sabato 8 gennaio 2011

Il segnale della distanza

Alcune esperienze letterarie, cominciano a vivere quando le lascio. Non appena interrompo, si smuove qualcosa. Qualcosa che entra e si inserisce nella mia visuale quotidiana, come un'interferenza, un nuovo paesaggio, una piccola rifrazione. Come se anche una sola parola letta o una sola circostanza di quello che ho vissuto, apra un nuovo spiraglio sulla parte non scritta e non letta. Quando un autore si fa desiderare in questo modo, a volte basta anche un solo momento, la distrazione, che però riporta a quel momento e a quel passaggio di una pagina che sembrava dimenticata, allora è il segnale che si è accesa una lampada percettiva, che continuerà a brillarmi attorno e dentro, indipendentemente se quel tale libro sarà concluso, interrotto, ripreso, abbandonato, rubato. Ormai è mio. È il mio libro. 
Nel mio caso specifico, ogni volta che si accende un contatto profondo con un testo- mi sta accadendo di recente con "Gli spettri" di Ibsen, che è un testo teatrale, e "Estinzione" di Thomas Bernhard, che è un lunghissimo romanzo-, il vincolo rimane stabile e si rapprende al linguaggio, al modo di vedere e di sentire le cose. Al modo di strariparmi e di contenermi. Ma senza spersonalizzarmi mai dalla natura di una mia abitudine all'ascolto, ma donandomi la possibilità di una nuova singolare apertura su una mia parte profonda e personale che non pensavo di riattivare. È come se lo scrittore mi riaccendesse una lampada magica, che forse credevo di aver perduto o che credevo guasta, con cui impolverare di una nuova luce, tutto quello che già c'era e che già mi vedevo accanto. Svelandomi lo straordinario dall'ordinario e anche l'ordinario dallo straordinario.  È come quando si vela un qualsiasi semplice lume da tavolo, con un piccolo velo colorato, che ne modifica l'effetto finale di illuminazione della stanza, delle pareti, degli oggetti, dello stesso proprio viso allo specchio. È anche un po' la stessa magia sognante del cinema, quella del mutamento onirico nel tessuto reale.
La lettura è una scoperta. Come nel viaggio. Scompartimenti di treni, autogrill, pontili di navi e aeroporti, sono custodie di visi, di emozioni, di luci lontane, e di lunghissimi inverni o tramonti strazianti, che possono rimanere aperte o appena socchiuse per sempre, a volte per un particolare sottile e sfumato, che farà la differenza tra un'esperienza e un'altra. E quello che mi sorprende di più, è l'imprevedibilità di questo grande trasporto. Nessun testo si preannuncerà in quel certo modo, e non esisteranno due testi che mi porteranno a pensarli e a desiderarli a distanza, per una stessa ragione. A volte non c'è nemmeno una ragione e non è nemmeno il pensiero di un preciso aspetto che causerà questa sorta di richiamo. Se tutto questo fosse spiegabile, avremmo una letteratura molto più prevedibile e scientifica. Adesso quando finirò questo post, rientrerò nelle pagine interrotte, come nelle fauci di un grande bosco notturno, costellato di piccoli centri abitati, fuochi, case appena illuminate, piccole locande, ritrovi, dirupi, chiostri, eremi e luna park. E ancora una volta non mi pentirò di essere entrato a quest'ora così tarda. Assaporo le mie letture su queste due linee sottili e parallele. Quella dell'immersione da contatto, quando le leggo e vi sprofondo. Quella della riemersione dalla distanza, quando mi riaffiorano e mi fanno più vivo e sensitivo alla mia vita. È quello il momento in cui scocca il misterioso segnale.

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