Credo che in qualsiasi processo di buona scrittura, conti molto una certa componente di erotismo musicale e di sensitività, verso quello che si decide o che non si decide di ottenere. Credo che l'erotismo musicale e la sensitività, siano due componenti essenziali per chiunque si occupi di una comunicazione di impressioni. Che si parta dalla tela di un quadro, o da un quartetto d'archi, o da un breve racconto, l'ascolto attraverso i sensi è fondamentale. Non sempre si riconoscono questi due fattori come importanti e superiori. Non tutto quello che riguarda una componente prettamente culturale o colta, si associa a fattori di una certa sensualità o di una certa sensitività di approccio. Questo avviene perché si sta sviluppando sempre di più la tenedenza a incalanare i luoghi di un prodotto in stereotipi ben precisi e determinati, in arnie pseudoscientifiche che si attorcigliano attorno allo stesso monotono fuso. Alla stessa conclamata verità. Si discute di dettagli, e si perde l'incanto dell'insieme. Dice Thomas Bernhard che da un singolo frammento, se è quello giusto, si può cogliere la profondità di un insieme, senza fatica, come nel maglio di una visione. È una questione di abitudine di esercizio, ma di ascolto. Ho incontrato lungo la mia vita poche persone che sanno ascoltare un disco, un quadro o una pagina. Sono prese da altro. L'ascolto è qualcosa che si divide con qualcos'altro, che non è così importante, tanto l'orecchio fa da solo. Siamo poveri di musica come di baci. Ho provato più volte ad ascoltare della musica importante con amici, e a cercare di fargli individuare il punto massimo di intensità e di ardore, quello dove il diagramma era al suo zenit, dove avveniva il miracolo. Il punto dove nessun passaggio di tempo avrebbe mai sfiorito la magia di quell'istante; ma mi sono accorto che puntualmente fingevano di averlo colto, ma intanto erano già altrove, non erano lì con me e nemmeno con la musica, ma in un certo altro altrove. Una volta perso l'incanto, non lo trovi più. Pensavo di essere ammalato di troppi particolari. Di sentire forse le parti sbagliate di un brano e di trascurare quelle più importanti. Ma mi sono accorto che anche durante le parti meno importanti- almeno secondo i dettami del mio eventuale errore percettivo- la loro espressione rimaneva immutata, era ancora altrove, anche nelle zone che avrebbero potuto preferire o avvertire di più rispetto alle mie.
L'ascolto attento di un'opera è la prova che si è vivi. La presenza sensitiva nella profondità di una pagina è la prova che si è vivi, più del battito del proprio cuore. L'ascolto attento e consapevole, è una prova dell'esistenza della vita in un uomo. Ci sono pagine, quadri o musiche, che mi hanno trafitto, graffiato a vita, solo per averli afferrati di passaggio. Ritornando ai processi di scrittura, credo che oggi siano oggetto di illustri processi autoptici e di relativa o assoluta sordità al loro fulcro e al loro insieme. Si discute sul dettaglio e non si ascolta più niente e così ci si confonde: il male con il bene, il bello con il brutto. Da sordi tutte le cose sono mute e uguali, molto più uguali di chi davvero non le può sentire e sviluppa altri canali paralleli.
La sordità per scelta, per esercizio e per essiccamento di facoltà sensitive, è quella che riscontro nella stragrande maggioranza delle persone in cui mi imbatto. Io credo che l'unico metodo per rapprendersi di qualsiasi cosa sia quello di emozionarsene a morte. Un libro deve rimanere impresso come qualcosa di vivo e non di imparato né troppo capito, ma carpito: come un viso; un particolare luogo che si rabbui verso sera; la scollatura oscura e profonda di una commessa che mi sorride o di un grande dolore; un giorno fitto di pioggia e di lampi; un'esplosione improvvisa di fuochi d'artificio in piena notte, che mi sveglia. La descrizione nella buona scrittura deve evocare e non invocare.
La sordità per scelta, per esercizio e per essiccamento di facoltà sensitive, è quella che riscontro nella stragrande maggioranza delle persone in cui mi imbatto. Io credo che l'unico metodo per rapprendersi di qualsiasi cosa sia quello di emozionarsene a morte. Un libro deve rimanere impresso come qualcosa di vivo e non di imparato né troppo capito, ma carpito: come un viso; un particolare luogo che si rabbui verso sera; la scollatura oscura e profonda di una commessa che mi sorride o di un grande dolore; un giorno fitto di pioggia e di lampi; un'esplosione improvvisa di fuochi d'artificio in piena notte, che mi sveglia. La descrizione nella buona scrittura deve evocare e non invocare.
Oggi si tende a parlare di una scrittura che invochi e che in alcuni casi revochi e convochi, trascurando il mistero profondo e sommerso dell'evocazione. Il mistero del suono perduto e non sentito.
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