lunedì 30 maggio 2011

Canzoni

Stavo sentendo delle canzoni che mi ricordano alcune cose. Non sono cose precise, che si possono descrivere. Sono cose fatte di momenti, di luoghi e di visi nascosti e ancora in parte ombrati alla luce diretta, che sono stati vissuti come tanti altri e che forse non avranno avuto niente a che fare con quella canzone, ma che solo grazie a quella canzone sono ritornati alla luce con quelle caratteristiche precise. Essere interessato da questi strani flussi di rievocazioni, mi rassicura e intanto mi spaventa. Mi rassicura perché mi fa sentire vivo, e il sentirsi profondamente vivi è un impegno meraviglioso con se stessi. Si buttano manciate di istanti, perché si è presi da molto altro, credendo che questo molto altro abbia un valore assoluto e vitale, quando invece si stanno solo abbassando le luci intorno e dentro il proprio attico, e si sparecchia una tavola dopo l'assenza non annunciata dell'ospite a cena. La costruzione musicale di alcune canzoni, forse per il particolare rapporto che ha la musica con la dimensione temporale (la musica si basa sul tempo ma in fondo non ha come arte un vero legittimo tempo), ha sempre una forte capacità evocativa ed ha grandi affinità con il sentirsi vivi. Uno strumento musicale che si accende nel buio, tutto il regime armonico, con le sue regole e le sue complessità, sono una rappresentazione di una fase illimitata di espansione e di profonda evocazione di fatti veri o sognati, e non di soli suoni. In alcuni momenti la canzone  pare ancora più potente di altre strutture più sofisticate e complesse, forse perché affina e penetra in un tessuto più familiare, entra nelle ossa dei giorni semplici e già passati, maledetti e dimenticati perché forse i più amati. I giorni qualsiasi candidati a una loro insolita eternità, se abitati dalle persone e dalle cose che sono successe mentre qualcosa ti canticchiava intorno e non ancora dentro: della paura di perderle, o di perderti troppo presto o troppo tardi dentro di loro. 

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