martedì 31 luglio 2012

Cara Marcela: (incipit epistolare)

Cara Marcela,
sono passati diversi giorni dal mio ultimo messaggio, e non ho avuto ancora alcuna risposta da te. Eppure, da quel breve contatto alla corte dei principi, quel pomeriggio di giugno, mi sembrava che da parte tua vi fosse tutto l'interesse a sentirmi. Ti ho osservata molto. Eri quasi sempre in compagnia di quella donna bruna, dalla corporatura grossa, così diversa da te. Eppure sembravate così legate. Eravate diverse ma molto legate. Forse eri tu a essere legata molto a lei, non so spiegarti il motivo, è stata solo una sensazione, non riesco a trovare ragioni nelle mie sensazioni. Durante tutta la cerimonia era la tua grossa cuginona bruna che faceva conversazioni, svolazzando tra gli invitati e tu la seguivi, silenziosa. Quanto ti guardavo cercavi di resistere al mio attacco, fingendo di non essere vista, eri un po' spaurita ai miei sguardi, così, non riuscendo a evitarli, fingevi addirittura che non fossero mai esistiti e così parlavi con la tua grassa, di cose che la tua grassa nemmeno capiva. Infatti mi accorgevo che ogni volta che le parlavi dopo un mio sguardo, lei ti guardava in modo strano, con la bocca ancora piena ti diceva qualcosa, forse ti domandava cosa c'entrava quello che le avevi appena detto. E allora dovevi inventare ancora un'altra scusa per cercare di sfuggire a quella situazione, così come era successo col mio sguardo, e lei, ancora più stranita, preferiva incantarti con un bocconcino di mozzarella - vedevo le sue mani grasse di anelli che gocciolavano di latte verso la tua bocca: uno spettacolo molto triste e affascinante. Così diversi momenti del buffet li ho passati nella compagnia dei vostri movimenti, delle vostre diversità. Intanto pensavo a come avvicinarti, non era così semplice. Eri sempre vicina alla tua cugina grassa, non avrei potuto fare un solo passo senza coinvolgervi entrambe e in quel modo avrei rischiato di mischiare le carte e di far credere qualcosa di non vero. Per esempio potevo far pensare di essere interessato alla grassa e non alla magra, per la tensione e l'attitudine che hanno tutti gli uomini, nel caldeggiare i rapporti con la persona che non è nel loro diretto e specifico interesse, di solito per non scoprirsi troppo presto, o per tenere sulle spine fino all'ultimo la più bella, quella che si crede e si sente la prescelta. In fondo tu sapevi ancora più di me di essere la mia prescelta. Non potevo rischiare e deluderti nel mio attacco. Ogni prescelta conosce a perfezione quelle che sarebbero e che saranno le dinamiche del suo prossimo agguato. La modalità di apparizione, sparizione o rapimento o di conquista. Ma in quel contesto era davvero difficile. Eravate una sola persona, non ho mai visto due persone così vicine. Più ti guardavo e ti molestavo con gli occhi, e più le vostre figure si facevano vicine e unite, come una sola. E anche tu cominciavi a mangiare come e quanto lei. Ogni sguardo sul tuo viso, ma anche sul tuo vestito, sulle clessidre perfette dei polpacci nelle scarpine alte, sui tuoi capelli raccolti, la tua bocca mangiava e immaginava, probabilmente per confondersi con l'altra, per sbiadire o per ingrassare al momento e diventare confondibile con la grassa. Ma tutto quello che io vedevo era così strano. Il cielo cominciava a scurire e si sporcava di strani uccelli grigi, che non avevo mai visto prima e che sbiadivano oltre le nubi. Avremmo cenato nella sala delle antilopi. Ero un invitato solitario a quel ricevimento. Amico della sposa, di vecchia data, ma senza troppi testimoni vivi. Non era una compagna di classe, nemmeno un'amica, ma una chiavata estiva, rimasta a baluginare nel tempo, perché la stupida si era incagliata e non voleva lasciarmi più andare.Credo che mi abbia organizzato una fattura con i fiocchi, la sposina, proprio nel periodo in cui avevo cominciato a frequentare Justine ed era proprio quello stesso periodo in cominciavano le nausee e i mal di capo continui e giornalieri, senza rimedio e senza un'origine chiara. In cui aumentava il desiderio di vederla e di sentirla, contro la mia volontà,- una cosa mai successa. Intanto lei, Matilde, non si sentiva e durante il giorno perdevo fiotti di sangue dal naso. Quando la cercavo si negava, staccava il telefono o diceva di essere impegnata e di richiamarmi, cosa che non avveniva mai. Fu grazie a un'amica di Justine che conobbi Oscar, uno strano oscuro cartomante, dalle conoscenze confuse di tante dottrine, che di notte scrutava gli astri mangiando chili di gelato caldo su di una terrazza di Vietri.

lunedì 30 luglio 2012

23.18 (Incipit);

Il treno delle 23 e 18 era sempre puntuale. Dal mio balcone lo vedevo passare, rallentare e poi fermarsi. Fin dalle prime serate di maggio. Abitavo nella contrada Bruchner, quel treno era uno come i tanti, che passavano durante il giorno, e che rimaneva in sospeso, nella notte, per una banale coincidenza. Ma fu in una sera di giugno che qualcosa dal finestrino del quarto vagone attirò la mia attenzione. C'era qualcuno, da lontano, in piedi e molto vicino al finestrino, che apriva la sua mano verso di me, sforzandosi per attirare in qualche modo la mia attenzione. In un primo momento non pensavo di essere io l'oggetto di quel segnale o saluto. Forse era indirizzato a qualcun altro dei paraggi; eppure intorno c'era solo campagna e silenzio, pochi i balconi accesi; ero uno dei pochi ad abitare la contrada Bruchner in quel periodo. Non sembrava nemmeno un bambino che stava giocando, ma una figura adulta, ancora asessuata nelle ombre, ma che puntava proprio me. Dalla prima sera questo avvenne puntualmente, dalle 23 e 19, ora in cui il treno si fermava, fino alle 23 e 21, ora in cui il treno riprendeva la sua corsa. In quei minuti mi sentivo guatato da quella stessa figura del quarto vagone, con lo stesso movimento in rallentando di quella mano nera nella mia direzione. Non avevo più dubbi, quel passeggero guardava proprio me. Intorno c'era solo buio e io che diventavo un altro mai stato e mai nato, per quei pochi lunghi minuti di oscuro. Da quella prima visione, prima incerta e indistinta, ma poi sempre più nitida e incisiva, la mia vita ebbe un mutamento. Prima di addormentarmi, avevo davanti agli occhi aperti, nel buio, la forma esatta del quarto vagone. La stessa intensità luminosa dei finestrini e la sagoma ombrata che mi faceva cenno. Era un'immagine fissa, che mi accompagnava fino all'arrivo del sonno, come una sirena, una goccia d'acqua da un rubinetto difettoso. Durante la giornata, nelle ore in cui ero in casa, avvertivo il passaggio di molti treni: ero così abituato al loro sferragliare, che ormai avevano preso i tratti di un suono domestico e confortevole, quasi di una melodia stanca di un canarino, e non mi davano più fastidio, né mi distraevano dalle mie occupazioni. Quel suono del treno, pensavo, mi avrebbe disturbato nel giorno in cui sarebbe cessato perché, in quel caso lì, avrei sentito il rumore della sua assenza. Adesso invece era una compagnia, anche molto dolce e rincuorante. Intorno alle undici della sera, però, qualcosa cominciava a cambiare. Mi prendeva una strana ansia o febbre dell'attesa; chiudevo tutte le luci della casa, guardando con ossessione l'orologio per vedere quanto mancasse ancora alle 23 e 18. Poi lasciavo accesa solo la luce del mio balconcino, dove mi sistemavo seduto e rapito, fino agli ultimi istanti prima dell'arrivo, della frenata fischiante e di quella breve e intensa sospensione. Quando il teatro del quarto vagone si accendeva nei miei occhi, mi saliva il batticuore e i brividi, respiravo male e guardavo quel braccio che mi cercava e mi amava. Da così lontano. Come non mi era mai successo. Quello era un saluto diverso dagli altri, diverso come me quando lo ricevevo. Anche quando il treno riprendeva la sua marcia, il saluto continuava nella mia gola e si prolungava in un abbraccio oscuro e profumato, che mi spezzava il fiato e le ossa. Non avevo parlato a nessuno di quello strano fenomeno. Al momento non ne trovavo alcuna ragione.

sabato 28 luglio 2012

Andreina col cappotto:incipit

Questo è uno degli incipit o zone introduttive di una serie recente di miei racconti, destinati a una successiva revisione autunnale. Cercherò di proporre quelli che ritengo più significativi e funzionali a una certa evoluzione o involuzione della mia piccola e tentata avventura di scrittura (è anche possibile attentata o stentata, chi può dirlo!) in questo momento della mia vita o in quello che è già stato quando li ho scritti, ma ancora con tutto l'amore che mi è stato concesso nel farlo. 
Buona lettura.

 Andreina col cappotto: 


 La ragazza col cappotto camminava lungo il viale degli olmi. Scendeva piano la sera. Le luci erano accese ma lasciavano nell'aria molte ombre. La ragazza col cappotto aveva un'ombra molto gentile e sottile, che disegnava il suo passo molto leggero, il suo profilo come cucito nella notte da un ago d'argento quando poi si distingueva da tutte le altre figure, umane e non umane, che solcavano il selciato nello stesso momento della sua fugace apparizione. Sempre da sola. Insegnava in una scuola privata. Era molto giovane, l'insegnante più giovane tra tutte quelle del circolo Collodi, ma anche la più severa e caruccia. Era anche quella che non perdonava mai certe mancanze. Adesso, ritornando a casa, aveva nella borsa dei compiti sgualciti, che aveva appena corretto nel parco. La ragazza col cappotto amava lavorare all'aperto e ritornare a casa solo quando era calata del tutto la sera. Non prima. Prima del buio la sua casa doveva restare vuota e lei godersi l'accensione dei lampioncini nel parco, la fretta e l'ansia dei ritorni, il mutamento del cielo, la chiusura dei negozi, rimanendo ferma, con la matita rossa ancora puntata sull'ultimo rigo, prima di andare e di infilarsela dentro i capelli, come una rosa di Spagna. Tornava nel silenzio, la ragazza col cappotto, che era anche la mia ragazza. Conosciuta in una località turistica della costiera, poi rincontrata più avanti, per puro caso, nella mia stessa piccola città. Anche io ero un insegnante, ma insegnavo l'inglese in una scuola pubblica e non portavo mai il cappotto. Il nome della ragazza col cappotto era Andrea, un nome maschile e femminile, abbastanza più raro come nome femminile,­ - ma per me Andrea era diventata Andreina, e infatti solo così la chiamavo. Abbastanza più rara Andreina, anche col suo cappotto che indossava fino ad Aprile, e anche la sua severità, dietro gli occhiali molto sottili, che sorrideva sempre così poco, e mi voleva così poco bene, non avevo ancora capito perché così tanto poco di bene proprio e solo a me, che invece l' amavo così tanto.

giovedì 26 luglio 2012

Nella tua casa odora la pioggia: (bozza diroccata e surreale di magia)

Nella tua casa 


odora la pioggia

ma se poi fa bello

l'odore della pioggia

fa solo quello,

se non lo sento

bello come fa il sole

tu mi hai fatto di un male

e il tuo sventurato amore

quando poi rispiove

sa come di un lieve,

ma così non ti seguo più

sono venuta per l'ombrello

e svenuta

per le lividure,

fresche come verdure,

per favore...anche per quello

davvero davvero,

soltanto le più belle,

una avrà forse la forma

rara di una petunia

o  delle tue caramelle,

fammela vedere meglio

attenta, che adesso rabbuia,

è ancora molto bagnata

perché poi non entri

solo per un'orzata,

o un tè alla gianduia,

una limonata? 

dicono che porti male

aprire l'ombrello in casa,

apriti almeno la giacca

così sembri più grassa

dentro la mia risacca

fatti vicina di me,

sa come di un lieve

questa tua aria di neve

che non so più cos'è,

in ogni cosa

un impermeabile

che odora della tua pioggia,

dove ritrovare gli odori

del mio lungo sonno

nonostante i torti

e i tanti languori,

stai davvero un sogno...

con i capelli corti

che mi commuovi

perché non mi credi,

non hai più le parole,

c'è il silenzio nella luce

dell'ingresso,

hai lasciato aperta

la porta del cesso

come le tue mani dure

sul mio bel cuore,

un infarto nel sole:

appena un riflesso

sulle cuciture,

ma ho l'automobile giù

ancora accesa

di quel gran blu avion,

sulla discesa del'ira

mi farai prigioniera

nei lenti camion

della tua deriva,

senti la primavera

quanto pompa

e ci ravviva

ma ti voglio di un bene

anche se poi non conta,

ma se sono sincero

anche nel tuo naso rotto

sta piovendo  a dirotto

sulla tua gonna corta

che ora ti sale storta

ma perché poi non entri?

che stai cucinando?

la tua voce in sugo di lepre,

come di sera la tv

la tua vita non la vedo più,

snella di una sua magia

che ora  non sento più mia,

il tuo strano viso serio

all'ombra  di un roseto

mi dispiace da morire,

ma rimarrà un segreto,

fatti vedere l'occhio

ho riparato gli occhiali

con il nastro adesivo,

me li daranno solo domani

domani, domani, domani...

non sai quanto mi spiace

di questo fuoco da brace

di questo fare da cani,

anche per un solo istante

ma devo proprio andare

a casa mi hanno chiesto

degli occhiali rotti

nelle tue mani

come due zanzare

in un diamante,

la tua pallida voce

che mangia biscotti,

resta ancora stipata

nella cameretta mia

dove a volte

vorrei

non andasse

più via,

ora l' ombrello,

per cortesia,

e tu entra un momento

che faccio una magia

solo un minuto,

è una cortesia,

non voglio esser più tua:

dovresti tenerlo chiuso

dicono che porti male

intanto lo vado a cercare

io ti aspetto sulla porta,

per favore,

così mi fai del male

non è il momento

solo un istante

hai lasciato dentro

anche il tuo cappello,

non ti riscordi

nemmeno

più quello?

Questo col coniglio!

Era per quello che ti

volevo dentro,

guarda che magia!

Un coniglio vivo

che adesso ti guata

e muove il muso

che gli trema forte,

forse ti vuole bene

facci un po' caso,

quanto è più bianco

di Roccaraso,

piccola Irene,

dal piccolo

naso!

E allora lei

chiuse la porta,

con il viso stupito

e le sua dita morte

nelle lunghe orecchie

accesero sigarette...

che scesero già le sette:

ho messo le quattro frecce,

ma quanto è bello

e poi quanto cresce?

anche se

non lo vedi

o forse tu

non ci credi.

entraron

per sempre

dentro il

cappello,

in piedi,

insieme al

coniglio

e al suo

piccolo

ombrello

giallo.








mercoledì 25 luglio 2012

Copertina definitiva

Questa è la copertina definitiva del mio lavoro, curata da Alessandro Mitola, che è anche l'autore della foto, con la direzione artistica di Federico Scudeler:




domenica 22 luglio 2012

Come un lampo bianco di rose (bozza elegiaca)

Il naso rotto di una casa
in un filo fermo di nebbia,
riserba l'amara pazienza
di una bambina appena morta
ma poi ritornata,
debole e vaga,
a una finestra.

Il viso stranito
nel tuo cappotto
celeste che stringevi
a una sola guancia,
mieteva  un pericolo
di triste su tutte le mie cose,
che svelerà un tempo preziose
come un lampo bianco di rose.

mercoledì 18 luglio 2012

Tavoli (schizzo vomerese)

I tavoli vuoti
delle pizzerie,
nell'ultima
luce naturale
del giorno,
come la calma
della tua voce
intorno.

È così bassa,
dal mento muto
sulla spalliera,
e fin dentro
il viso
che è
stanco
stanco,
ora che c'è
un limpido
caro e serio
di aperto
sulla piazza
in deserto,
quando
e quanto
poi vorrei...
se tu non
morissi mai.

La canzone di un personaggio.

Non avviene sempre, ma capita che alcuni particolari personaggi mi si rivelino con il poliedro dei loro gusti, delle loro preferenze, di solito piccoli dettagli, fatti spesso di niente, ma molto suggestivi nel completamento del quadro d'insieme, – una volta che la struttura si mantiene già sulle sue gambe e quasi sempre così procedendo, in autonomia, senza che io ne sappia granché. Nessun particolare ideale o pensiero, ma solo dei tratti sul loro piccolo mondo invisibile, che mi vengono misteriosamente rivelati in corso d'opera o anche molto più avanti, e che mi completano la linea del loro ritratto più intimo, come se sussurrata in un orecchio in una particolare circostanza, ma che non tradisco mai all'interno della storia se non attraverso un loro riflesso, un riverbero.
Nel caso della Simona pattinatrice e sognante de "L'azzurro della notte", ho scoperto una canzone che avrebbe e che ha molto amato; una canzone che ho avvertito sua. L'amore rivelato da un personaggio per una canzone può quindi diventare un tratto distintivo e rivelatore di uno stato d'animo, di un momento preciso della sua gestazione.  Di un modo di guardare o di tacere e di parlare poco nell'ascolto, che può dire molto. 
Per un autore, in alcuni casi, anche un modo per chiederle scusa...o di ritrovare qualcosa di lontano della sua vita a cui chiederlo.

martedì 17 luglio 2012

Fosse pure senza speranza, tuttavia...

Un estratto che ho trovato molto intenso e che riporto integro nella sequenza dall'originale.
"Ma tutto ciò che deve essere scritto deve sempre essere ripreso da capo e sempre ritentato, finché almeno una volta riesce approssimativamente, anche se mai in maniera soddisfacente. E fosse pure inutile, fosse pure terribile, fosse pure senza speranza, tuttavia si dovrebbe sempre provare quando abbiamo un oggetto che ci tormenta di continuo con il massimo accanimento e non ci lascia in pace. Pur  essendo coscienti che assolutamente nulla è certo e assolutamente nulla è completo, dobbiamo, anche nella massima inicurezza e con i più fondati dubbi, cominciare e portare avanti ciò che ci siamo proposti. Se rinunciamo sempre, prima ancora di aver cominciato, finiamo nella disperazione e infine e definitivamente non usciamo più da questa disperazione e siamo perduti".

Leggendo e rileggendo il passo, estratto dal romanzo "Sì", di Thomas Bernhard, mi accorgo che non vi è nulla di più consolatorio ed edificante che la discussione sull'incerto, sull'incompleto, l'informe o il difforme, il velato, il nebbioso. Il sapere che nulla è mai così completabile, calcolabile, sintetizzabile, soprattutto parlando di scrittura, mi diventa così una delle più consolanti  e stimolanti (in)certezze. Di sicuro (o di insicuro, sarebbe meglio), tra le più ispiranti. Confermo.

mercoledì 11 luglio 2012

Un gatto luccica

Nell'arco notturno
il tetro parco dei suoi passi,
battiti lunari e palpanti;
le vibrisse snodano i rami
in basilischi di luminarie
Bittersweet shimmer;
l'orrido di feltro del topo,
da una finestra bassa,
addossa una calma
di numi sulla nottata.

mercoledì 4 luglio 2012

Alcuni punti fondamentali sul racconto

Credo che questi lo siano davvero, soprattutto per creare qualche varco in questa fitta foresta precettistica che spesso ci avvolge. Sono estratti da una bellissima Appendice alla raccolta "Bestiario" di Julio Cortazar, intitolata "Alcuni aspetti del racconto", che ho trovato affascinante e ben scritta, ma soprattutto concreta e molto moderna e liberatoria. Una boccata di aria aperta:
"Nessuno può pretendere che i racconti si debbano scrivere solo dopo averne conosciuto le leggi. In primo luogo tale leggi non esistono; al massimo si può parlare di punti di vista, di certe costanti che dànno una struttura a questo genere così poco incasellabile; in secondo luogo, non si vede perché i teorici e i critici debbano essere gli scrittori stessi, ed è naturale che quelli entrino in scena solo quando esiste già un retaggio, un accumulo di letteratura che permetta di indagarne e di chiarirne lo sviluppo e la qualità". E ancora, discutendo su cosa significa un racconto brutto:
"Basta domandarsi perché un determinato racconto è brutto. [...] Un racconto è brutto quando lo si scrive senza quella tensione che deve manifestarsi fin dalle prime parole o dalle prime scene. E così possiamo già anticipare che i concetti di significazione, di intensità e di tensione ci permetteranno, come si vedrà, di avvicinarci meglio alla struttura stessa del racconto".