giovedì 20 dicembre 2012

Dolce di sera...buon tempo dispera:

Tra i ricordi più lontani e delicati delle mie prime vacanze, c'erano i pomeriggi al cinema, da solo con una collega di scuola di mio padre, una professoressa dal grande sorriso materno, madre di 3 figlie incantevoli, marito estroso e solitario, polemico nelle discussioni del dopocena, ma il pomeriggio la professoressa mi trovava sempre disponibile, per  lasciarmi luccicare gli occhi nel buio celeste della sala del cinema Tasso, un bambino sempre così silenzioso, continuava sempre a dire in giro, anche a me, qualche volta, al telefono, ormai grande, mai una richiesta, un capriccio, una sola parola fuori posto, ma d'altra parte, diceva, con quella famiglia dietro, insomma, due persone così amorevoli e per bene, i due professori, e allora diventavo la sua unica silenziosa compagnia, piccolo e magrolino, un bambino taciturno con gli occhioni tristi della madre, quando conobbero mio padre a un balletto di amici, in una casa di via Bernini, e che sembravano appena un po' dipinti nella musica sognante del giradischi, per come erano naturalmente allungati e pieni di ciglia, ma che amore, sembra un adulto, avanti, Luigino, nemmeno un gelato, mi diceva, e io muovevo le gambe avanti e indietro, sul seggiolino del cinema, pensando alle mie vacanze, al sogno di avere una stella di sceriffo, a quanto mi toglieva il fiato Capitan America, e la signora amica e professoressa si curava la sua grande solitudine con un nipotino finto e delicato, nemmeno suo.
Quella professoressa è morta circa un anno fa.
Tutte le volte che chiamava per parlare con mia madre e mi trovava a tiro, mi diceva di quei pomeriggi lontanissimi al cinema Tasso e del fatto che non le chiedevo mai niente, mai un capriccio, eri un bambino bellissimo e molto educato, e io dal telefono sorridevo, senza dirle molto.
Io ricordavo qualcosa di vago, con un certo imbarazzo, non credo nemmeno che quella professoressa amica dei miei mi portava a vedere film per bambini, ma andava a vedere film che piacevano a lei portandomi con lei perché anche io ero un bambino solo e forse senza tanti amici.
Non so quanto fossero simili e quanto profonde le nostre solitudini, ma è certo che nel buio della sala diventavo una medicina per quel suo tratto di villeggiatura dimenticato, deluso, amici  e colleghi nello stesso albergo, e anche lei per me, dolce la sera del ritorno, sembravo una formica, lei così grande e sorridente e loquace, con il personale dell'albergo, madre di quelle 3 bellezze, e ricordo ancora i sorrisi delle figlie già grandi e luminose, nei loro abiti leggeri prima di uscire, e di come il suo sguardo sereno si ombrava o quasi si mortificava di quella bellezza così radiosa di Chiara, una delle ragazze, lo stesso nome di mia sorella, che all'epoca non c'era ancora. Poi, quando arriva la notizia della sua morte, si spengono anche le luci del cinema Tasso, un'altra persona che mi voleva bene se ne va, col suo bel profumo, il suo bel sorriso, l'odore dei limoni, mia madre coi capelli corti, come una ragazzina spaurita nel buio del giardino, e poi un fiotto scuro di dolore che non capivo,  dalla terrazza guardavo il mare, ma che fai qui tutta sola, le dicevo, e mia madre non parlava. Guardava il mare di sera senza parlare. 
Una sera, ero bambino, mia madre perse la voce, io ero da solo con lei, mi fece il segno di aiutarla, era diventata muta, all'improvviso. Aveva il viso sommerso dallo spavento e correva da me. La casa era in penombra, ma nell'appartamento a fianco c'era la mia nonna Elvira, una nonna bambina così delicata, a 16 anni aveva perso una sorella morta suicida per amore: credo avvelenata, e qualche volta me ne parlava, ne parlava solo con me che forse non capivo di quella sorella lontanissima, lontana lontana...(che ogni tanto mi bacia i capelli nel buio, perché tu soffri così tanto, mi sussurra in un orecchio, che cosa c'è che ti attoriciglia, non sarò io e il mio amore impossibile per te, lo sai che sono ancora una ragazzina anche se non mi hai mai visto, vuoi guardare il segno del costume, o ti fa così paura il mio amore), e così la nonna accorreva e mia madre si rincuorava, avrebbero chiamato insieme il medico, forse un medico di notte, nelle ombre di quell'infanzia anche alle sei della sera era già notte e invece era solo sera, e tutto poi passava, ma non il mio batticuore che mi toglieva il sonno e il respiro fino a notte fonda.
Come i pomeriggi al cinema Tasso con quella signora, che ogni tanto mi ritorna dentro e mi chiede l'ora.



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