sabato 22 gennaio 2011

L' Horror metafisico e la famiglia

Durante la stesura di un mio racconto di genere, per una rassegna di horror a cui dovrei partecipare la prossima primavera, ho cominciato a sondare vari terreni, sia letterari che cinematografici. Mi sono accostato ad alcuni esempi di horror metafisico, come questo di Zulavski, avendolo ritrovato in giro tra diverse documentazioni critiche interessanti quanto in contrasto tra di loro: Possession, uno degli horror metafisici più disturbanti ed eccessivi degli ultimi decenni, tra quelli che siano stati prodotti e correlati alle dinamiche di relazione. Credo che il "Possession" di Andrzej Zulawski, sia uno dei più eccessivi in assoluto-almeno tra quelli che ho conosciuto e ho approfondito da ragazzo- ma anche tra i meglio destrutturati quanto scomposti nella tecnica sapiente e straripante dell'orchestrazione all'eccesso, sgolata negli ambienti, nelle situazioni, fino a i più piccoli dettagli, e soprattutto nello spazio introspettivo dedicato al personaggio femminile, dove si incentrano i moti fondamentali del racconto, e che credo raccolga le informazioni di disagio più acute e invasive di un personaggio chiave- anche se così oscuro- per uno spettatore più o meno appassionato e predisposto a certe particolari visioni estreme.
Ho visto il film appena uscì nelle sale, e ancora oggi penso a diverse situazioni e atmosfere, che hanno resistito e non si sono affievolite, nonostante il passaggio del tempo. Ho ascoltato diversi pareri e molto contrastanti sul lavoro complesso e provocatorio di Zulawski, considerato da molti un esempio purissimo di horror metafisico e di grand-guignol che rasenta in diversi punti la follia visionaria, e che vedeva una straordinaria Isabelle Adyani come protagonista femminile, a cui andò il Premio César, tra l'altro meritatissimo, affiancata da un altrettanto credibile anche se spettrale Sam Neill.
Questo film è imperniato tutto sulla degenerazione di una relazione di coppia e di tutto il bozzolo familiare, sbalzato di continuo sul crescendo eccessivo degli eventi, procedendo implacabile, senza eslcusione di colpi, in una sua logica perversa quanto lucida di esplorazione accurata e autoptica di certi comportamenti umani interpretati e riletti in una chiave di paradosso e a volte indigesta. A detta di alcuni sarebbe pretestuoso intellettualizzare troppo un tale isterismo visionario senza freni. Io non credo che quella di Zulavski sia una prova pretestuosa e gratuita, basata sul solo sbizzarrimento tecnico ed espressivo. Credo che porti comunque avanti, a suo modo, un certo disegno sul gioco doloroso di certi rapporti, dell'agonia nel non riuscire più a gestirli, pur avendo tentato in tutti i modi di mantenerli stabili. Osservate la tensione di questa sequenza e la preparazione perfetta del suo crescendo, e soprattutto l'immoblità spettrale delle due figure sedute ai tavoli, l'una per ciascun angolo di prospettiva dove è centrata la coppia, poco prima che la macchina si muova e cominci a lavorare in dettaglio nella scena, zoomando sui protagonisti. Un'altra sottilissima raffinatezza: in contemporanea al movimento della macchina, dopo la sua stasi, il tempo che l'attrice prende posto al tavolo, di fianco al marito, (originalissima la posizione angolata dei personaggi in attacco di dialogo e anche la particolare struttura a specchio che si trova alle loro spalle) viene inserito un percettibile sibilo o effetto sonoro, molto stridente e acuto, che durerà giusto per qualche secondo, in perfetto contrappunto con la piccola modifica prospettica della camera in azione, con la sua entrata nel gioco vivo e diretto del dialogo,  con il suo graduale accostarsi e fondersi al pathos già incubato e vibrante nella coppia.

Sono convinto, che riuscire a ottenere certi risultati con maestria ed eleganza stilistica, sia davvero molto difficile, - ma in questo caso credo che Zulawski abbia voluto mostrare e molestare l'agonia di una coppia e le possibilità più estreme di degenerazione e di dolore in una dimensione affettiva e profondamente malata. (Dove finisce l'affetto e dove comincia la malattia?) E anche la Berlino così cupa e claustrofobica, è parte viva di uno scenario esistenziale soffocante e distruttivo, che avvolge i personaggi della storia dall'esterno e dall'interno, dentro una stessa morsa spiralica. Lo spazio affettivo, l'impossibilità di comunicare. L'odio, l'interferenza mostruosa di un terzo all'interno della coppia, il nutrimento, il veleno dell'altro, il sacrificio della donna e  dell'uomo nelle regole di condotta della relazione e del suo relativo pericolo di crollo, sono tutti fattori primari scorporati  attraverso il rombo eclatante dell'immaginifico e dell'isteria visionaria, e ricondotti come in un doppio specchio deforme, alla loro sentenza definitiva, nel processo tuonante e ancora più complesso e macchinoso del reale, che a volte non è mai così lontano come si credeva. Ecco dove un percorso di clausura orrorifica, riesce a chiudere il guanto sul cuore. Nell'accostamento alla verosimiglianza, nell'esasperazione delle situazioni comuni e possibili, ma intraviste nella cavità di un cucchiaio da cucina, appannato di vapore.
La storia è molto oscura e si mantiene così tetra e luttuosa, in tutte le sue parti e nei dettagli lugubri del suo onirico sepolcro, sempre più vorace e ossessivo lungo il suo sviluppo. Il sospetto, poi la certezza di un'infedeltà. Una creatura mostruosa che la donna avrebbe concepito e che la possiede e alla quale sacrifica degli uomini - credo questo aspetto  incarni molti più simboli, come fattore disturbante della relazione, di quanto in apparenza possa mostrare. E ancora una volta il conflitto tra il bene e il male. L'impossibilità di scinderli, di contrapporli, di verificarli senza che l'uno sia avvinghiato all'altro, come in un processo simbiotico e irreversibile. Lo stesso che interroga le dinamiche oscuranti della malattia, in quelle più naturali e a volte insospettabili dell'affettività e della sessualità(Freud). Credo che in questo film il regista polacco abbia espresso al massimo la sua capacità di ricavare dalle spire più oscure del sogno e dell'ossessione fiabesca, una sua rilettura dell'uomo moderno in una visione assolutamente pessimistica e senza un'uscita chiara, non sottraendo nessuno dei protagonisti al tentativo di ripristino dell'irreparabile. Credo che questa pellicola sia tra le più riuscite e funeste nel loro potere disturbante all'eccesso, quanto claustrofobico, proprio perché lavora e riconduce a messaggi e a disturbi molto più reali di quanto gli scenari e le grandi cascate orrorifiche possano far credere. L'interpretazione dell'Adjani, lascia assolutamente senza fiato. Credo che rimanga un grandissimo talento del cinema francese, che in quel film diede una grandissima  e indimenticabile prova di versatilità e di creatività, nell' approccio affascinante e insieme ipnotico del suo singolarissimo ruolo.
Riguardo le tematiche sulla crisi della famiglia, traslate in un'estasi orrorifica e visionaria, non si può non citare il grandissimo "Shining", uno dei capolavori di Stanley Kubrick, film che ritengo assolutamente perfetto, di cui propongo una particolare versione di trailer alternativa.


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