversia di un solo attimo. 
Tutto questo fino a quando vi saranno strade in leggera discesa per chiedere spazio, e quel filo di dolore nel sentirli svanire e nel morire un po' con loro, quando ormai non si avvertono più, e quando ormai non mi avverto nemmeno più io.
Credo davvero che i suoni di molte anime brillino dei campanelli delle biciclette. Ne sono certo.

domenica 22 settembre 2013

I treni e la sera


Credo di poter imparare a capire e a sentire meglio le persone in base al loro amore per i treni.
Per i treni della sera, quando le stazioni sono appena illuminate.
Aspettando un treno nel silenzio mi sento e sento l'amore, l'importanza del sentirsi amati di sera.
Ho imparato che cosa potrebbe essere l'amore, anche guardando molti treni. Molti treni della sera.

venerdì 20 settembre 2013

I tre nuovi ingressi nel cast de "L'effetto Shepard".


Da ieri sera, ufficialmente, tre attori professionisti e molto bravi, si sono abbinati al mio progetto "L'effetto Shepard", e sono presenti nel cast artistico.
Accolgo con gioia e con emozione il loro ingresso, anche se in una fase ancora così fragile e iniziale del viaggio, dedicando loro e ai loro visi la pagina di questo post e includendovi anche l'attore Alessandro Cimarelli, che li ha preceduti di poco:

Sabrina Crocco, attrice


Fabio Pasquini, attore

 Sabrina Iorio, attrice

Alessandro Cimarelli, attore





giovedì 19 settembre 2013

L'effetto Shepard: il forum ufficiale




Da ieri è attivo il forum ufficiale del progetto "L'effetto Shepard", del quale sono amministratore insieme a Fabrizio Fiore. Nel forum coesisteranno sia i comparti dello staff tecnico e del cast artistico, con i relativi aggiornamenti, approfondimenti e argomenti di confronto, che una zona aperta a chiunque voglia seguirne da più vicino gli sviluppi, le sorti e tutto l'itinerario da una sua zona appena più interna.

Al buio


Al buio:
stanzio in silenzio l'alto dell'aria intera alla mia notte. Coperta ricamata a mano, corsara di un indaco di vicoli a lutto, barlumi notturni di orti bagnati d'avorio. Appena un frusciare di viali, in un canto fresco di donna da una finestra appannata, che fascia di suono lo scorrere del fumo sul polso, come sussurro fitto all'orecchio in un abbraccio. 
Passa il sonno e il suono, con il sorso di fuoco del giorno. L'umido vasto della corte incava i visi inclinati come un coltello azzurro nelle noci. Scomparsi gli ultimi alberi, le rare voci dei salmi, i pochi ricordi, nella buonanotte nebbiosa e infelice di chi fa tardi.

mercoledì 18 settembre 2013

Doglia di scrivere


È quella che provo e che mi auspico. Che duri per sempre, nell'impulso materno del suo scoppio vetroso di maestrale.
Non voglia, ma doglia. Il dolore e non solo quello del desiderio ma quello del deserto di questa voragine di vuoti, che costella l'eco del mio sparo nella notte, la resina sulla corteccia.  
Il dolore puro, quello che si tace e che non si dice, che non si finge, che non tradisce e che nemmeno si esibisce. Non è l'atto svogliato del fare o del far  vedere o del mostrare di fare, ma è l'atto impudico di un dolore espressivo che ti mura e che insieme ti libera: la doglia di una propria impressione che si sprigiona da sola e ti squarcia: quando dico.
Per questo non ho voglia di fare e di scrivere, ma ne ho solo doglia, e di questa doglia ne ho fame ma ne provo una pace infinita, così grande da leccarmi le dita.
Ma forse è appena appena la mia vita...

martedì 17 settembre 2013

Se dentro: tre quartine in prova a rima alter(n)ata:


Se dentro questo piacere qualunque,
sfumasti al timbro sperso quel dolore
nello stringermi all'amore delle cinque,
senza svestirmi un battito, un tremore

dal tuo nero d' ansia è prendermi vento,
nelle maniche corte la tua bruma;
se passeggiasti fiera di spavento,
sui chiari dove slarga chi si ama,

sparisti sulle terrazze tra i lumi
levati da vampe scure e isolane,
carezzando ad occhi schiusi i profumi
di balli tristi...tra nuche lontane.




Le preziose inutilità

Pensando:
che l'associazione lettura-utilità della lettura, pur se cruciale e forse anche inconfutabile, non la trovo congeniale per avvicinare qualcuno che sia ancora distante dal regno incantato del leggere, così come sarà molto difficile convincere un bambino dell'importanza del fattore crescita, riguardo l'alimentazione, nonostante la crescita sia un fattore auspicabile per la stessa prospettiva del bambino. Il diventare grande a tutti i costi può anche rivoltarsi contro i suoi programmi di rotta o di gioco o di totale anarchia da ogni sistema organizzato di condotta, per cui sarebbe più interessante verificare altri parametri di esplorazione in rapporto alla dimensione con i suoi "cibi" in senso lato, non limitandosi solo a quelli che gli faranno allungare le ossa e i tessuti, per dirla in soldoni.
Dunque:
quello che invece mi insospettisce, oggi, è questa dimensione del perseverare sul mito dell'utile, quindi del giusto strumento di suzione e di crescita, come fattore verticale esasperante, anche molto economico, che non è solo legato all'importanza del leggere ma anche a quello che sia doveroso leggere, a quello che sia importante leggere e a che cosa, tra le possibili letture, ti farà fare un balzo quantico prima degli altri, elemento performante e altezzoso, che si associa in diversi casi a quella sorta di decaloghi blindati e infarciti di verità posticce e senza fine, che indicano gli accessi della buona cultura come gli omini anonimi e ingessati nelle toilette di un centro commerciale.
Non posso sapere che cosa sarà davvero utile ed edificante per me, se non mi imbatto personalmente nell'assoluta e orgasmica inutilità di un apparato contrario e ammaliante, che a sua volta potrebbe essere ugualmente formativo, pur perseguendo la perversione di un condotto fognario e poco luminoso. Ma quanto può essere illuminante la predica e la direzione assoluta, la freccia che segna nel testo il fattore crescita, utilità e nessun altro? L'universalità e sacrosanta utilità del leggere, potrebbe essere infranta dalla prima pallonata che distoglie un ragazzo con un sorriso diverso, nelle prime ore silenziose del pomeriggio, di fronte a una pagina di Robert Louis Stevenson. Quando una pagina avrà la forza di allontanarmi da altro, di diventare l'elemento oscuro e trainante, iniziatico a un viaggio personale, inutile ma misterioso verso un personale "non dove", allora, forse, l'incontro con un libro potrebbe funzionare come qualcosa di efficace. L'utilità non lo trovo l'elemento trainante per convincere qualcuno a leggere. Non posso sapere cosa sia utile in assoluto per qualcuno. Non lo so ancora per me. Nemmeno ciò che sia davvero inutile: per mia fortuna, e in questo modo, tutto appare più fresco e intonso, non classificato.
Oppure, continuando, tra scrittori: leggere per poi scrivere meglio: chi non ha mai ascoltato un consiglio simile, e come contraddirlo? Intanto sfido un qualsiasi scrittore al mondo a trovare giovamento da una lettura e dallo sprofondarvi davvero dentro, se condizionato dal solo demone della sua svilente e assoluta utilità, per trovare la ricetta del buono, ottimo, superbo scrittore, quella certa ispirazione perduta, o brillio nella disperazione, misticismo, eleganza e affabulazione, come nella massa lavica di un ragù napoletano cotto dal sabato pomeriggio prima per la domenica: quel libro in quel momento lo hai già perso, sei già preso da te, dalla sua utilità ordinaria e non dalla profonda possibile voracità da lupo del ragazzo selvatico, che arranca a zampate verso un viaggio malinconico, violento e solitario, senza mete e sans papiers.
Il miglioramento di uno scrittore è un processo molto ampio e credo davvero poco prevedibile. Scrivere oggi è adombrare l'abisso della totale e spaventosa disattenzione a una propria ricerca intima, personale, dolorosa. Scrivere oggi vuol dire incalanarsi nelle regolette fittizie di poeti iniziati dalla loro filosofia di verità, che storcono il naso davanti a un decasillabo sdrucciolo (sempre quando non lo confondono con un endecasillabo, limitandosi a contare le sillabe e non la posizione dell' ultimo accento) ma nemmeno auspicano tentativi di disarcionarsi dalle regole: vogliono la loro verità poetica. Diceva Miller che una persona che abbia davvero del talento oggi non ha speranza. È condannato dal suo stesso talento. Aveva ragione, Miller. Ha ragione, Henry Miller, che diverse librerie ancora considerano uno scrittore di letteratura erotica senza rendersi conto che è stato uno dei più grandi scrittori al mondo, signori. E non scherzo.
Riprendendo la strada interrotta: potrei quindi aver letto anche diecimila libri, per la foga di rendermi utile a me stesso, e fare la decima parte di chi ne ha letti solo cento, ma per un particolare trasporto, che forse nemmeno si spiega ma che lo ha portato molto più lontano da sé di quanto non immaginasse...e quindi anche da me, chissà. (Ma certo che sì, niente chissà, sarà così). Oggi è fondamentale il profumo della propria cultura e non le vampate di naftalina del nozionismo.
La lettura sarà essenziale se accorpata a una dimensione superiore, di celebrazione della vita attraverso la scoperta o la scopata con un testo e non della sua mera utilità. Della sua bellezza, mistero, profondità. Forse, in certi casi, della sua assurda quanto preziosa inutilità.
Pensando.

domenica 15 settembre 2013

Luci da un attico


Questa sera ho scandito la morte del rosa
quanto il tuo viso scomparve al sereno
dalla spianata limpida delle sette,
nel cielo sbranato al rabbuio verso l'Ovest,
tra le turbìne di corriere più distanti,
quando la nostra compagnia ne rimaneva intonsa,
vertigine di un' assenza al tuo ronzio di zendado.
Un vecchio zoppo arrancava lungo la strada.
Lo mentivo molto stanco dal tradirsi dei passi,
con ampie bracciate di terreno e di lucciole
mi stendeva il segno del solco interpoderale.

La musica temprava di spuma la colma dei ciottoli,
già sparsi mentre il diradare degli scooter balneari
dava forse concluso quel monsone estivo:
uno stormire di amiche dalle schiene scure, 
alla tua cena affollava, iniziata da poco,
e in quella pace, che tu brillasti di anima,
la mia parola fantasma non fu che muta.

Dentro il silenzio


È dentro il silenzio, di alcuni momenti, che possono sembrare piccoli, che si varcano e si snidano misteri e si accorda per bene il proprio suono.
Se non accadesse questa fasciatura silenziosa su quello che sento o che immagino di vedere, sarei sordo o forse anche solo stordito e scriverei sciocchezze. L'assenza del suono, del suono che mi attrae e che mi fa oscillare verso determinate proieizioni, sollecitazioni e relative attenzioni, è fondamentale per ritrovare il nesso con una fase altra, una fase in apparenza inutile, dove spesso mi accorgo di un'altra branca di valori metalinguistici insondabili, ma allo stesso tempo intimi e striscianti di un'oscura consanguineità con il mio mondo espressivo e con la mia vita. 
Lo stesso linguaggio che si ricerca e che si adopera, ha tutt'altra grana se viene sviscerato da una zona intatta e franca dall'affollamento di suoni, di stimoli, di percezioni troppo invasive e scroscianti del gesto meccanico di suzione e rifrazione dello stesso pasto  ingurgitato, soprattutto da territori chiassosi e privi di un'armonia e della condizione primaria per ritrovare il proprio personale suono con cui relarsi o al quale immolarsi. In silenzio o forse è meglio...dentro il silenzio.
La ricerca del mio suono, quello che potrebbe rappresentare un'idea di quello che avverto vero e potabile alla mia percezione sonora di uomo, più che di artista, va fasciata attraverso questa garza, questa membrana fresca e innocua imbevuta di notte e di esorcismi, che diventa molto più luminosa della stimolazione eccessiva alla luce e alle troppe voci.
Se si è davvero in una zona silenziosa, si affronta la comunicazione scritta con maggiore consapevolezza e non solo per il mero gusto del dire per il dire, ma del dire per il dare. La distanza tra i due moduli è abissale.
Questa preziosa fasciatura silenziosa la avverto una madrina che dovrebbe allattare il mio passo, essere l'odore buono del mio passaggio, la mia fragranza, questo anche quando decido di parlare, di dire e di rompere il bianco della pagina, come quello di un qualsiasi post. Il dire con silenzio, significa essere disceso dentro. Scrivere con una discesa più o meno precisa in un proprio laboratorio, comporta un'attività espressiva sintonizzata alle frequenze del proprio mutismo, e quindi delle dinamiche perché questo mutismo si infranga e del mistero, spesso insondabile, che rappresenta il cuore della sassata notturna, la quale non avrebbe il suo fascino se non scaturita da una lunga stasi o apparente pace dalla scure di certi suoni.
Proprio stamattina scrivevo a un'attrice di quanto conti l'essere davvero impressionati, il ricevere un totale e abissale impressionamento da qualche particolare circostanza reale o anche filtrata dal reale in una dimensione parallela di rielaborazione, per comunicare. L'onestà di una certa comunicazione nasce dalla purezza e dalla profondità di un percorso solitario di reale impressionamento, dove l'impressione sia scaturita da un'immersione attenta e coraggiosa in quello spazio silenzioso e puro, dove sfila la fucina del tempo, e dove la vita intinge il suo filo bagnato dentro la tua cruna, o come stanotte, quando ascolto ancora il fruscio delle poche auto lontane, verso l'Appia, e la campagna muore dentro se stessa, come muore l'estate o un uccello ammalato nella febbre rovente del suo nido.
Nel silenzio.
Credo che vi sia l'urgenza di una comunicazione che nasca e si irrori da una pratica silenziosa e non dalla molestia del grafomane o dell'annoiato. La parola sarà matura se scaturita dall'intensità di un vero buio, un buio di gestazione e di accudimento, ma non da questo continuo abbagliare e abbagliarsi, senza tregua, che confonde e ottunde, ma che non inonda mai.

sabato 14 settembre 2013

Baci nell'alba (Bozza e impromptu di cinema)


Che ne rimanga
forse...
l'accidia
di questo
abbraccio 
sfinito,
lo spavento
dei capelli
sul viso
alla tenebra
blanda
dell' alba,
il fumo 
già celeste
sul muro.

O forse...
ancora:
la pioggia
discesa
di quanta
calma
illimpidì
sul  Vomero,
il battito
d'acqua
e  calce
nel tuo
passo
vispo e
pallido
sui tacchi,
è mai
scomparso.

Dalle
tue mani
tremanti,
nei
guanti
spugnati
e
molto
azzurri
alla
mia
nuca
magra:
le luci
tanniche
e opache
nell'
ultimo
autobus
della
notte
a
deposito.

venerdì 13 settembre 2013

Paese in fuochi (Bozza in itinere)


I grandi fuochi 
di una notte,
in palpiti d'aria 
come di cluster,
sfollano d'oro 
le foglie di quercia
dalle corti riaccese 
del paese,
e pasciono nei canali
generosi del grano,
dal fumo bianco e rosa
brillante da una torre
ne sbanda il soldato 
stanco che sorride 
alla vorace gelata 
di biciclette chiare,
scalate di strilli 
nella saetta.

Brancolano 
le ringhiere 
di fidanzati,
tra levrieri 
che strangolano 
l' aperta campagna, 
col fiuto già schiuso 
alla febbre dei morti.

mercoledì 11 settembre 2013

Citazione e vocazione di solitudine, da Hazlitt


Non sono mai così poco solo come quando sto da solo.

William Hazlitt

martedì 10 settembre 2013

Negip



In un giorno ad Avellino:
ci parlavi dalle mura di un bosco,
con i capelli discesi già sul viso
in un'arrampicata triste nel vento.

Il tuo nome appena stregato
rimase in quello più giovane,
nei grande cerchioni radiosi
degli occhiali rotti sul naso.


Ancora un sorso sparso da una tela,
nella tua stanza da letto sgomenta
la tua vernice ardente nella mela
del mento che richiudevi la porta,

ai pranzi lunghi delle domeniche.

sabato 7 settembre 2013

L'urlo e il furore



Questa sera mi sono imbattuto in questa bellissima edizione dello straordinario e rivoluzionario romanzo di William Faulkner: "L'urlo e il furore" Mondadori 1969. Era sopra una pila di vecchi libri, in una bottega poco illuminata di un vicoletto, dove scopro anche che il ricavato delle vendite dei libri e di tanti altri piccoli oggetti usati, sarebbe andato in beneficenza in Nuova Guinea.
Non ho esitato. Ero già in possesso di una riedizione Einaudi, acquistata qualche annetto fa, con una bellissima postfazione di Attilio Bertolucci.
Adesso dovrò confrontare le due traduzioni, sono davvero curioso. Possibile che potrei ritornare a parlarne. Con il dovuto furore, immagino.
Intanto, in omaggio a questo bellissimo a inatteso incontro, vi lascio all' interessante presentazione del romanzo consigliato da Nicola Lagioia:

Love letters: The Making of

Il making di "Love letters", il cortometraggio nato per il ContestEco 2013, (al quale non ha più partecipato per un anticipo della data di scadenza del bando), scritto e sceneggiato da me e codiretto insieme a Fabrizio Fiore. Tra gli splendidi collaboratori di quella giornata, Stefano Petti, direttore della fotografia e operatore; Fabio Pasquini e Sabrina Iorio, attori; Vanessa Mattioli, truccatrice; per l'ultima parte del making l'operatore è Thomas Battista  e la piccola Federica G. Giovagnoli, appena intravista di spalle.

Making of... Love Letters from Fabrizio Fiore on Vimeo.

venerdì 6 settembre 2013

Luci di visi e di Gaeta


Non è affatto comune quello che mi è successo. Intendo poco comune ma anche assolutamente singolare, se visto nella prospettiva più ampia e complessa del progetto cinematografico che ho ideato e che sto cercando di sviluppare con grande entusiasmo insieme al regista e grande amico Fabrizio Fiore: "L'effetto Shepard".
Siamo davvero ai primi colpi, i primi battiti, quindi ancora fitti di extrasistoli, di indecisioni, di ostacoli ma anche di grandi particolari sorprese intrise di speranza quanto di ansie: come questa sorpresa, di cui scrivo, legata a un contatto con un'attrice che si era appena accostata al progetto dalla pagina di presentazione che da qualche giorno era stata inserita, come consuetudine, in un social molto importante della rete. Il motivo dell'approfondimento immediato, che ho voluto instaurare subito dopo aver appurato il suo contatto e quindi il suo possibile interesse a "L'effetto Shepard", – così come ho detto a quest'attrice, quando poi l'ho sentita al telefono –,  era legato a una certa particolare tensione naturale di luminosità avvertita emanarsi dal suo viso, evinta con chiarezza da una di quelle espressioni che ero riuscito a cogliere da alcune sue foto disponibili e trovate con una rapida ricerca su Google, foto  che avevo visionato poco dopo aver visto la sua adesione ancora "spirituale e social", della nostra pagina di Shepard, perché animato da una sensazione confusa ma diretta di sintonia. 
Tra l'altro questo lavoro è legato a questa particolare sensitività o sentimento di luce, di stadi alterati di una luminosità mutante, forse ansiosa, gli stessi stadi che hanno investito l'idea e il tessuto di tutta la struttura, fin dalle sue prime battute, sceneggiatura nata tra l'altro di getto in una zona che amo molto, una città vicina a Gaeta, ma che è sempre testimoniata e raggiunta della bellissima luce che avvolge Gaeta, come un'aura. La sceneggiatura è quindi nata nel mese di luglio, avvolta e impressionata da questo calco o sentimento luminoso diffuso e parlante, che dava gli occhi al viso azzurrato e sereno della Cajeta nutrix di Enea, lo stesso contrappunto di luce e di talento luminoso che avevo colto nelle foto di quest'attrice.
Fino a qui potrebbe sembrare tutto assolutamente normale, a parte un piccolo, impercettibile dettaglio: quando ieri pomeriggio ho avuto modo di parlare al telefono con quest'attrice, (telefonata avvenuta all'ora di pranzo, con Gaeta davanti a me, immersa e sommersa nella luce dell'ora di pranzo di un settembre così terso) ho saputo anche, ma davvero per puro caso, di dove sia, intendo delle sue origini, dei suoi natali, elementi dei quali ero a totale digiuno, naturalmente: e, ironia della sorte, il suo luogo di origine è niente di meno che...Gaeta!
Non so ancora di preciso cosa accadrà o non accadrà, ma sono sicuro che in qualunque caso vadano le cose, l'esistenza  di questo particolare inequivocabile segnale, legato al caso o forse nemmeno solo al caso, mi renderà molto difficile dimenticare la qualità di queste circostanze, così le dinamiche, anche se di primissimo approccio, relate a una collaborazione artistica di questo tipo, nata con questo mood, con questa sua luce così personale, parlante e delicata, per quanto poi incubata e presagita nello stesso nucleo più profondo e creativo del progetto Shepard.
È tutto.

giovedì 5 settembre 2013

Gordimer e il presagio di Mann



Il primo punto del romanzo The House Gun di Nadine Gordimer in cui affiorava lo spettro manniano, era questo che segue:
"È assurdo che l'assassino sopravviva all'assassinato. A quattr'occhi, senza testimoni, come due esseri fanno soltanto in un'altra affine occasione, l'uno passivo, l'altro attivo, hanno avuto in comune un segreto che li lega per sempre. Devono stare uniti". Il Naphta di Thomas Mann parlava a Harald nei silenzi che lo accompagnavano ovunque [...]".
Dunque, non avevo dubbi: Gordimer citava, adesso con chiarezza, nel suo romanzo il romanzo "La Montagna Incantata", non poteva essere altrimenti: il romanzo dell'indimenticabile: infatti, poco dopo, qualche pagina più avanti, a conclusione di paragrafo, accade questo:
"Hai mai letto Thomas Mann? Ti porto la montagna incantata" inserita in corsivo e in minuscolo, a differenza del mio istintivo consacrarla con tutte maiuscole, in modo del tutto arbitrario, o forse per quanto lo scrittore abbia, nella mia infanzia e nella grande libreria di mio padre, gravato ma anche ispirato il mio percorso, soprattutto accompagnato il mio disordine, i miei conflitti, la mia tortuosa creatività più disestrosa che estrosa.



Così come la copia del suo ritratto di spalle, o meglio: di nuca, dove Mann è girato di spalle, con un cappello classico e molto tedesco, si avverte e si evince una giovane età, un'aria leggera e nevosa, un'aria tesa di quella grana letteraria tenace, inconfondibile, maestosa; età comunque elegante di prima maturità, più tratto di distinzione che di tempo passato, e mio padre immaginava che prima o poi  Thomas Mann si sarebbe girato, all'improvviso, all'interno della tela, per fissarlo e forse per dirgli qualcosa. Tutto questo non è mai avvenuto, ma forse, in questo richiamo doppio di Nadine Gordimer, si è ripristinato quell'antico collegamento di sinapsi, la fermezza di quella poetica che ridà luce a un testo e al suo lettore. La solitudine infinita di quel sanatorio, Naphta, Castorp e questo intermezzo solare dove Gordimer mi riporta dentro di me, attraverso due libri distanti e diversi, dove si spalanca in un colpo un sibilio e (ri)tratto della la mia vita. Senza viso.

mercoledì 4 settembre 2013

Versi navali (in bozza)


Dal filo rosso del faro
lungo la spalla morente
che scivola il giorno,
alle luci delle navi
tremano il freddo
di un porto anziano
senza porsi un riparo:

Tetide e Quirino

come infrante a specchi
rinfrescano nel bianco
il mattino presto,
vegliandosi rafferme
di primo ormeggio
sugli azzurri d'aria,
minate di lampeggi
del geranio ai davanzali,
quando i rintocchi di neve
dal piccolo campo da tennis.

martedì 3 settembre 2013

La casa vuota


La casa ritornata vuota,
snoda il vibrato di gole
dello stormo scomparso;
la febbre ne risale
nelle stanze: scala
di luce la rapida
di un pomeriggio,
ancora il chiaro...

Sui parati gonfi
e colmi di tramonto
scorrono gli attimi
limpidi delle tempeste;
e dai balconi bassi,
dal vento delle cinque,
squarci e maceri di nuvole,
volte alla mezzanotte
di un tuono esteso
al rogo dell'autunno,
senza alcun suono
di vero al tuo orizzonte.

lunedì 2 settembre 2013

Ultima sera

a M.

Districando i rami di un'ultima sera,
dalla passeggiata brillavano
i barlumi sparsi d'ansia del lungo(a)mare, 
le forti pause di fiato ai cancelli immensi
di buio e le panchine di sabbia e marmo
ne rassegnavano la tua figura in breve,
distesa e incastonata alla rampa
dai cieli fumanti in un vallo impervio,
che si avversava ad incupirti un lieve 
disegno nello sguardo svanito in alto, 
rasserenato dalle vacanze e dal gelo.

domenica 1 settembre 2013

Notte d'agosto...


Da un quadrato d'aria
più finestre che dal buio
della quercia stringono
gli occhi bruni nei polsi:
sorprendono come
il giallastro di luci
basse che incantava
la tregua spaventata
di un fanalino caldo
del podere accanto; 
una casa vi giace nuda,
senza vita e senza sorte, 
la sua cena frugata
dalle fitte cornacchie,
tra le tende rianima
lo spettro dei pochi
arrivi ora più incerti, 
che ne sfumano 
e poi tracimano
dal nero al canto
limpido dei morti,
nell'aria lontana 
di una notte
in agosto: l' ultima
in lembo d'ombra
di campi già velati
da una fervida fine,
sfumando ancora
di capelli bianchi,
di carri scroscianti
al palpito di luna.