giovedì 27 dicembre 2012

La serata dei ricchi e la pornografia

Invitato da un amico a una serata di sabato a casa di amici suoi, mai visti prima.
Ero e sono ancora figlio di professori,  ragazzo introverso e di certo non ricco, sensibile forse anche un po'scemo, scagliato in un appartamento di lusso, una zona molto su, salgo le scale e leggendo le targhe avverto un altro mondo. 
Ci sono delle belle ragazze, mi dice il mio amico, con me c'è un altro mio amico che è arrivato tramite me a quell'appuntamento di nuove relazioni altolocate.
Quando salivo le scale ai compleanni del sabato o di qualche domenica, imparavo a conoscere il mio cuore e la mia paura. Ogni gradino, ogni vociare, ogni disco che suonava, avvertivo sempre un pugno di ferro al centro dello stomaco che mi faceva rallentare. Ero sempre molto addolorato dalla gioia di vivere e di conoscere. Mi addolorava tutto ciò che amavo, quando qualcosa non mi addolorava e non mi scazzottava al centro dello stomaco, togliendomi tutto il fiato, allora non c'era vita né crescita né speranza. Nè amore.
Ma quella sera, sulle scale del palazzo di lusso, mi sento diverso. È una situazione insolita.
Una riunione in una casa senza genitori, credo professionisti fuori per vacanza in crociera, convegni, impegni lavorativi, o chissà cosa.
Entrando mi guardo intorno: specchi a muro, faretti bassi alle pareti, il tutto annegato in una luce azzurognola e malata, un senso di fiaba decadente, odore di cibo esotico, un silenzio opulente, i cappotti, grazie, così il padrone di casa, molto cortese, in maniche di camicia, gli passo il mio cappotto, così i miei due amici, la casa immensa, non sappiamo come muoverci, nemmeno il mio amico già di casa fa un solo passo, quando l'altro, il padrone o padroncino di casa, tirato tutto a lucido, ci fa: seguitemi, sono tutti qui. Lo seguiamo, in silenzio, nella luce azzurognola che si abbassa sempre di più, verso un primo piccolo corridoio ombrato, che mischia le sue ombre a una luce rosa e soffocante che fuma da una stanza dove il ragazzo che ci fa strada è diretto.
Solo allora il silenzio sarà rotto da qualcosa: come gemiti, fruscii, movimenti di risucchio, schioccate di lingua come di noci, e ancora lamenti, piccole grida di gioia, pareva di essere fuori a una stalla, a un allevamento bovino o meglio a un macello comunale. Il padrone di casa rimane sull'uscio, si gira verso di noi e ci fa segno di accomodarci dentro. Sono il primo ad entrare: una stanza non molto grande, illuminata da un lume che fa una luce calda e rosata da un angolo, e ragazzi e diverse ragazze immobili, seduti attorno a un tavolo alcuni, altri sul divano, tutti di fronte a un televisore che trasmette un Hard spintissimo ed estremo. Mi pare che in quel momento ci fosse un'intreccio di due donne, credo tedesche e un uomo, ma poi avvengono variazioni di postura, acrobazie spericolate, il tutto scandito e drammatizzato da primissimi piani (PPP), la mano rozza della regia che punta ai moti tristi e affamati della carne, e mentre il mio amico si scalda, e comincia a rifarsi gli occhi, io provo un senso tremendo di morte e di soffocazione, scorrendo con lo sguardo, tra le ombre, i visi delle ragazze che assistono allo spettacolo.
Mi suona terribile non soltanto l'indifferenza e la naturalezza delle ragazze di fronte alla proiezione estrema, ma anche la loro compostezza, il loro abbigliamento molto curato, sofisticato; si avverte che sono ragazze di un mondo molto lontano dal mio, ma stanno di pietra, contro l'ammasso gioioso di quelle carni tedesche in fibrillazione, i loro visi invece spenti e tragici, come antichi ritratti di vedove o di madonne.
La visione si prolunga per diverso tempo, io sono in grande imbarazzo, tra l'altro mi accorgo della monotonia del tutto, mentre le statue femminili non hanno fretta, impazienza, emozioni, ma ingoiano tutto, come banane o zucchero filato.
Pensando solo a una di quelle ragazze, che ha un bel carré, un viso magrino e un po' più triste, sembra meno murata delle altre, forse un minimo impacciata anche lei, e ha i capelli, sul lato destro, sollevati un po' dietro l'orecchio, e quella per me è stata una visione bellissima.
I capelli di una donna o di una ragazza, sollevati appena un poco dietro l'orecchio, sono un mondo e una porta aperta che non conoscerà mai noia, ripetitività, torpore, monotonia. Sono una speranza.
Così come sfiorare per sbaglio la punta di un ginocchio, un gomito, una nuca, anche solo col fiato, la punta di una scarpa, i capelli, una spalla da una manica scesa più dell'altra.
Quei capelli dietro a un solo orecchio mi fecero capire che io vedevo altro in quella sera, cose invisibili e che forse ero un fantasma.
Quando ritorno alla proiezione, rivedo i capelli dietro l'orecchio della ragazza seduta attorno al tavolo. Le mie dita, che aggiustano i capelli dietro l'orecchio, mentre quelle degli attori trafugano vagine come barattoli di miele.
La visione si conclude, con qualche commento borghese dei maschi; le ragazze si spostano nell'altra stanza, con indifferenza, senza nemmeno un sorriso.
Nel gelo.

2 commenti:

Eletta Senso ha detto...

All'ingresso nella stanza dai mugolii di stalla mi sarei aspettata di vedere un groviglio di corpi, un'orgia dionisiaca. Almeno ti saresti trovato in un film. Dai PPP sei passato al Dettaglio. Un dettaglio partecipato vale più di cento PPP senza corpo. I capelli tirati dietro l'orecchio svelano più dei corpi senza veli.
L'eros si nutre di dettagli.

luigi ha detto...

È passato diverso tempo, ma ricordo che le sonorizzazioni erano eccessive rispetto alla situazione ritratta e al numero dei partecipanti.
Concordo sul dettaglio e sui dettagli.
Lo svelato non avrà mai la forza del celato o del velato.
È anche uno spunto sul linguaggio letterario e sulle immagini.
saluti
l.s.