Arrivo a riprendere dopo diverso tempo questo libro, considerato un libro difficile. Parlo de "I Fiori del male" di Charles Baudelaire.
Il suo traduttore, Luigi de Nardis, apre la prima edizione Feltrinelli del 1964 scrivendo testualmente queste parole: "Un libro difficile esige lettori agguerriti". Non lettori dotti, preparati, raffinati, confidenti, ma lettori agguerriti. Che grande vigore questa battaglia con le pagine e con se stessi. Credo che sia uno degli inizi più stimolanti che si possano incontrare poco prima di un viaggio di mare grosso, come è quello con Baudelaire. Con queste parole ricomincio a sprazzi il viaggio nelle succose pagine liminari, come più avanti lo stesso de Nardis accosterà, e con ottimo intuito, la densità e la sensitività di questo misterioso forziere di masse organistiche, profumate e accordali, di cui è rappreso tutto il lungo e interminabile cammino.
Ma il primo elemento che mi ha spinto a ritornare al vecchio testo, a parte le ragioni affettive verso l'oggetto del volume paterno in mio possesso, è la magnifica opera di Roberto Calasso, "La Folie Baudelaire", in cui nella prima parte - L'oscurità naturale delle cose- l'autore cita alcuni versi del poeta dall'originale, che ho confrontato con calma alla mia vecchia ma fedele versione, che è, come quasi tutte, disponibile in due lingue.
Ho sperimentato questo stesso percorso di confronto contrappuntistico anche con Rimbaud, avendone preso spunto e interesse dal bellissimo saggio di Henry Miller "Rimbaud or The Time of the assassins", su "Une Saison en enfer" - o Le livre nègre, come Rimbaud chiamò la sua opera in una lettera del 1875 a Ernest Delahaye-, testo cercato per lungo tempo e con un'ossessiva insistenza, e poi trovato soltanto di recente e per puro caso, in una bellissima edizione del 2004. Due approcci completamente diversi, ma con lo stesso ardore di rivederli e di affrontarli con quella dovuta tenacia selvatica che due scrittori di tale grandezza, anche se su piani diversi, possono fiutare e ispirare.
Ritornando al primo approdo-attracco letterario, che è stato un ritorno di approcci più o meno sgangherati e incostanti quanto incantevoli, fin dai primi assaggi, -- almeno rispetto all'approfondimento dell'opera di Rimbaud-, mi sono trovato davanti a un'edizione ricchissima di spunti, di segnaletiche e di indicazioni, che ne hanno resa più ricca e stimolante la sua già ben folta tessitura. La prima, credo la più illuminante, riguarda il particolare dell'incisione della copertina del volume, che è di Charles Méryon, e rappresenta Le Pont au Change.
Non credo di aver mai sentito tanto trasporto e tanta affinità, tra lo stormo dei volatili cupo e ubriaco, ritratto in varie prospettive e inclinazioni, sul luccichio stanco della Senna che specchia il filo degli alberi e l'ombra lugubre del ponte, ben fuso e soffuso nei grigiori parigini e poi nelle distanze delle abitazioni di sfondo laterale, con quello che sarà il mondo ancora filamentoso e vivo del poeta, celato e rivelato dalla traduzione e dalla particolarità del suo sopore caldo ed embrionale, della sua leggerezza, del suo scintillante gravame sontuoso.
Il clima di quell'incisione è come un grande presagio, forse lo stesso che si avverte nell'affresco di Calasso sulle affinità del poeta con il mondo culturale che gli era accanto. L'osservazione degli uccelli sovrastanti e scomposti e la traversa obliqua del ponte sul fiume francese, sono un primo nuovo collirio per lo sguardo nudo sui versi, come rappreso dalla vernice odorosa di un quadro in una stanza dove si pernotta. Li ho cominciati, lasciati, ripresi, e poi ricominciati ancora, ma con il sapore e la calma dell'occhiale attento e consapevole di Roberto Calasso, che ne illustra la magnificenza e la decadenza del mondo, la sera e la seta giovanissima del verso, le pitture notturne, i tappeti rossi, i liquami, le penombre e i soffitti alti, gli specchi scuri e metallici, con la stessa maestria e leggerezza di Ingres, di cui approfondirà con intuizioni magistrali la storia e la poesia difficile del tocco, nella seconda parte del saggio. E ogni tanto ricomincio a sentire quello che accade dal vivo, allungando un dito nel pentolone ancora caldo e fumante di carne, e accostando il suono e il naso a quel mondo lontano e moderno che vi si svela. È come avere da prospettive diverse alcuni mazzi di chiavi per una sola serratura, che potrebbe accoglierle con sorpresa tutte, pur rimanendo sempre chiusa.
Il saggio introduttivo della versione Feltrinelli del 1964, è di Erich Auerbach, per la prima volta tradotto in italiano. Il suo lavoro introduttivo lavora sugli esempi vivi e li analizza, cercando di preparare il terreno per questo che è considerato da T. S. Eliot "Il più grande esempio di poesia moderna".
Ma il primo elemento che mi ha spinto a ritornare al vecchio testo, a parte le ragioni affettive verso l'oggetto del volume paterno in mio possesso, è la magnifica opera di Roberto Calasso, "La Folie Baudelaire", in cui nella prima parte - L'oscurità naturale delle cose- l'autore cita alcuni versi del poeta dall'originale, che ho confrontato con calma alla mia vecchia ma fedele versione, che è, come quasi tutte, disponibile in due lingue.
Ho sperimentato questo stesso percorso di confronto contrappuntistico anche con Rimbaud, avendone preso spunto e interesse dal bellissimo saggio di Henry Miller "Rimbaud or The Time of the assassins", su "Une Saison en enfer" - o Le livre nègre, come Rimbaud chiamò la sua opera in una lettera del 1875 a Ernest Delahaye-, testo cercato per lungo tempo e con un'ossessiva insistenza, e poi trovato soltanto di recente e per puro caso, in una bellissima edizione del 2004. Due approcci completamente diversi, ma con lo stesso ardore di rivederli e di affrontarli con quella dovuta tenacia selvatica che due scrittori di tale grandezza, anche se su piani diversi, possono fiutare e ispirare.
Ritornando al primo approdo-attracco letterario, che è stato un ritorno di approcci più o meno sgangherati e incostanti quanto incantevoli, fin dai primi assaggi, -- almeno rispetto all'approfondimento dell'opera di Rimbaud-, mi sono trovato davanti a un'edizione ricchissima di spunti, di segnaletiche e di indicazioni, che ne hanno resa più ricca e stimolante la sua già ben folta tessitura. La prima, credo la più illuminante, riguarda il particolare dell'incisione della copertina del volume, che è di Charles Méryon, e rappresenta Le Pont au Change.
Non credo di aver mai sentito tanto trasporto e tanta affinità, tra lo stormo dei volatili cupo e ubriaco, ritratto in varie prospettive e inclinazioni, sul luccichio stanco della Senna che specchia il filo degli alberi e l'ombra lugubre del ponte, ben fuso e soffuso nei grigiori parigini e poi nelle distanze delle abitazioni di sfondo laterale, con quello che sarà il mondo ancora filamentoso e vivo del poeta, celato e rivelato dalla traduzione e dalla particolarità del suo sopore caldo ed embrionale, della sua leggerezza, del suo scintillante gravame sontuoso.
Il clima di quell'incisione è come un grande presagio, forse lo stesso che si avverte nell'affresco di Calasso sulle affinità del poeta con il mondo culturale che gli era accanto. L'osservazione degli uccelli sovrastanti e scomposti e la traversa obliqua del ponte sul fiume francese, sono un primo nuovo collirio per lo sguardo nudo sui versi, come rappreso dalla vernice odorosa di un quadro in una stanza dove si pernotta. Li ho cominciati, lasciati, ripresi, e poi ricominciati ancora, ma con il sapore e la calma dell'occhiale attento e consapevole di Roberto Calasso, che ne illustra la magnificenza e la decadenza del mondo, la sera e la seta giovanissima del verso, le pitture notturne, i tappeti rossi, i liquami, le penombre e i soffitti alti, gli specchi scuri e metallici, con la stessa maestria e leggerezza di Ingres, di cui approfondirà con intuizioni magistrali la storia e la poesia difficile del tocco, nella seconda parte del saggio. E ogni tanto ricomincio a sentire quello che accade dal vivo, allungando un dito nel pentolone ancora caldo e fumante di carne, e accostando il suono e il naso a quel mondo lontano e moderno che vi si svela. È come avere da prospettive diverse alcuni mazzi di chiavi per una sola serratura, che potrebbe accoglierle con sorpresa tutte, pur rimanendo sempre chiusa.
Il saggio introduttivo della versione Feltrinelli del 1964, è di Erich Auerbach, per la prima volta tradotto in italiano. Il suo lavoro introduttivo lavora sugli esempi vivi e li analizza, cercando di preparare il terreno per questo che è considerato da T. S. Eliot "Il più grande esempio di poesia moderna".
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