Un temporale, di primo mattino, riporta la notte nella mia stanza. Sono ancora a letto, mezzo stordito, e penso. Il pensiero di uno mezzo stordito è molto più puro. Più naturale, meno viziato. Ho appena aperto la finestra, sento l'odore della pioggia, e avrei voglia di scrivere qualcosa, qualcosa di quell'istante che è già passato. L'ho perso, mi dico. Con lo sguardo ancora nel vuoto. La mia casa immersa nell'oscurità e nel silenzio. L'ho perso perché non ha senso trattenere a memoria un istante già passato. Avrei dovuto avere un quaderno aperto, già tra le coperte che mi avvolgevano, e pungere la carta a volo, come una zanzara. Ma sono ancora pesante, gravido di pregiudizi, di cattive informazioni, di malintesi, di fraintendimenti, di trappole azionate verso me stesso. La leggerezza della puntura sul foglio necessita di un'agilità e di una profondità di cuore, che quando avverto viva la sento illegittima, perché è quasi sempre respinta, discussa, protestata.
Che cosa avrei mai scritto in quell'istante passato? Un verso, una sola parola, cinque pagine di quaderno di getto, un numero di telefono? O avrei disegnato qualcosa? Lo schizzo di una casa su di una montagna, una scarpa, la nuca blu di una ballerina? Che cosa sarà rimasto di quella sensazione così privata e ancora oscura? Era davvero parte di me o era la visita incontrollata di un ospite molesto del mattino, arrivato come un fulmine? A volte mi chiedo dove cominci il mio e dove invece continui o cominci il flusso pensante di qualcun altro, di un estraneo, che si offre come un volatile fantasma ad assumere la posizione obliqua della mia voce ancora rauca, le mie sembianze o la parvenza di un mio stile. Sarò forse vittima di uno stalking da parte delle mie stesse parole o della mia scrittura? Ma allora dove sono, quando scrivo? Sarò forse al telefono, nell'ascensore di un grande albergo o in un palco d'opera nell'ultimo guaito di un acuto? In quanti siamo? Potremmo esserne molti di più, oppure potrebbero essere in molti o in pochi, morti o ancora vivi, ma tutti in azione senza di me?
Il temporale aumenta, la casa si fa più buia, non soltanto la stanza dove dormo e dove sto pensando. Poi, in un bagliore, mi ritorna un'immagine simile a quella che avrei fissato sul quaderno, se lo avessi avuto a portata. Ma un quaderno non sarà mai a portata quando arrivano alcune immagini. Molti quaderni di appunti hanno paura di alcune immagini. Molte immagini hanno paura di essere ingabbiate da un quaderno di appunti. I quaderni di appunti devono masticare solo il buio fitto; la luce greve e luttuosa di un temporale di alba in una casa moderna, senza luci. Una sorta di strano pensiero, di una risonanza visiva che riguardava un tuono reale e che adesso rischiara a giorno una parete, come l'ultimo lampo. Un tuono che spinge nel cielo, quando arriva, come un omone grosso e minaccioso, dalle mani enormi e bagnate; dentro un autobus notturno ma gremito, senza numero e senza aria. Quando invece si allontana, non è altro che il filo azzurro di un motoscafo sull'acqua.
Che cosa avrei mai scritto in quell'istante passato? Un verso, una sola parola, cinque pagine di quaderno di getto, un numero di telefono? O avrei disegnato qualcosa? Lo schizzo di una casa su di una montagna, una scarpa, la nuca blu di una ballerina? Che cosa sarà rimasto di quella sensazione così privata e ancora oscura? Era davvero parte di me o era la visita incontrollata di un ospite molesto del mattino, arrivato come un fulmine? A volte mi chiedo dove cominci il mio e dove invece continui o cominci il flusso pensante di qualcun altro, di un estraneo, che si offre come un volatile fantasma ad assumere la posizione obliqua della mia voce ancora rauca, le mie sembianze o la parvenza di un mio stile. Sarò forse vittima di uno stalking da parte delle mie stesse parole o della mia scrittura? Ma allora dove sono, quando scrivo? Sarò forse al telefono, nell'ascensore di un grande albergo o in un palco d'opera nell'ultimo guaito di un acuto? In quanti siamo? Potremmo esserne molti di più, oppure potrebbero essere in molti o in pochi, morti o ancora vivi, ma tutti in azione senza di me?
Il temporale aumenta, la casa si fa più buia, non soltanto la stanza dove dormo e dove sto pensando. Poi, in un bagliore, mi ritorna un'immagine simile a quella che avrei fissato sul quaderno, se lo avessi avuto a portata. Ma un quaderno non sarà mai a portata quando arrivano alcune immagini. Molti quaderni di appunti hanno paura di alcune immagini. Molte immagini hanno paura di essere ingabbiate da un quaderno di appunti. I quaderni di appunti devono masticare solo il buio fitto; la luce greve e luttuosa di un temporale di alba in una casa moderna, senza luci. Una sorta di strano pensiero, di una risonanza visiva che riguardava un tuono reale e che adesso rischiara a giorno una parete, come l'ultimo lampo. Un tuono che spinge nel cielo, quando arriva, come un omone grosso e minaccioso, dalle mani enormi e bagnate; dentro un autobus notturno ma gremito, senza numero e senza aria. Quando invece si allontana, non è altro che il filo azzurro di un motoscafo sull'acqua.
Tutto qui. Adesso è già passato.
Peccato.
Peccato.
1 commenti:
Sono poetici anche questi tuoi momenti di riflessione.Il buio della notte avvolge anche chi legge, che viene sbalzato in quella stanza illuminata dal tuono e riesce ad avvertire tutta la tua "irrequietezza" creativa.
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