sabato 22 dicembre 2012

Barbara

Magra e oscura. Una donna isolana e isolata dal mondo, probabilmente dedita alla magia – sotto il suo guanciale e sotto il materasso, quando andò via, mio padre trovò dei limoni tagliati e altri strani accidenti. 
Era la donna che dalla sua isola si sarebbe spostata da noi, per prendersi cura di nonna Elvira, la mia nonna bambina. L'appartamento di nonna Elvira è quello dove adesso vivo. Era comunicante con l'altro dove vivevano i miei, attraverso una porta interna, che di solito non si chiudeva nemmeno a chiave. Accanto al letto nonna Elvira aveva un campanello, che avrebbe suonato per qualsiasi evenienza, di notte, quando era da sola e così qualcuno sarebbe accorso, mio padre o mia madre. 
Io, la notte della morte di nonna Elvira, continuavo a dormire, non sentii il campanello, ma vidi solo al risveglio un mio zio, che mi diede il buongiorno con un sorriso spento, io non capivo cosa ci facesse tutta quella gente a svegliare il piccolo Luigi che non sapeva ancora di aver perso la nonna. Sembrava un'aria strana di festa, ma era domenica ed era febbraio. Fuori pioveva, solo odore di caffè, poi vedevo altre persone. Mi portarono da mia zia, credo che fui accompagnato circa a un'ora dal mio risveglio, per evitare dolore e dispiacere a un bambino così innamorato di lei, e intanto io chiesi di arrivare solo fino alla cucina di nonna, non sarei scivolato, come avevo fatto fino al pomeriggio prima, nella sua stanza,  gustarmi il suo silenzio, a vedere la televisione accanto a lei e al suo gatto Archimede, a sentire racconti lontani, di suo marito, delle canzoni indimenticabili dello zio Nisa, lo sai che tuo zio Nicolino ha vinto Sanremo, il festival  della canzone italiana, con "Non ho l'età?", ma io non avevo l'età, sapevo delle sue canzoni lontane lontane, e del fatto che Luigi suo fratello mi aveva comprato un trenino elettrico prima ancora che nascessi, e intanto amavo stare con Elvira, anche se accanto a lei non avevo età.
Era una sorellina minore di 79 anni, e Barbara, qualche anno prima, veniva a frapporsi tra noi. C'era bisogno di un aiuto per la nonna, di qualcuno che le dormisse accanto, e arrivava allora questa figura sottile, vestita di nero, un odore selvatico, che mi metteva paura e mi attraeva, devastando di nero il mio piccolo animo musicale e azzurrino di ricordi e di canzoni. 
La casa durante l'inverno si oscurava e io mi addentravo di nascosto, di solito per rubare il sale grosso da un contenitore che era affisso al muro, e ingozzarmene a manate. O per guardare i due pappagallini ondulati, Azzurra e Autunno, che stavano spesso nella sua cucina che sapeva di aceto e di nebbia. Un pomeriggio buttai tutto il brodo a terra, la cena di nonna e di Barbara, poverine...
Barbara era oscura, e mi catturava in una morsa di odio perché non mi consentiva quell'intimità che mi faceva così bene con nonna Elvira. 
Ricordo che un pomeriggio le sferrai un attacco feroce, ero con una mia cugina, che ho rivisto di recente, la quale mi ha ricordato l'episodio atroce nel quale mi aggrappavo ai capelli lunghi di Barbara, prendendola di spalle, e costringendola a piegarsi, nel buio del corridoio, fino a cadere. Non riesco a capire come avevo fatto così piccolo a sferrare un attacco così lugubre e insensato, forse l'essere misterioso mi disturbava o era un esorcismo per la mia paura. Credo che il gatto avesse visto tutto.
Fummo puniti con grande severità; mio padre quella volta volle delle spiegazioni, ma ero così piccolo,  quali spiegazioni potevo dare per una donna che recitava i salmi dei morti, nel fondo della casa, e la nonna si accodava per pregare per la sua sorella morta suicida, tenuta nascosta a noi bambini come qualcosa di osceno e proibito. Una prozia ragazzina che tengo ancora nel cuore e a cui ogni tanto odoro il collo e le scosto i capelli, come se fosse viva. Non so chi mi disse, credo un'amica, tu scrivi, scrivi, e se quella che scrivi è lei che viene a stare da da te, perché sei il solo che sai del suo amore finito diventato infinito? In effetti la nonna si era confidata con l'unico bambino, credo per il mio sguardo così particolare e intenso, che le faceva ricordare e parlare. E così quella figura di una zia sconosciuta e rimasta ferma nella sua ultima tenera età, mi abita, ogni tanto, nelle mie parole le darei un po' d'aria e di rivincita, un bacio piccolissimo, da non sentirsi nemmeno ma da farla sorridere, come se fosse solletico, una vecchia stringa slacciata, una passeggiata solitaria e silenziosa, nel buio così duro di me...
Barbara ritornò nella sua isola, il materasso ha ancora le tracce sparse dei suoi limoni, il mio cuore dei salmi sfumati nel crepuscolo, l'odore del brodo, la brocca lucente di vino bianco.
La mia vita si imprime di questi ricordi, a volte li patisce, li spreme, in altre ne fa concime.
Vorrei ritornare in certe stanze e chiedere il permesso di gustare il mio passato. La sua polvere, il suo livore, il suo demonio, ma anche la sua pace. Esistono tempi dove vi era una pace costante, che poi si è andata a mischiare con altro, come un adombrarsi di più melodie, dove il tema infantile non si riconosce più e ne ritorna alterato. Almeno un testimone vivo, che mi prenda in braccio o mi punisca o mi tenga un po' il broncio. Che si vesta di nero come Barbara e mi si pari davanti, anche tra poco, quando ritornerò a letto, nella mia stanza.
Eppure questo moto perpetuo e lontano ancora risuona:
ancora ancora ancora...come se fosse ora.

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