lunedì 20 maggio 2013

Per favore, non te ne andare ancora

Un pensiero ferma il tempo. Quando mi attraversa ha la forza di un grande uccello, è già lontano e il pendolo riprende a scoccare. Che cosa rimarrà nelle mie parole di quel bagliore e di quella distanza? Quanto inganno che ancora non avverto. Ogni sillaba dovrebbe cercare la forza misteriosa di un attimo che è andato, il suo focus creaturale, il suo fianco.
A chi potrò chiedere come si fa a smettere? A chi come ricominciare nel modo giusto? A chi come ritrovare quello che ho perduto, se attraverso questi sentieri scritti rischio di allontanarmi da me, da quei momenti nemmeno più pensati, forse preconcettuali, fantasmici, passati e rarefatti già nel loro nebbioso presente?
Quanto conta e quanto mi costa questo sentiero fitto di ombre, senza una guida, una mano, una carezza? Dalla mia finestra avverto l'avanzata delle nuvole, che sembrano cavalli stanchi e assetati della mia luce. Un cane adesso abbaia. È tornato il sole, ancora per qualche attimo, quando tutto sembrava nascosto dai cavalli.
Queste parole dicono di quello che è ma che è altro. Perché ciascuna parola sarà altro per ciascuno sguardo e ciascun ascolto. Gli stessi odori che sento, come renderli veri, fragranti? E anche lo stesso silenzio, la sua fine, l'arrivo di un suono, di una risata, di un bagliore da una finestra che si apre.
Il sentiero a volte ti dice di riprendere, ma ti accorgi che non ti diverte più. Nessuna cosa senza divertimento si fa più profonda, al contrario. Il divertimento implica profondità, impeto, leggerezza, possenza. Senza divertimento ci si assenta.
L'inadeguatezza a quello che si vorrebbe dire è sempre crescente, rispetto a quanto sia soffuso e delicato l'impulso del dover dire, semmai solo  a qualcuno. Ma una frase non conosce il sottovoce o le dinamiche umane di chi ti è accanto. A chi potrò mai chiedere che cosa significa l'intimità nella scrittura? A chi potrò mai chiedere, invece, come dare più forza e vigore a una frase, quando qualcuno già si allontana, e non mi sente più? O come raggiungerlo senza svegliare quelli che gli dormono accanto?
Se decidessi di non scrivere più, nemmeno una lettera – come qualcuno mi consigliava – forse oltre a guadagnare riposo da queste domande senza risposta, perderei qualcosa: la possibilità che su milioni di persone, nella bruma, si sollevi appena una mano e mi dica: per favore, non te ne andare ancora.
Credo che sia tra le più grandi e delicatissime risposte, che attraverso una qualsiasi forma di espressione nella pratica della finzione, ti facciano sentire come tutto quello che si avverte e si controlla, sia altro da quello che realmente avviene in una trasmissione così fragile e medianica, come è quella dei pensieri scritti. Altro da quello che credevo...
Avviene il desiderio che quel misterioso flusso ronzante e silenzioso, rimanga ancora acceso, come un fuoco, che rimanga nell'aria con il suo filo bianco di fumo...Per favore, non te ne andare ancora, come se dovessi raccontare una fiaba per far addormentare un bambino ammalato, e in quel caso avverto che nel groviglio dei dubbi e delle calamità di chi scrive, affiora quella piccola insistente richiesta perché la mia luce non si spenga. Perché rimanga ancora, solo per poco, anche qualche minuto, nemmeno. Rimani perché altrimenti senza di te ho paura, o fa buio prima, o tremo come una piuma. Qualsiasi motivo potrebbe bastarmi a resistere per una persona sola.
Non trovo altra ricchezza al mondo di quel passaggio di tempo richiesto, dedicato; di quell'urgenza nascosta e inconfessata, che, per una sola persona al mondo che la avverta e me la richiede, anche se nel mezzo sonno, varrebbe lo stesso la pena di rischiare e di continuare, senza limiti e confini, ad esaudirla.
Ancora.

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