lunedì 10 agosto 2015

Riempirmi questo spazio


Riempirmi questo spazio, indefinito, senza limitazioni o diktat di sorta, in questa mattina di agosto, anche senza un impulso particolare e dopo un discreto periodo di assenza, lo sento insieme un privilegio e una responsabilità. Eppure la facilità con la quale riusciamo a comunicare, a trovare il varco dal buio alla platea nebbiosa della rete, in molti casi ci ha reso insensibili al miracolo di questa condizione, così come avviene con un'abitudine, un dato di fatto, un panorama incantevole che diventa ordinario quando lo si vede per troppo tempo, o quando addirittura lo si abita, perché fronteggia la nostra nuova abitazione. Pur non avendo una certezza di attenzione consapevole, vigile, le nostre e le mie parole vibrano comunque di una possibilità, anche minima, e quindi dell'avere e recuperare un senso. Diversi anni fa questa possibilità avrebbe dovuto percorrere sentieri diversi e molto più complessi e tortuosi;  semmai sollecitare un certo impegno, una diversa tensione e interazione di energie, di spavento e di intensità, pur non discostandosi di tanto dalla certezza di attenzione consapevole e vigile a cui alludevo poco fa, che rimane sempre così vaga e impermanente.  Rimane ancora un privilegio il comunicare e anche il tenere pulito questo spazio, l'avvertirne il peso o la risonanza sismica, rispettivamente quando non è compiuto o quando è stato appena colmato di pensieri e di confusione. Non credo, però, che debbano esservi delle regole ferree in materia; ciascuno, nel proprio appartamento, potrà gestirsi come gli pare in relazione al suo gusto, alle sue abitudini, ai suoi ospiti, quindi ai ritmi delle sue giornate di caos o di profonda solitudine. Intanto questo spazio potrebbe sintetizzare un qualunque luogo di vita o di incontro, dove conti la salubrità dell'aria, l'esposizione alla luce, quanto la buona musica o gli odori di cucina che vi abitano. Non sempre trovo un motivo nel rispettare la compilazione di un certo numero di post entro un determinato periodo di tempo; nemmeno credo che sia così essenziale misurare l'estensione o la quantità dei miei intervemti, così come  nella mia casa non misuro la sua vita e la sua buona aria dal numero degli ospiti a cena, dei dischi suonati o delle ore passate al telefono. C'è dell'altro, dentro uno spazio vitale, qualcosa che dentro il suo accudimento, – spesso insensato se non inutile – si celano dimensioni lontane sia dalla responsabilità che dalla svogliatezza. Un terzo mondo, insondabile ma nello stesso tempo cruciale, per completare il mio disegno sul vetro appannato dei miei intenti, dei miei pensieri e delle mie azioni creative e ricreative che mi sostengono e mi tengono sveglio. Nella bruma di questo paesaggio che rappresenta ed essenzia il mio esprimermi e comunicare, esiste anche questo spazio bianco, misterioso, al quale stamattina mi sono rivolto, uno spazio spesso confortante più per me che per chi potrebbe imbattersene per puro caso, ma che comunque ha una sua ragione d'essere, pur nel disordine e nell'inconsistenza di qualcosa di non commissionato, probabilmente di indesiderato, di irragionevole o superfluo. Questa sua ragione d'essere, che mi porta a farmi vivo, poi a sparire, poi a riaffacciarmi, è una traccia visibile di una mia libertà, della possibilità cronica e dinamica di negarmi e di concedermi nonostante questo tempo di buio, controverso e asfittico, per quanto traffico si dipani nella sacralità di questo spazio, dove qualsiasi voce può parlare, ma anche canticchiare qualcosa stonando, e allo stesso modo trovare un senso, sciogliere un nodo, incantare o far prendere sonno.
La volontà di esserci, di poter esprimere anche un solo pensiero, una strofa, rimane comunque qualcosa di prezioso e di raro, nonostante siamo portati a considerare preziose e rare soltanto alcune realtà poco comuni, poco abbordabili, quelle che riguardano solo pochi eletti.
Eppure, e non so nemmeno il perché, adesso, nello scandire le ultime parole di questo strano post, continuo a sentirmi un privilegiato, un eletto, anche se questo post rimarrà sconfitto nel buio che i tempi della rete consacrano serialmente in proporzione alla facilità degli spazi concessi. Quello che nessuno potrà mai negare, è la sensibilità pura al nostro atto terribile e sofferto, allo scioglierci come pioggia in questo misfatto senza moventi, nel quale, spesso, ritroviamo un nuovo ordine, una chiave diversa di lettura del mondo e di noi stessi.
Dalle feritoie della tapparella adesso posso scorgere i movimenti delle foglie della quercia selvatica, appena dorate dal sole delle undici. Poi non avverto altro, a parte qualche auto che passa e che sfuma. Il tempo pare che stia cambiando, e intanto io scrivo, di niente, ma quel tanto per sentirmi vivo dentro un nuovo e strano tutto che ancora non conosco, ma che intanto mi accoglie, mi corregge e mi completa nella piana di questa eclissi; quanto basta.







































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