domenica 30 aprile 2017

Nel dolore di questo gioco


Le strutture a cui lavoro sono dei contenitori utilizzati per abbandonarmi al mistero di un' esplorazione. Al loro interno tutto potrebbe accadere o anche non accadere. In questo stato esplorativo di abbandono contemplo anche una particolare e ferrea disciplina, che va regolata, a volte come si regola un respiro necessario prima di una certa azione. Ma questa forma di disciplina non condizionerà mai la totalità ispirante dell'abbandono e del suo nutrimento, ma gli darà solo quella giusta irrorazione per consentirgli di espandersi al meglio, contemplando tutte le possibilità relative al suo moto di eiezione e alla scorsa dei suoi fluidi. 
Durante queste scorse il contenitore utilizzato come struttura o caposaldo formale, si smuove in modo complesso, spesso poco prevedibile. Questo contenitore, dove io identifico una struttura dove articolare un determinato – o anche non del tutto determinato – percorso, in diversi casi anche molto lungo, non lo sento limitante per quanto riguarda tutto quello che di più intimo e personale può accadervi all'interno; lo avverto invece come quel perimetro prezioso, che non impone ma dispone le misure orientative di un campo di azione e reazione, come di uno spazio energetico, che anche se racchiuso in una forma prestabilita, può diventare da un momento all'altro uno squarcio di figure e situazioni complesse, forse proprio grazie ai lati e ai confini dello stesso telaio che le circoscrive,  senza il quale forse non accadrebbero le condizioni preliminari per una reale ispirazione, che si articoli  in un insieme compiuto e non solo apparizione vaga di un effetto emotivo, spesso effimero se non svogliato nella sua fattura – basta guardarsi in giro, in rete e fuori rete, per cogliere questi spasmi amatoriali e svogliati, che sentono e molto spesso pretendono di definirsi scrittura.
Il perfezionamento del telaio richiede molta fatica e molta angoscia, per ogni passo che si compie in avanti: non esistono rimedi, consigli, o trucchi e nemmeno scorciatoie, per consentire a una struttura di mantenersi in piedi e di non crollare alla prima brezza.  Ed è in questo equilibrio, come in questo delicato confine di leve e di ombre, che si smuove il dolore di questo gioco. 


venerdì 28 aprile 2017

Numero di parole giornaliere da un diario di bordo. Parte II ( dal 28 marzo al 28 aprile 2017)


Continua la scorsa numerica (ossessiva) delle mie session di scrittura relative a un lavoro lungo cominciato subito dopo le vacanze di Natale. Qui la prima parte del primo resoconto.



28/03/2017  149.640 a 151.596 parole
29/03/2017  151.596 a 154.039
30/03/2017  154.039 a 154.125
31/03/2017  154.125 a  155.550

1/04/2017   155.550 a  156.715
2/04/2017   156.715 a  159.891
3/04/2017   159.891 a  161.582
4/04/2017   161.582 a  163.329
5/04/2017   163.329 a  166.240
6/04/2017   166.240 a  167.137
7/04/2017   167.137 a  169.095
8/04/2017   169.095 a  170.463
9/04/2017   170.463 a 173.102
10/04/2017 173.102 a 174.900
11/04/2017 174.900 a 176.335
12/04/2017 176.335 a 178.120
13/04/2017 178.120 a  179.239
14/04/2017 179.239 a 180.450
15/04/2017 180.450 a 180.781
16/04/2017 180.781 a 182.846
17/04/2017 182.846 a 184.537
18/04/2017 184.537 a 187.535
19/04/2017 187.535 a 189.681
20/04/2017 189.681 a 190.698
21/04/2017 190.698 a 192.879
22/04/2017 192.879 a 194.091
23/04/2017 194.091 a 195.497
24/04/2017 195.497 a 195.823
25/04/2017 195.823 a 201.014
26/04/2017 201.014 a 202.121
27/04/2017 202.121 a 204.299
28/04/2017 204.299 a 205.944


giovedì 27 aprile 2017

Ritter Dene Voss, di Thomas Bernhard: Maria Paiato, Manuela Mandracchia












mercoledì 26 aprile 2017

Contrasti


Conta ancora molto, in diversi tratti del mio percorso di ricerca, il senso di uno straniamento e quindi la tentazione della rinuncia. Allo stesso tempo contano molto anche la caparbietà, l'ostinazione. Ma queste dimensioni vissute isolatamente perdono, secondo me, il loro fulgore. Hanno bisogno dell'esperienza di un contrasto nella loro ascesa. Auspico per ogni mio passo una rinuncia intrisa di caparbietà e di ostinazione e nello stesso tempo una caparbietà e un ostinazione accompagnate da uno sfondo costante di insicurezze e di tormenti. Non immagino nulla di più autentico a rappresentarmi. 
Credo che il nesso armonico sia interessato da questa particolare grammatica di espiazione. Un continuo alterarsi di gradi, di modulazioni, verso toni vicini, poi di colpo lontani, se non irraggiungibili. Senza giudicare quale sia il passo o il dissesto migliore. In fondo ciascuno farà fino in fondo la sua piccola parte, nella sua orbita tonale, non dimenticando mai di accompagnarvi quel giusto squilibrio di entusiasmo e disperazione.


martedì 25 aprile 2017

Ma adesso capisco



"Ma adesso capisco. 
Capisco che in fondo a poter riempire 
quel contenitore imperfetto che è la scrittura, 
sono solo ricordi e pensieri altrettanto imperfetti".

(Murakami Haruki, Norwegian wood)



domenica 23 aprile 2017

Oltre il trauma di quell'abbraccio


Nell'abbraccio della ragazza, unica eletta a raggiungere il palco di Michael Jackson, durante il concerto di Monaco del 1997, ho colto qualcosa di molto più articolato del fanatismo o tipico invasamento adolescenziale per il proprio idolo di turno. Oltre e dentro quell'abbraccio, avviene una precisa sinergia di solitudine e di adempimento all'unico antidoto di morte di quell'istante, che probabilmente rimarrà scolpito nella memoria di entrambi. Michael Jackson in quel momento regge e non corregge l'impeto. Nemmeno lo disciplina nel suo trauma, ma lo fa carne bianca della sua canzone, continuando a cantarla con dentro quella stretta tentacolare, ma struggente, che gli fende il fiato. Dentro quel nodo si sintetizza l'inconsolabilità per ciò che davvero si ama. La sensazione di perderlo mentre lo si afferra, di sfuggirlo mentre lo si tocca, di morirne solo mentre lo si vive. Una strana penombra di mito e di teatro, come nostalgia di un orgasmo crepuscolare e divino, che in fondo non passa mai. 
Qui:

venerdì 21 aprile 2017

Estratto da "Forse, il silenzio", di Luigi Salerno


Un breve estratto da un mio romanzo inedito, il cui titolo provvisorio è "Forse, il silenzio":

 "Quella notte la scuola non avrebbe chiuso. Una scuola accesa nella notte, senza studenti. Le luci gialle sui banchi vuoti. Una folla opprimente nel cortile, ma di ragazzi e di ragazze senza zaini, libri nelle cinghie o cartelle. E di adulti e di ansia e di apprensione e di spavento e di professori con gli occhiali. Una scuola accesa per insegnare la paura. La paura della vita dopo la morte e non della morte dopo la vita". 

l.s.



mercoledì 19 aprile 2017

Incontro con Javier Marías





martedì 18 aprile 2017

Volere o dover scrivere


Stamattina, dovendo ritornare a un mio testo, avvertivo una strana resistenza. La sensazione di non avere nulla di così importante da dover dire. Forse nulla da dire. Oggi era una giornata da passare in silenzio, senza voce. Il solo pensiero di tracciare una sola riga, anche una sola parola, mi affaticava. Eppure qualcosa mi diceva di accostarmi ugualmente al testo, che da gennaio non ho lasciato nemmeno un giorno, e proseguire quel cammino misterioso, senza mete, certezze o speranze. Ma facendolo senza volerlo, forse imponendomi di volerlo o dovendolo solo fare. Eppure quando ho cominciato a scrivere, dopo la prima colazione, mi sono sentito bene. Ho dimenticato se quello che stavo facendo faceva parte di una mia precisa volontà, di un mio dovere o piacere; se avevo davvero qualcosa di interessante e profondo o al contrario un bel nulla da dire. 
Ho lasciato che la mia parte annebbiata si aprisse e si fondesse con tutte le altre parti meno indolenti con cui avevo colmato quel manoscritto, fino a stamattina. Ogni mattina cambierà sempre qualcosa nell'approccio con questa struttura. Non potrò prevedere domani quanta volontà avrò di aggiungervi altre parole. La certezza che sia tutto inutile o inadeguato continuerà ad accompagnarmi, ma nello stesso modo avrò giorni di luce e di desiderio, dove il solo scrivere mi appagherà, e altri, come questo, in cui tutto avrà un peso opprimente, e mi renderà difficile abbandonarmi a un atto che sentirò insignificante e del tutto inutile. 
Non si tratta solo di noia, ma di un peso atavico, primordiale, quello che a volte mi fa pensare di essere artefice di una forzatura quando comincio a scrivere parole su parole, l'una dopo l'altra, come elementi mutanti di un convoglio senza destinazioni. Se penso troppo agli stati d'animo di quello che mi accingo a fare o anche a non fare, a tutti quelli che direzionano le mie scelte, non sceglierei più, quindi possibile che vivrei di meno, dedicando il mio tempo solo alle cose davvero volute, ispirate, fino al loro ultimo attimo di vita. Eppure anche in questa resistenza a continuare un certo scritto o a trovare delle motivazioni valide per irrorarlo, potrebbe essere presente un'ispirazione. Potrei essere ispirato anche nel patire una condizione difficile, in relazione a un mio progetto, una condizione che attraverso le mie parole potrebbe diventare altro o sapere di altre fragranze. Allo stesso modo un mattino luminoso, nel quale desidero avvicinarmi al mio manoscritto con un ardore quasi mai provato, – così come non mi è successo questa mattina – potrebbe lasciare nel testo il deserto, e semmai quel tipo di ardore e di fame dello scrivere potrebbe rimanere solo una risonanza della mia persona di quegli istanti, separata completamente dall'opera di quel giorno.  
Ma nonostante tutto quello che in ogni attimo della mia vita verrà fuori dalle mie parole, anche se andranno distrutte con tutto il manoscritto che le avrà tollerate, in qualsiasi caso il tempo passato a scrivere, con qualsiasi delle mie emozioni, sentimenti, sensazioni, avrà avuto un senso. Ed è per questo che ascolterò sempre quella voce che mi dice di fare, nonostante il cattivo tempo, la stanchezza e il vuoto nell'animo. Farlo non perché sia un atto dovuto o voluto, ma perché vi sarà dell'altro, a cavallo tra volontà, dovere o desideri. Qualcosa che non so, ma che varrà sempre la pena o la follia di essere perseguito, anche solo per la sua incognita, per il suo piccolo mistero.


lunedì 17 aprile 2017

Incontro con Claudio Magris


Il pomeriggio di Pasqua, lievemente piovoso, l'ho trascorso prima in compagnia del "Giardino pubblico" di Trieste, penultimo e indimenticabile capitolo di "Microcosmi", di Claudio Magris, poi dell'incontro tenuto il 4 novembre del 2015 dallo stesso autore con gli allievi della Scuola Normale Superiore di Pisa, in occasione della pubblicazione del romanzo "Non luogo a procedere".
Ecco il video completo dell''incontro:



domenica 16 aprile 2017

Resoconti


La rilettura di materiale accantonato da tempo, anche da anni, con la speranza di un resoconto che sveli qualche  lato interessante di quello che si è fatto, o quella sorta di seme su cui intervenire, riserva il più delle volte qualcosa di a dir poco terrificante, e non esagero. Come nel sentirsi vittima di un equivoco percettivo, accade che quello che poi si credeva non è più stato; e forse mai sarà. Non solo quel passaggio, che sentivo fluire con una sua armonia, ma che di colpo diventa altro, un alternarsi di stenosi, di attriti, di cluster, ma anche quel grosso blocco di paragrafi, pagine su pagine di una densità nella quale mi sentivo forgiato e restituito all'ordine di una mia architettura mentre le scrivevo e che adesso sono solo un ammasso caotico di emozioni o peggio, di detriti del mio bagaglio emotivo in totale disfacimento. Un blocco di paragrafi massicci, che si sgretola allo sguardo come parti dell'intonaco di un vecchio muro, e insieme a lui il senso di quelle parole che adesso sembrano insetti, tarli che forano il legno delle vecchie pagine. In questo turbine di rimorsi è difficile valutare cosa ne sarà stato di quel tempo trascorso su quel passaggio e anche su quel grosso blocco di paragrafi, di periodi, di pagine, come di quei giorni della mia vita. Cosa ne sarà stato dell'impeto e della consapevolezza che mi portava a proseguire, pensando che quella strada sarebbe uscita in un altro punto, semmai ancora migliore di quello che sentivo allora, anziché in questo fossato, dove non entra più la luce e nemmeno un filo d'aria?
Questi resoconti dolorosi sono e saranno parte viva dello scrivere. Forse quella parte più vera e nutriente. Il continuo fallire, il ritrovarsi falliti oltre l'origine distorta di un disegno, di un confine, di una misura che si credevano quanto meno migliori, mentre adesso non hanno nulla di così buono da preservare, credo che sia la parte più profonda del viaggio. La più vera, penso.
Ma credo che in fondo, se così non fosse, se nei miei resoconti non mi accompagnasse questo implacabile tormento, forse nemmeno scriverei più.



sabato 15 aprile 2017

La solitudine dell'artista




Ho deciso di copiare in questo post l'Incipit di un romanzo che ho trovato la scorsa estate nella libreria di mia madre, per puro caso, senza nemmeno sapere che quel libro esistesse, ma soprattutto che fosse finito in quella casa, quindi così raggiungibile, senza sforzo, senza costi o ricerche particolari, davvero a due passi da me. Mia madre non ricordava se quel romanzo fosse stato un regalo, un acquisto, un prestito, una dimenticanza di qualcuno. Il mistero della presenza di quel libro lo ha accompagnato in una delle mie letture estive in cartaceo e ancora lo accompagna, anche stasera, che ho appena finito di cenare e ne scrivo. Quando l'origine dell'oggetto libro non è sempre identificabile e quindi riconosciuta, tutto questo aggiunge nitore e profondità al suo spirito, come alla sua esistenza silenziosa quanto ingiustificata in un'altra vita. Come al suo titolo: "Mi riconosci".

Il romanzo comincia così:

"La solitudine dell'artista è un numero da circo non annunciato, diceva un poeta. Centinaia di persone sotto un tendone con i visi che seguono un punto, senza respirare".



venerdì 14 aprile 2017

L'intrattenimento


Non vi è nulla di male a leggere per mero intrattenimento. Utilizzando un libro come uno strumento che ammazzi il tempo, che colmi il vuoto di un'attesa, di una notte d'insonnia, che plachi uno stato di agitazione. Ciascuno può riporre in un'esperienza di lettura quello che al momento gli aggrada.
Non condivido però il parere di quelle persone che, dietro una certa aria sofisticata da intellettuali, decretano poi il valore di un libro non solo sulla sfera personale del proprio gusto, ma sulla sua capacità di intrattenimento, utilizzando, come unico parametro/diktat estetico e artistico di una certa opera, il fatto che questa sia in grado o meno di ammazzare il suo tempo, di ricolmare il vuoto di una sua attesa, o sua notte d'insonnia, come di placare un suo stato di agitazione, senza esaminare o contemplare altre possibilità e sfumature, se non quelle più effimere e – perdonatemi – elementari, legate alla sensazione diffusa di noia per qualcosa di ostico o pesante o, al contrario, all'esaltazione immediata per qualche cosa di avvincente, leggero o divertente gli sia accaduta in quella data esperienza. 
Possibile che ciascuno di noi sarà intrattenuto e catturato da cose più vicine alla propria sensibilità,  che non saranno sempre e solo le più facili o distensive. Potrebbe quindi capitare che qualcosa di troppo leggero non intrattenga a dovere il lato esigente di un certo lettore, ma lo infastidisca. L'intrattenimento sarà sempre legato alla singola dimensione qualitativa esperienziale di quel trascorrere e discorrere di un certo tempo, che rimarrà assolutamente personale, per cui sarà molto diverso per quanto diversi saranno i gradi di fruizione di un certo lettore, i suoi trascorsi, la sua indole, la sua cultura, fino al suo stato d'animo di quell'istante. Ma oltre a una certa relatività del solo e semplice intrattenere, non credo che questa del gradimento immediato e superficiale sia una componente da considerare come cruciale per decretare il valore di una certa scrittura, ma soprattutto per bollarla e accantonarla dopo poche pagine, nel caso non infervori subito l'animo così come si vorrebbe. Non credo che sia la sua spettacolarizzazione dell'istante il parametro più affidabile su cui misurare questo valore e progredire nella sua esplorazione. Io immagino molto altro.
L'intrattenimento in sé, per concludere, non sarà certo il male assoluto, ma lo diventa, ahimè, considerandolo a priori e con troppa leggerezza, è il caso di dirlo, come quell'unico elemento o viatico per decretare il possibile bene più o meno assoluto di un'esperienza di nutrimento – e quindi non di solo consumo – oltre l'ampiezza e la complessità di ogni possibile altro spettro. 




giovedì 13 aprile 2017

Ongaro, narratore clandestino




"Ongaro è un narratore clandestino; uno dei più clandestini, perché ha pubblicato dei libri alla chetichella, presso piccole case editrici impossibilitate a entrare nella circolazione culturale, ricevendo stima e apprezzamenti, ma non la notorietà e il biglietto d'ingresso nel club ufficiale e riconosciuto della letteratura, e perdendo la stuzzicante verginità del manoscritto nel cassetto".

Claudio Magris, Microcosmi



martedì 11 aprile 2017

Azimut: story of a short film



Azimut: story of a short film from Emiliana Santoro on Vimeo.







sabato 8 aprile 2017

"Nella giungla delle città" di Bertolt Brecht 25-30 aprile. Teatro Sala Uno. Roma



venerdì 7 aprile 2017

Risonanze


In una stesura di un mio racconto, ritorna una scuola media a cui ho dato il nome di Giovanni Pascoli. Una scuola di un piccolo paese immaginato, aveva bisogno del nome del poeta Pascoli. Non  so  il perché. Forse per una sua collocazione sentimentale che sostituisse l'evanescenza di quella geografica. Queste scelte, che sembrano naturali o dettate dal caso, spesso rivelano dei fondali, delle motivazioni complesse, che il più delle volte si armonizzano con la tematica di quel lavoro, ma anche con altre risonanze, legate a una certa sensibilità o attitudine percettiva di quel dato periodo o solo di quel momento in cui avviene quella parte di stesura. Per una di queste ragioni ho ripreso, proprio a fine revisione del racconto in questione, "I canti di Castelvecchio", nell'edizione della Bur in mio possesso. È sul mio comodino. Accanto a un lettore Booken Cybook Opus, che giusto stamattina ha deciso di non accendersi (la batteria era del tutto scarica). Ironia della sorte, ma i "Canti di Castelvecchio" sono fermi, docili, al loro posto. Tacendo e vibrando della loro vita naturale e illimitata.



giovedì 6 aprile 2017

"La città vuota": scena 26







mercoledì 5 aprile 2017

La paura di Ivanov





Tra i frequenti squarci illuminanti del ciclopico romanzo 2666 di Roberto Bolaño, eccone uno, relativo alla sua quinta parte - "La parte di Arcimboldi" – che interroga parecchie zone e ferite aperte di chi scrive, attraverso il personaggio dello scrittore Ivanov. Ma si noti nel contempo la leggerezza e la precisione, con cui lo scrittore Bolaño effettua questa mirabile incisione dentro un immaginario che di colpo si universalizza, si compie come terreno comune di uno stato complesso e ossessivo dell'essere e dello scrivere, così come risulta diramarsi e fondersi nel fuoco la sua stessa poetica.

"La paura di Ivanov era di indole letteraria. E cioè, la sua paura era la paura di cui soffre la maggior parte di quei cittadini che un bel giorno (o un brutto giorno) decidono di convertire l'esercizio delle lettere e, soprattutto, l'esercizio della narrativa in una parte integrante della loro vita. Paura di non essere bravi. E anche paura di non essere riconosciuti. Ma, soprattutto, paura di non essere bravi. Paura che i loro sforzi e affanni cadano nell'oblio. Paura del passo che non lascia traccia. Paura degli elementi del caso e della natura che cancellano le tracce poco profonde. Paura di cenare da soli e di non essere notati da nessuno. Paura di non essere apprezzati. Paura del fallimento e del ridicolo. Ma soprattutto paura di non essere bravi. Paura di abitare, per i secoli dei secoli, nell'inferno dei cattivi scrittori. Paure irrazionali, pensava Ansky, soprattutto se questi paurosi controbilanciavano le loro paure con apparenze. Il che era come dire che il paradiso dei bravi scrittori, secondo quelli cattivi, era abitato da apparenze. E che la qualità (o l'eccellenza) di un'opera ruotava intorno a un'apparenza. Un'apparenza che variava, naturalmente, a seconda dell'epoca e dei paesi, ma che restava sempre tale, un'apparenza, una cosa che sembra e non è, superficie e non fondo, puro gesto, e persino il gesto veniva confuso con la volontà, capelli e occhi e labbra di Tolstoj e verste percorse a cavallo da Tolstoj e donne sverginate da Tolstoj su un arazzo bruciato dal fuoco dell'apparenza".

(Roberto Bolaño, 2666: la parte di Arcimboldi)








martedì 4 aprile 2017

"Prima del ritorno": oggi le riprese del monologo


Questo pomeriggio si terranno a Roma le riprese del mio monologo teatrale "Prima del ritorno", commissionatomi dall'attore Fabio Gagliardi, in vista del Premio Traiano 2017 e che ancora ringrazio immensamente per la sua stima e la sua grande fiducia.
La regia sarà di Fabrizio Fiore. Il direttore della fotografia sarà Giuliano Tomassacci. Scenografie e costumi di Cristiana Fasano.
















lunedì 3 aprile 2017

Sul tentativo di comunicare


"Il tentativo di comunicare, laddove nessuna comunicazione è possibile, è soltanto una volgarità scimmiesca, o qualcosa di orrendamente comico, come la follia che fa parlare coi mobili." [...]

(Samuel Beckett, Proust)