domenica 16 dicembre 2012

L'azzurro della notte. Appunti e stralci (III) !Attenzione: Spoiler!

Riesco a ottenere informazioni a una certa distanza dai miei testi abbandonati, quando li recupero e li rileggo senza alcuna possibilità di intervenirci, mentre, invece, quando un testo è ancora in fase di rielaborazione, anche se in fase molto avanzata, la concentrazione per i dettagli mi priva di una visione più circolare e ariosa di tutto l'insieme. 
Di solito a fine lavoro provo insofferenza, non vedo l'ora che i testi finiti trovino una loro sede lontano da me.  Nella luce di un deserto altro.

Nel caso de "L'azzurro della notte", le rivisitazioni di alcune mie parti, mi portano a cogliere un fattore costante di alterazione, non solo della luce dilagante e fisica negli ambienti, ma anche nel raggio prospettico di chi li vive, li patisce e li osserva, come se si cominciassero a sfaldare e a deformare i punti fissi di un osservatorio, le lenti verso un planetario, e di conseguenza si spostano le coordinate, i pianeti, le angolazioni, i satelliti. 

La familiarità di alcuni posti di solito scongiura la paura. 
Me ne accorgo nelle piccole cose. Quando vado di fretta e cerco il cappello, le chiavi, il telefono, ho bisogno di essere rassicurato da un certo luogo fisso, dal conforto di un punto dove posso orientare i miei successivi spostamenti, senza dovermi disperdere in numerosi tentativi a vuoto.
Quando comincia a deformarsi lo spettro di visione, allora anche un luogo familiare si ombra e si appanna, come nella crescente opalescenza dei viottoli bagnati del ghetto, ma anche dei cuori. Tutto è nuovo e minaccioso, instabile, vacillante, come guardare un altro viso dall'altro lato di una brocca piena di aceto di mele. 
Il professor Plamf, durante la sua misteriosa scorsa nella storia, da testimone a parte integrante e condizionante degli eventi, è vittima di questo stadio soffocante di alterazione, che investe di un senso di morte i luoghi della memoria e del presente, del suo oltreghetto, e la zona sognante e pericolosa del ghetto ebraico così come della sua creatività tenebrosa.

Mi chiedevo: perché ho insistito così tanto sulla percezione e sullo sfocamento della visione, dello sguardo? Perché, evidentemente, avverto dallo sguardo la possibilità del respiro, come se a occhi chiusi una morsa ti stringesse un polmone come un canotto da sgonfiare. In certi casi la quantità di luce è strettamente collegata a una sensazione di aria. E anche la luce di una persona, nel caso del romanzo di Simona, condiziona il flusso di sguardo e di respiro. Un fattore claustrofobico, quindi, quello dove l'alterazione di una realtà che ci sfugge, si associa con l'impossibilità di mutarne direzioni, condizioni e destini. Lo stesso che ti chiude lo sterno quando qualcuno ti abbandona o ti ama – essere amati spesso fa sentire come quando si è abbandonati, quando ci si sente amati, si avverte la paura e il terrore che tutto questo dolore di amore ci renda ancora più soli (vedi Simona, nel romanzo) ma questo è un discorso molto complesso, su amore e dolore, che non voglio aprire qui, paradossale ma complesso.

Al buio del ghetto il professore ritorna con gusto, nell'ossessione di quella ricerca instancabile, legata alla sua crisi creativa, senza rendersi conto di essere parte di un disegno più ampio, dove chi tenta di monitorare e controllare, rischia di essere poi il monitorato e il recluso.
E alla luce dello sguardo alterato e sempre più appannato sulle finestre del ghetto ebraico, alla strana e silente risata di un terzo polmone in formazione, si associa la mancanza di un'anima, che è il fattore e il motore principale su cui sto innescando, sperando di riuscirci nel migliore dei modi, l'ultima revisione, la più importante, del romanzo  "Not a soul".

Me ne sono accorto solo oggi, lavorando sul materiale nuovo e spolverando il vecchio, quando ho rivisto questa attinenza tra nitore di sguardo, respiro e anima. La mia informazione è una suggestione, ma credo che diverse strutture narrative, prendano una certa staffetta, come una sorta di eredità dalle precedenti, anche se sviluppate poi su litorali del tutto diversi.
L'ultimo lavoro, che è un lavoro molto lungo, si sviluppa come un  moto perpetuo esasperante.
La caratteristica di questo romanzo è l'esasperazione di alcune atmosfere e dimensioni su odio, desiderio e adolescenza, ma di questo vi sarà il tempo di parlarne al momento opportuno. 

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