martedì 25 gennaio 2011

La scuola della pioggia

Uno scrittore svogliato e pigro, ma corretto e ben fedele alle formule e alle regole che gli sono state illustrate e impartite a cucchiaiate per raccontare qualcosa in modo impeccabile secondo i nobili dettami di certa giovane scuola, parlerà della pioggia, se la sua storia a un certo punto glielo richiederà, con le  parole necessarie e più pratiche, senza imbucare viottoli oscuri senza cielo e senza impantanarsi fino alle cosce nelle buche profonde della fuorviante e anarchica immaginazione. Quelle parole magiche ed essenziali, che arrivino subito al punto e al cuore di un lettore, senza complicazioni e accidenti anarchici vari. Cercherà quindi quelle più giuste e più adatte, dallo stile meno involuto, ma con l'ombrello ben aperto e attento a non bagnarsi. Le infarcirà per bene con qualche buon tuono di maniera, o qualche lampo giallastro e ben disegnato, senza mai esagerare troppo (nessun lettore ama le esagerazioni e i getti anarchici: quelli divertono solo chi li scrive), e poi infornerà il tutto, a fiamma media o bassa, e senza complicare troppo la situazione. In fondo si tratta solo di acqua, e di esprimerla con delle semplici parole, niente di più. Perché dannarsi così tanto? Chiarezza,  semplicità, economia, punteggiatura, poche tortuosità e sterzate sul bagnato-  niente curve, per cortesia: un vero scrittore non scrive mai in curva. È pericoloso, dà la nausea all'editor e a chi poi leggerà. Tassativo! Piccole e moderate distese di sole acquatico per ogni lettera, come riflessi dolci di acquerello. Tutto deve scintillare, esprimersi senza creare disagi. Altrimenti tutti a casa! Acqua e parole, cosa esiste di più spontaneo, utile, nutriente, naturale? Pochi ritocchi puliti, e la pioggia comincia a scendere, a scorrere con elegante descrizione, a coprire i vezzi della scrittura cattiva, del talento cattivo, del paragrafo cattivo, del periodo cattivo. Non crede che debba complicarsi più di tanto la vita per qualche goccia e per una ciocca di righi in più o in meno. La vita è molto più complicata della descrizione di un piovasco, come ne cadono o ne accadono di milioni al mondo. Così  potrà dedicare a quel punto di pioggia, il minimo necessario, e in quel modo una bella piovuta in qualche pagina si realizzerà con poco sforzo. Roba da ragazzi, una passeggiata purificatrice e distensiva. L'importante è avere i documenti della giusta e sublime pubblicabile scrittura. Rinnovarli ogni due anni con il nostro timbro scolastico editoriale tecnicistico di appurato vidimato consenso. Tutto qui. Non altro, al momento -(per cortesia, per le scarpe c'è il tappetino. Hanno appena lavato a terra).
Forse...potrebbe essere così, ma io credo che:
uno scrittore vero, pioverà nelle sue parole con la sua pioggia. Non aprirà l'ombrello mentre scrive e non sarà ben fedele a formule, regole e raccomandazioni che gli sono state inflitte. Farà sentire l'acqua addosso e dentro, questa sarà la sua unica regola: sgocciolare. L'acqua dentro. Dentro gli occhi, dentro la camicia, gli occhiali, la nuca. E ancora tra le dita delle mani, fino a tutto il braccio e anche la bocca e le parole saranno infuse di acqua e il naso, le orecchie, il mento, le gambe, le ginocchia, le scarpe e le strade, i palazzi, i bar, i ristoranti, gli alberghi, i musei, le montagne, i tombini, le chiese, le palestre, le scuole e anche le giostre appena illuminate, i cartelloni pubblicitari, le insegne dei cinema e quelle del rettorato. L'acqua dentro l'anima, da far tremare l'anima. E dopo aver badato al suono, continuerà con il cambio della luce. Una luce di pioggia non sarà la stessa di una luce di sereno. Una luce di pioggia preparata e non ancora caduta, sarà molto diversa da una luce di pioggia attiva e già presente, già in corso e in pieno contatto con le strade, con i vetri moderni e le vetrate gotiche, con i primi corpi in fuga, con qualche ombrello o con qualche giornale di fortuna. Indicherà gli oggetti di una stanza o i visi di persone che forse parleranno in quella stanza, di come ritornare a casa, o di come ritornerà a casa qualcuno che è lontano, e che come lo scrittore potrebbe non aver portato l'ombrello, non avere auto, cappello, impermeabile. Con quel tipo mutevole di luce che varierà in base alla quantità di acqua, al tempo di inizio dello scroscio, al tipo di distanza dalle finestre e che continuerà a trasformarsi incessantemente, per lo stesso mistero spettrale della durata ignobile e ignota del temporale. E anche le parole, quelle pronunciate durante un piovasco, avranno un certo suono di umido, anche se (s)parleranno di poesia, di cucina, di riviste di moda o di cavalli da corsa. Qualsiasi cosa accadrà, sarà afflitta, rallegrata, ritemprata o addolorata dagli effetti mutevoli della pioggia incessante, che tocca le parole e spugna la carta. Avranno uno sbuffo di vapore, una certa patina che tratterà di quella giornata immersa dell'acqua, senza nominarla con le parole ma con le palpebre, e semplicemente scivolandola nel grigio e bagnandola, divertendola di schizzi tra gli schiaffi sonori del fango. Non  altro, al momento.

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