giovedì 2 maggio 2013

Senza di me

A quest'ora della sera, quando il giorno è morente, qualcosa si muove per ripartire. Senza di me.
L'amore per il voler dire, che non ha i documenti e allora scrive, per distrarre i controlli e per non partire ancora.
Continuo ad ascoltarmi mentre corro, o mentre scrivo, rendendo questo gesto, a mia insaputa, come un qualcosa di rarefatto e insieme di compiuto, appena prima di esistere. Di unico e di irripetibile, quanto di dissonante con l'armonia lontana di questo momento, e di quello successivo, e ancora di quell'altro, momenti che sono e che saranno sempre avanti alle mie parole, così come arrancano indietro, per loro scelta, gli intellettuali di turno quando vogliono correggermi la schiena sul banco, la camicia è spuntata fuori, mi dicono, mentre con la mano sinistra mi disegnano un cazzo sul gesso del mio braccio spezzato in due e si puliscono col tovagliolo la bocca di crema gialla, tossendo o sbadigliando fumo con la mano avanti.
Qualsiasi cosa avvenga, di qualsiasi natura artistica sia  fatto questo strano accanimento di finzione, quello che conta sarà il peso della sua risonanza. Di solito, una risonanza di un testo scritto,   potrebbe ritornare con la stessa intensità, per un lettore, della stessa che ha subìto lo scrittore, appena prima di cominciare. Quel certo mistero, così insondabile quanto delicato, con la mia vita che si addentra nel buio di un altro e si disintegra mentre prende forma e quota, come una bambina in un tuono. I miei passi neri dentro gli occhi, prima di spegnere la luce e di rimanere sveglio nell'artiglio.
Lo stesso altro che avvertirà la risonanza diventerà così il suo nuovo creatore. Quando leggi crei, tanto quanto scrivi. Così come quando scrivi leggi, tanto quanto chi legge e chi elegge la tua risonanza a suo incubo esclusivo, rimedio  e magistero per l'insonnia o carta per le gabbie degli uccelli, colla e veleno per topi.
Il circuito è molto oscuro. Non saprò mai se ne sarà valsa davvero la pena. Quando credo e quando sento di fare bene, quando tutto è sempre più in ordine, preciso e pulito, ritorna il dolore del dubbio, lo avverto come un crampo, un cazzotto, la tagliola che mozza la coda di una volpe azzurra. Sentendo di non avere più il suono che sentivo, quello che mi emozionava prima di cominciare. Eppure continuo, tenendo fede al mio primo impulso, giusto il tempo prima che sfumi o che mi sfumi e mi allontani ancora una volta da lui.
Se mi lasciassi andare, questo post potrebbe continuare all'infinito, senza fermarsi mai. Sovrastare e svernare la mia stanchezza, il mio sonno, il mio tempo, una mia occupazione alternativa e stagliarmi come un fossile caldo appena esploso, anche se forse il post andrà disertato. Come spesso accade con gli scritti che sento come spiriti lontani e sognanti, carcasse di insetti o briciole di biscotti scivolati da un palmo della nonna Elvira...o della sua sorellina, da me così amata, e morta suicida.
Sarà solo questo il mistero. Lo scivolare del fiume con le sue nebbie e le vallate sparse tra i fucili ancora alti in un tramonto. Il buio di un uomo si cela e si svela nella profondità di un libro, nella consapevolezza che la mia parola sarà fatta di silenzio, per molti o per moltissimi non arriverà mai. O forse arriverà con un altro suono, un altro vento, un altro odore, così lontano da quello che ho avvertito.
Questa è la paura che mi tiene vivo, che mi divora il braccio che continua,  quando qualcosa si muove e si avanza per ripartire. Senza di me.

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