mercoledì 25 maggio 2011

Il cappello dimenticato

Nella scrittura si prepara un ambiente ancora oscuro. E nel buio di una particolare gestazione, si cercherà di renderlo invitante, pregno di un'atmosfera che lo renda percepibile alla distanza e al confronto di altri ambienti abitati, anche se più lussuosi o luminosi.
Amare e acclimatarsi ad un ambiente, per chi si troverà ad occuparlo, non comporterà necessariamente il capirlo, il misurarlo, l'analizzarlo a fondo nelle sue quadrature, nelle sue estensioni, nelle sue particelle catastali. Anche senza essere informati o dominati dalle proporzioni, un ambiente potrà riscaldare o riattivare quella misteriosa nostalgia di ritornarvi, o quanto meno di girare la testa verso la finestra, quando si inciamperà nei suoi paraggi, e ricordare per un istante di quello che si è vissuto. Ecco che cos'è un libro.
Non credo che abbia altro senso per me lo scrivere, se non il preparare dall'oscurità un ambiente, arredarlo per persone altrettanto oscure, che potrebbero imparare ad amarlo, senza volerlo o senza neanche saperlo. Non esistono metodi precisi e infallibili per riattivare un certo ricordo, una certa tensione di nostalgia, o per dirottare il viso di qualcuno alla mia finestra aperta o anche chiusa. Potrebbe accadere da sempre o forse potrebbe non accadere mai. Potrebbe essere già accaduto, e io stesso potrei non saperlo, e non arrivarci mai, fino a quando qualcuno non dimenticherà da qualche parte di quella mia strana casa il suo cappello...

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