martedì 25 dicembre 2012

In una notte festiva

In una notte festiva, qualsiasi sia l'approccio al sacro, si avverte l'arresto dello scroscio recente di vigilia e si considera quello che l'arresto di un flusso emorragico consente a chi si ascolta nel profondo. 
Qualche sportello ancora sbatte nel cortile, il rumore della carta da pacchi, i tacchi alti, qualche risata. Il Natale è amore, ragazzo mio, così mi direbbe mio padre, se potesse guardarmi scrivere adesso, esplode qualche fuoco da lontano, forse una sua fucilata alla mia nuca. Se con te morto continuo a esserti figlio, e ancora da morto continui ad essermi padre, in una notte del genere vorrei un consiglio,  una parola, uno schiaffo, un tuo bacio caldo sulla bocca. 
Alcuni ruoli mantengono una soglia flebile di eternità, un'eternità relativa, fino a quando l'altro capo del filo rimarrà teso.
In effetti il figlio di una persona morta non interrompe il suo ufficio, anche avendo mia madre viva, sarei figlio allo stesso modo con entrambi assenti. Il ruolo si assorbe e contamina del suo humus un'esistenza. Una gabbia di amore e di radici dalla quale non si potrà mai uscire. Anche un padre senza un figlio continuerà il suo ruolo e il suo ufficio. La stessa premura, la stessa attenzione, responsabilità. Così una madre e tutte le altre possibili combinazioni di un'assenza. L'amico vivo avrà ancora un amico, non ne avrà uno in meno. Anche un ateo che perde un amico, continuerà a sentire l'amicizia dello stesso peso che se quella persona non fosse scomparsa. E anche un fratello e una sorella, rimarranno fratelli anche nel buio. Una moglie e un marito. Un fidanzato e una fidanzata. Un amante e un'amante.
Mio fratello morto prestissimo, Antonio, prima della nascita di Chiara, continua ad essere mio fratello, nonostante non abbiamo avuto il tempo per niente, non c'entra. E così rimane fratello anche per Chiara, mia sorella che è arrivata un po' dopo dalla sua morte, e che non ha vissuto la perdita da presente ma da assente, ma ha anche lei un fratello, un altro fratello oltre me, così come ha ancora un padre e così come mio padre morto ha ancora quel figlio morto, allo stesso modo di come ha ancora noi due vivi ed è ancora sposato, da morto, con una moglie viva. L'eternità del ruolo è una strada sterrata dove giocano le nostre polveri e dove studio il mio fumo e il mio futuro, il dolore della nebbia che rimane di un altro, in una notte così bella di Natale può sembrare un delitto, dentro questa pace, invece lo trovo il momento giusto per toccarmi il fondo e sentire:
quello che sono e che ho dato, che cosa rimarrebbe se all'improvvisso io adesso morissi? Quale ruolo, oltre a quelli di sangue, rimarrebbe a pulsare, come una stella o una candela, in altri luoghi, lontani, che ancora non conosco?
I miei amici, i miei congiunti o disgiunti, le persone che ho visto una volta, quelle che vedo di continuo, ma che non sono ancora amici, non sono nemici, non hanno nessun ruolo se non quello di uno sfioramento sottile, quasi involontario. E quello che ho scritto e che non ho scritto scrivendolo. I miei racconti, i miei romanzi, quelli scritti, quelli inediti o solo pensati e amati come se già scritti o anche di più, nella delicatezza sognante di un solo pensiero.
E tutte le persone conosciute in rete, sentite, avvertite vere, in profondità, ma mai viste. Tutti i miei contatti mail, con i quali sono stato l'unico ad avere un contatto, che cosa direbbero del mio silenzio interrotto, senza un preavviso, semmai confidando nella sequenza naturale dall'ultima mail, passano 1, 2, 3, 5, 10, 15 giorni, e da quell'indirizzo non arriva più nulla. Non avranno altro di me. Non hanno un telefono, un recapito, cominceranno a sospettare in un imprevisto, un problema al computer, un viaggio, una malattia, ma non alla mia morte. E chi dei miei si prenderebbe la briga di avvertire uno per uno i contatti disertati, di persone che mi hanno voluto bene o anche solo pensato, semmai molto più di quelli che ho visto molto spesso da vicino, e che non mi hanno voluto bene o pensato quanto quelli fatti di parole, di link, di messaggi, di twitt...
Mia sorella o mia moglie, potrebbero cercare nelle mie parole quelli con maggiore frequenza di scambio, tirare il fiato prendere il coraggio e cominciare. Da un nome a caso, il primo invio, e intanto, sarà passato anche più di un mese, e quello dall'altra parte troverà il mio nome e il mio cognome in grassetto, almeno così avviene in Mail, e mi penserà vivo. Nessuno al mondo immaginerà che da una mail così semplice e immediata, possa arrivare il messaggio di qualcuno che non c'è più, che non sentirà mai più da quel momento e che quella, da quell'indirizzo, sarà l'ultima mail della sua vita. 
E quando leggerà, si accorgerà di come mia sorella o mia moglie o qualche amico, se pure una cosa del genere avverrà, cercheranno di trovare le parole adatte mentre le scrivono, cercando di avvicinarsi alla notizia: Ciao, non ti conosco, sono la sorella di Luigi, per esempio: ho visto che vi siete scambiati diverse mail, da diverso tempo. Mi dispiace doverti dire, ma no, è possibile che a quel punto mia sorella si sia fermata, si prenda ancora del tempo, e allora allunghi il brodo, cercherà inutilmente un'altra strada, forse più indolore, ma si illude, perché in quel momento sta solo ritardando il colpo, o l'eventuale colpo che quella notizia potrebbe dare a qualcuno, e allora ritornerebbe al punto, a un certo punto, esasperata dai tentennamenti e dalle cancellature, scriverebbe di getto e con violenza, la prima successione che le verrebbe, tipo: è successa una cosa tremenda, tutti noi siamo ancora sconvolti, solo adesso abbiamo trovato il tempo. Mi sembrava giusto comunicarlo anche agli amici della rete, so che Luigi ci teneva tanto, e l'altro allora comincerebbe a capire, forse a tremare con una gamba, o con il braccio, anche una spalla, a volte le reazioni nervose a certe particolari sequenze sono davvero inimmaginabili, le zone più sicure e stabili possono cedere all'improvviso, contro ogni aspettativa. Mi dispiace, continuando, comunicarvi, o comunicarle, non immagino come possa scrivere, ma forse mia sorella passerebbe al tu, direttamente, per una situazione del genere non andrebbe tanto per il sottile e arriverebbe in breve al sodo: nemmeno noi ce ne facciamo una ragione, è stato tutto un precipitarsi, non se ne è nemmeno avuto il tempo, ma dicono che non si è accorto di niente...e così via. Semmai utilizzerebbe lo stesso messaggio per tutte le altre mail, almeno per i contatti ritenuti più urgenti da una sua rapida scorsa, i più importanti, non avendo la confidenza che avrebbe con i conoscenti dal vivo e in comune, in grado di sollecitare un passaparola del genere. E tutto sfumerebbe, dopo molto o poco tempo...anche dalla rete, così le mie parole, le mie battute, la mia delicatezza o ferocia, i miei post,  i miei racconti,
il mio strano ruolo indefinito, invisibile, incompiuto.
Capisco che è tremendo. Lo immagino tremendo da ambo le parti, ma soprattutto nei panni di chi non ha altro modo per sapere. Nella rete tutto si semplifica, le distanze, la fluidità della comunicazione, le resistenze, gli impacci, questo quando si è vivi, ma se invece capitasse qualcosa del genere, sarebbe tutto più oscuro, macchinoso, atroce e complesso. Ecco l'altro risvolto.
E il mio ruolo? Le mie parole in una mail avranno mai avuto la forza di un mio sorriso, di una mia battuta, di un mio discorso espresso anche con gli occhi, con una mano stanca nei capelli, aggiustandomi la sciarpa, sbadigliando, o rimarranno segni vuoti, che sfumeranno giorno dopo giorno?
Perché scrivere una cosa del genere, in una notte del genere?
Non ne ho idea, ma la sento profondamente intima e religiosa, in un momento di rivelazione e di mistero, imparare a fare i conti con la propria assenza è importante e formativo. A queste cose non si pensa mai. A me stanotte è successo, se non le avessi scritte sarebbero sfumate, senza ruolo, e io avrei perso questa paternità e loro l'appartenenza a una mia visione delle cose così diversa e intensa, da sembrare impossibile.
Vorrrei imparare la delicatezza estrema, verso ogni parte del mio cosmo, il dare e l'affidarsi, senza reti e senza ruoli, senza temere di sottrarre a qualcuno, e intanto la delicatezza diventa il mio senso, la linea azzurra di un delfino che gioca anche in una notte soffocante, quando qualcuno potrebbe sorridere a una mia parola, a volte ne basta una. Le parole non vanno mai buttate e sprecate. Sono come il pane. Ecco perché scrivere è difficile; farlo senza uccidere quello che si vuole dire e il tempo di chi dovrebbe ascoltarlo, è davvero raro e difficile. La delicatezza, è l'unico genio umano che mi commuove...
Una notte mio padre ricevette una telefonata da un suo amico medico, di origine egiziana, in cui, con una voce concitata, quello gli diceva che voleva morire. Mio padre da allora non lo ha mai più sentito. Quando penso a queste continue notti che incombono sulle relazioni, nei contatti, negli scambi, avverto l'odore di un muro altissimo e la voglia di essere altro, di sconfinarmi di amore e di possibilità, come se con ognuno avessi ancora un solo minuto.
Il Natale è amore, così mi direbbe mio padre, che rimane ancora mio padre e credo che lo rimarrà anche quando non sarò più un figlio vivo, dopo questo post.
Buon Natale, a tutto quello che non è perduto...

0 commenti: