Vorrei imparare a scrivere. Ma cerco qualcosa che...che insomma mi sblocchi. Un sistema. Ogni volta che comincio, c'è sempre qualcosa che in qualche modo mi intralcia. Ho cominciato stamattina, presto. Ero di un carico, non pensavo di essermi mai sentito così carico come stamattina. Forse perché ho dormito molto profondamente. Uno dei miei primi insegnanti di scrittura, mi aveva dato una dieta molto severa e anche degli orari. Diceva che il sonno, il sonno in fondo fosse la sede principale del moto creativo. È l'unico momento dove si dispiega la dinamica dell'atto. È solo nel sonno profondo, in una fase apparentemente passiva, che si accende qualcosa. Ma per quel sonno, ebbene anche per un sonno del genere ci vogliono delle istruzioni, cosa ne sai tu! Staccare telefoni fissi, telefoni mobili, radio, televisori. Oscurare la stanza due ore prima di soggiornarvi. Chiedere ai vicini di casa di non usare scarpe con i tacchi. E anche i familiari dovrebbero essere così comprensivi da coricarsi alla stessa ora, per non creare rumori, interferenze. Le dieci ore di seguito, per quattro notti alla settimana, consentono per l'esattezza 2.300 parole di grandissima qualità, se battute entro le prime due ore dal risveglio. Ogni ora in meno di sonno e ogni minuto di ritardo dopo il risveglio, le parole cominceranno a sbandare, a farsi tiepide, inconsistenti, a non avere più senso. L'idea primaria morirà, si deformerà, e sarò al punto di partenza. Oddio. Stamattina invece sembrava tutto nella regola, ero così rilassato, dopo qualche minuto dopo la mia decima ora di sonno ininterrotto, ero già alla mia macchina da scrivere. Fresco come una rosa. Mi sentivo gonfio di genio. Attaccavo così: "Dalla stanza non un rumore. Non una luce. Una sensazione di purezza e..."e qui dannazione mi blocco. Torno indietro. Fino a luce andava bene. Era tutto così chiaro, limpido, spiegabile. Poi dopo la purezza, insomma esiste una sensazione di purezza? Già questo mi aveva messo in crisi. Se cambiavo quella parte, poi cadeva tutto e non sapevo più come partire. Ho provato e riprovato, intanto il tempo passava, i miei familiari mi chiamavano per tanti motivi diversi. A un certo punto ho avuto uno scatto d'ira, ho battuto con tutti e due i pugni sulla macchina da scrivere, davanti a mia moglie. Lo scrivere in questo modo ti fa male, mi diceva, e io battevo ancora con i pugni, fino a quando non usciva. Sono uscite delle parole incomprensibili. Mi sono alzato. Ho cercato il mio professore, al telefono. Era importante sapere se la purezza potesse essere interpretata come una specie di sensazione. Ma anche la sensazione, insomma, non sapevo bene che cosa fosse. Qualcosa che si sente con una parte che non siano le orecchie, allora qualcosa che si avverte. Ma in quel caso è un avvertimento. La sensazione deve essere qualcosa di diverso di un avvertimento. Qualcosa che vada al di là della formula tradizionale dell'ascolto. Eppure mi hanno sempre detto di saper spiegare nel dettaglio ogni parola che si scrive, e di non andare mai avanti se non si è certi di quello che si è scritto. Anche la purezza. Che cos'è in fondo la purezza? Facciamo finta che possa avvertirsi in qualche modo come una sensazione, ma che cosa significa? Qualcosa di non impuro? Di pulito? Rispetto a cosa? A qualcosa di più sporco? Quindi in quel caso, rileggendola in negativo, sarebbe qualcosa di relativamente più pulito o di relativamente meno sporco. Sono in tilt. Alle cinque abbiamo la riunione con gli allievi. Ciascuno dovrà leggere e commentare il lavoro del giorno. Anche un solo rigo, se ben fatto, potrà avere il suo valore, mi diceva. Ma deve avere un senso compiuto. Deve completare. Deve far maturare. Una sua completezza intrinseca. Deve far saltare dalla sedia. Non vorrei deludere nessuno, tutti si aspettano il massimo da me. Vorrei, vorrei cercare di chiudere un paragrafo senza tutti questi dubbi. Tu che cosa faresti al mio posto?
Io, io non posso risponderti, perché non le capisco le cose che tu dici.
Ma come, andiamo! Adesso non prendermi in giro!
Non ti sto prendendo in giro. Posso dirti che non capisco niente di quello che tu mi dici. Non è colpa tua e nemmeno colpa mia. Non capire non è un delitto.
Tu cosa fai invece quando scrivi? E perché non vieni alle nostre lezioni?
Io ho imparato a scrivere sentendo suonare un pianista jazz. Non so dirti altro. L'ho sentito suonare e da quel momento ho capito che cosa significa la mia scrittura. Ho capito dal suo suono che il mio non aver capito niente della mia vita e anche del jazz, e anche della buona birra e delle donne in gamba e del buon vino, andava scritto lo stesso. Scrivere l'inspiegabile, il brutto insieme al bello. Il bello insieme al brutto, come un pianista jazz. Senza guardare tutte le note. Senza la carta. Mi ha insegnato la libertà. La semplicità. La frase. Il ritmo. La bellezza nel sentirsi il cuore. Il dolore.
Tu sarai impazzito. Ho fatto proprio male a chiamarti. Credo che tu ti stia prendendo gioco di me.
Non è così, ma se lo credi?
Uhm, e questo pianista, insomma? Il suo nome?
Bill Evans...
0 commenti:
Posta un commento