sabato 15 ottobre 2011

La malinconia di un personaggio

Capita che anche un solo pensiero, non scritto, può diventare parte reale della mia vita, quanto le cose che vedo, che tocco, che sento concrete e presenti. A lavoro finito, diversi personaggi vengono a costituirsi parte integrante della mia ossatura, del mio quartiere, la sera, appena illuminato, dei visi che intravedo, allo stesso modo di tutti quelli che non hanno avuto la forza di rimanere a galla nella storia.
La scrittura molte volte diventa una grande opportunità di incontrare una grana più sensibile e rara di malinconia. 
L'amore con il personaggio accudito, preservato, intarsiato, nel tempo, viene corrisposto nel silenzio, senza possibilità di recuperare il respiro, un solo battito di contatto.
Rimane sempre un conto aperto, con quanto avrei potuto dargli di più, della mia vita o dei miei incubi. E questo conto rimarrebbe aperto allo stesso modo, se al personaggio rievocato, avrei dispensato tutte le premure e le attenzioni che avverto mozzate e incomplete una volta calato il sipario sul testo. Se non avvenisse questa sorta di sospensione e di ansia, non saprei più come cominciare la prossima stesura. Tutto quello che manca e che mi distanzia da un certo appagamento, diventa concime per i  tratteggi successivi. In diversi casi tratteggi precedenti, accantonati o frutto di piccoli appunti, ritornano a vivere e a rinforzare una fisionomia, un dialogo, la descrizione di un silenzio, di un grido, di un amplesso. 
Non credo che si disgiunga il percorso che delinea una forma umana, anche se confusa, da un'altra, nata in momenti e situazioni diverse. Tutte le realtà mutanti che ho avuto modo di scoprire e di perdere nella storia – questo perché quando la storia parte, per uno scrittore comincia una perdita, una sorta di abbandono, di un suo limbo, di un suo stadio protetto e immune, che sarà costretto inevitabilmente a modificarsi per ogni minimo impatto successivo –, ritornano dopo tempo, come cani sulla tomba del loro padrone o sull'uscio di casa lasciato aperto, con qualcosa che brilla sul fuoco. 
Per ogni minimo contatto anche svogliato, quello che pensavo accadesse, diventerà e scivolerà nell'effetto di delusione o di stupore dopo l'incidente della lettura. Uno scrittore mai letto, potenzialmente ha ancora un rapporto puro e protetto con i suoi personaggi, non ancora trafitti e toccati dalle percezioni di chi legge senza immaginare, ma contando le lettere. Ancora intonsi, dalla possibilità di condizionarli e viverli, una volta letti e incidentati, come altro, come parte colpevole di qualcosa che poteva essere e non è stato, che poteva dire e non ha detto. Ma se qualcuno conta e non legge e non riesce a immaginare dalle mie parole, sia ben chiaro che la colpa sarà sempre la mia. In ogni caso. Fa parte del gioco, ci sta!
L'unica ancora che mi preserva da questo stadio di grande cupezza, rimane  la speranza della grande malinconia, di ciascuna parte di finzione con cui avrò percorso un certo tratto, zoppicando o saltando gli ostacoli, ma con una parte della mia sensibilità e percezione del reale, che non tornerà più, nemmeno se clonata o imitata nei dettagli delle prossime stesure, come in quel percorso finito.
La malinconia di un personaggio, di uno solo, che mi riappare dopo tempo, è la speranza di tutti gli altri, che abbiano ancora qualcosa da dirmi, di forgiare questo ruolo confuso e di slanciarlo oltre il solo confronto e conforto di un lettore o di mille o di nessuno, verso un livello intimo di comunicazione con un livello di tempo e di realtà, della mia vita, che in altro modo non avrei mai raggiunto, e che non   imporrà nessuna condizione di utilizzo o di profitto, dalla dimensione insostituibile di quel momento.
Il processo dello scrivere, è tanto arduo, quanto di più si avvicina a questo spasmo di ricerca verso un fattore interno e silenzioso,  che è l'unico che possa dare una voce e una risonanza all'ultimo personaggio della storia, quanto al primo. L'unica medicina è il provarne quel tipo di malinconia o trafittura, nel tempo. Nella mia ricerca dello scrivere, avverto di avere sempre qualcosa sul fuoco, e con quella luce sola di fiamma, illuminare gli ambienti della mia scrittura, per lasciare la possibilità al cane che non ho di ritornare a casa.

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