martedì 11 gennaio 2011

L'arroganza

Non credo di essere mai stato arrogante con nessuno, o quanto meno non mi sono accorto di esserlo stato se è accaduto. Purtroppo è molto facile imbattersi in persone arroganti, soprattutto in certi ambiti pseudoculturali. Non mi è mai capitato di aver trovato arroganza in nessun luogo che non fosse legato a un certo affare pseudoculturale. Come se occuparsi di qualcosa di pseudoculturale richiedesse una certa dose di buona arroganza. È una sensazione strana. Un soggetto arrogante si muove molto a suo agio negli affreschi sontuosi di certa verbosità, nelle complessità delle frasi, nelle citazioni, nella sfida, nel giudizio, nel grido contro il sussurro. È molto disinvolto nel conclamarsi arrogantemente una persona superiore e molto efficiente, anche se questa superiorità e questa efficienza non hanno modo di essere mostrate o dimostrate. Una forma di arroganza, di solito presume l'impossibilità di poter mostrare o dimostrare le proprie tesi, le proprie convinzioni al momento del suo espletarsi. Potrebbe procedere all'infinito, non vi sarebbe il tempo e nemmeno lo spazio psicologico per poter organizzare un esperimento dimostrativo sulle tesi mostrate con quel tipo di conclamata arroganza. Ma non sono mai tanto conclamate le tesi e le verità, portate avanti da un soggetto arrogante. Ma in fondo che cosa è davvero l'arroganza? È davvero una scelta consapevole, una volontà? Una forma difensiva, una caratteristica di certa particolare cultura, molto sofisticata, che necessita del giusto graffio per lasciare la nobiltà e la rarità del suo segno nell'altro? È possibile poter discutere di cultura, di arte, senza arroganza? Senza l'esigenza di dover dimostrare di saperne in qualche modo sempre qualcosa di più rispetto a qualcun altro? Credo che statisticamente esistano sulla terra persone che la sanno molto più di me, su qualsiasi argomento. Sono sicuro che siano molte di più quelle che sappiano più cose di me, che quelle che sappiano qualcosa in meno di me. Forse molte di più di quanto non possa pensare o percepire con la mia deformata sensazione di cultura o di pseudocultura acquisite. Non me ne faccio un problema o un cruccio; tra l'altro non credo che abbia più speranza di rimediare, sarebbe comunque troppo tardi. Potrei fare una bruttissima figura su qualsiasi argomento, anche con qualcuno che la sa molto meno o appena meno di me, sullo stesso. A volte è molto più probabile cadere con un interlocutore che abbia qualche possibilità in meno, perché spesso lo si sottovaluta, e non si sta attenti a quello che si dice in sua presenza. È anche molto bello quando ti correggono i bambini, persone di famiglia che fanno tutt'altro che occuparsi di affari o demonismi pseudoculturali, ma che sono molto attenti al battito delle ciglia e a ogni cosa che fai e che dici, e come la dici, perché la dici in quel modo lì e non in un altro. Per non parlare poi dei miei manoscritti, che più di una persona ha guardato o forse anche letto, come scherzi della natura, oggetti alieni, corpi di gallina che sbattono senza la testa, memorie di uno svitato, deliri disconnessi, cluster di parole.
Credo però che nessuna situazione al mondo, possa giustificare un atteggiamento svogliato e arrogante verso una persona che sa cose diverse dalle mie, o che ne sa di più, o forse anche di meno. Di solito l'arrogante non sceglie la sua vittima misurando prima le sue conoscenze o le sue informazioni, ma comincia a solcare il suo territorio, eliminando a priori la possibilità della gara e del confronto. Perché secondo lui non c'è gara, e non perché non voglia competere o schiacciare qualcuno.
Mi piacerebbe parlare di cultura o di quello che sento sia la cultura nella mia vita, con persone che hanno interessi del tutto opposti ai miei e che non misurano quello che sanno o che fanno. Non lo confrontano necessariamente con altro, ma lo vivono, come un fiotto d'aria da una finestra spalancata, senza farsi troppe domande su di che cosa sia composta quell'aria e da dove venga. Che ne sappiano il giusto o l'ingiusto, o quel poco che anche io mi sento di sapere e di non sapere, e che mi dà lo spazio e la possibilità di divertirmi con la mia sete di nuovo e di altro.
Ricordo un cassiere di un vecchio cinema all'aperto di provincia, che d'estate staccava i biglietti e divorava libri, con il rischio di farsi fregare o di sbagliare il resto. Che cosa avrà mai insegnato la letteratura di più bello, che rimanere vivi e rapiti, in qualsiasi luogo al mondo, e farsi anche fregare qualche lira, per la bellezza feroce di un personaggio, di un climax, di uno stile incantevole che ti avvolge e non ti dà più il tempo di sottrarti? Vorrei lettori che sbaglino il resto, che non sappiano troppo o tanto, ma che vengano ingoiati dal cuore di una storia, e non dal suo habitus o dalle dinamiche strutturali con cui è stata composta o sbagliata. Vorrei scrivere per quel cassiere, e pagargli i biglietti mancati, con le mie parole o con il mio poco danaro. Molti potrebbero criticarlo, per il rischio della sua dannosa distrazione. Io, stavolta con arroganza, lo erigerei a modello assoluto di sublime astrazione.

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