venerdì 28 gennaio 2011

Gli occhi del tempo e il cane blu

Credo che dovendo dare una scorsa ai  miei post di questi ultimi anni, ne salverei davvero pochi. Ogni tanto faccio un balzo e vado a rileggerli, e non sempre mi ci ritrovo. Non so per quale ragione, e nemmeno che cosa abbiano di preciso che non va. Ma il mio occhio e il mio orecchio del momento avranno forse bisogno di una certa immagine di scrittura, di un certo particolare suono che allora non sentivo e non suonavo, e che è probabilmente quello che al momento avverto di più e che forse mi rappresenta più di altri.
Avendo puntato l'orecchio a un certo suono, tutto quello che se ne allontanerà comincerà a creare una serie fitta di dissonanze, rimorsi, ripensamenti e sensi di colpa.  Certo, non si morirà mica per un post che non suona come adesso vorrei che suonasse, ma io parlo di una mia sensazione ancora più profonda, e che riguarda l'insieme di quello che ero o che credevo di essere circa un anno fa, o forse due anni fa. Ero un altro. Così le mie parole di allora e tutto quello che cercavo di dire e di comunicare. Parole lontane da questo mio me di adesso. Per una questione di stile o di piccole  passioni o vibrazioni momentanee, che mi avranno portato a trascinarmi dietro certi atteggiamenti o certi vezzi, che potevano andare bene e funzionare solo se incalanati in quel certo momento, in quel certo ascolto, quello che mi conduceva e mi riduceva mentre lo vivevo, lo sentivo e lo scrivevo.
Certo, ragionando così, ogni po' di tempo le proprie parole dovrebbero scadere, e non risuonare più valide per la mia nuova visione attuale e più matura delle cose. Scadrebbero come abbonamenti ferroviari o prodotti alimentari. Ma che cosa, oltre al solo tempo di vita e di scrittura, mi renderebbe capace di sezionare con occhio più freddo e più attento quello che ne è stato di un testo, di un paragrafo, anche di una sola frase o di  due parole, che una volta sentivo perfette e riuscite e adesso non più? Credo un certo sesto senso, che mi porterà non tanto a stagionarmi in maturità, ma a rivitalizzarmi in freschezza dell'istante di schiusa. Non altro. Credo infatti che la chiave sia proprio nel momento violento del getto, dove a volte non ho la possibilità di controllare tutto nella massima estensione, ma dove c'è ancora la memoria di un certo suono nella parola pensata, e una certa fascinazione del pensarla, trattenerla, sceglierla o escluderla, e che mi porterà  a seguire certe strade, certi tempi, certe dinamiche, anziché altri. Eppure, anche se a distanza di un certo periodo di tempo riterrò tutte quelle parole così brutte e stonate nel loro flusso, non avrò perso del tempo, ma avrò vissuto una mia percezione delle mie idee sulle cose del momento, anche se sbagliata. Si può essere veri scrittori e cattivi scrittori, come falsi e molto bravi. Un grande cuore di scrittura sbaglia mosse come un cuore insensibile, se non di più. La scordatura o la dissonanza del mio strumento espressivo, potrebbe non essere stata notata all'epoca dalla mia furia di accumulo, non per una mia incapacità percettiva dell'armonia e del buon suono, ma perché forse in quell'istante le regole della mia corrente mi stavano trascinando altrove, in un luogo dove vigevano altre regole, che probabilmente stavo rispettando con grande rigore e serietà, pur nel disordine e nella cacofonia- anche fare molto male è impegnativo. Può suonare strano quello che scrivo, ma qualcosa di sbagliato, a volte, richiede lo stesso spasmo di sacrificio, e spesso si persegue un errore con ottima buona fede, e anche con la stessa attenzione e impegno e premura di un qualcosa di assolutamente corretto e ineccepibile. Non si sbaglia solo per leggerezza e faciloneria. Quello è un modo sicuro per sbagliare, ma ve ne sono molti altri, che partono da atteggiamenti e da intenzioni completamente diversi, ed è per questo che alla fine si sta più male. Altrimenti, se avessi percepito il tritono all'istante, non avrei potuto inoltrarmi nel testo con tanta tenacia e voracità.
Credo quindi che il segreto di certe esperienze di scrittura, sia molto legato a questo offuscamento alternato, che rende (almeno come luogo comune) , lo scrittore, in un certo stadio d' incoscienza creativa, molto fertile di grandi idee e belle tensioni - quanto disordinate-, se in piena poppata e suzione di  trovate narrative e talentuose, e al contrario anemico e stitico, nella fase più controllata, quando è molto più austero, fermo e disciplinato nel suo agire.
Amo entrambe queste anime, quelle che mi portano a sbagliare e a fallire e quelle che ogni tanto mi rassicurano che non sia andato tutto perduto. Questo perché non andrà mai tutto perduto. Credo che sia la rivelazione più meravigliosa che uno scrittore, se si sente davvero uno scrittore, possa sentirsi fiorire nel suo intimo più profondo. Ogni testo da me rinnegato e lanciato contro una parete, non sarà mai un amore finito, ma sarà la possibilità di amare meglio e di più tutto quello che ancora farò e cercherò di me, attraverso i deboli fantasmi delle mie parole.
Scrivere è soprattutto cadere e farsi del male, come lo sciare,  il suonare il piano o la tromba, il crescere, l'ammalarsi o l'amare. Non credo che scrivere sia soltanto comparire e mostrare il proprio possibile meglio o talento davanti al mondo, e nemmeno solo pubblicare e diffondere il proprio pensiero con una storia indimenticabile, ma credo che sia soprattutto vivere e resistere nell'ombra delle proprie esitazioni, dei propri continui ripensamenti e ripiegamenti, e delle proprie inesorabili trasformazioni e piccoli terremoti di identità. Se così non fosse, non credo che scriverei più un rigo. Se non incontrassi più lungo la mia strada persone o addetti ai lavori che non apprezzeranno e non capiranno a fondo quello che ho fatto, vorrà dire che non avrò fatto abbastanza per rischiare dentro una certa idea di ricerca, e allora quella sarebbe una soluzione irreale, così perfetta e improbabile da essere già morta. Credo che oltre le parole che possa contenere un uomo che scrive o che tenta di farlo, vi sia molto altro,  di molto più importante e prezioso. Le parole sono l'ultimo punto e mai il primo e all'inzio possono  appena annusare quell'altro, ma rimanendo spesso opache e spente, dopo diversi tentativi, come punte nere di candelabri. Non  comincio mai a scrivere con le parole che si vedono e si conoscono, ma con tutto il resto che ancora non c'è e che non so. Con il candelabro ancora muto di luce.
In ogni revisione esisteranno sempre più anime e ombre che si scontreranno dentro e fuori di me; ma anche lo stupore per quel piccolo disegno tremante e in filigrana, così ben riuscito, che mi ha colpito molto e anche commosso, perché lo avevo del tutto dimenticato. Non ricordavo neppure di averlo mai scritto, eppure ancora esiste e resiste al tempo di lettura e del mio severo controllo a distanza. Ed è per quel piccolo punto dimenticato e sconosciuto che varrà la pena di continuare, e che potrà cominciare la ricerca delle mie parole oltre l'annusamento al buio. Sarà quello stesso punto che potrebbe allungarsi di qualche millimetro e farmi giorno dopo giorno da guida, nel tempo e in assoluto silenzio. Come un cane blu...

0 commenti: