martedì 14 maggio 2013

Camminando nel buio: impromptu senza parole.

Camminando nel buio più pesto.
Non c'è un'anima intorno a me. Da lontano la luce di una candela, dove qualcuno soffia,
giusto nell'attimo del mio passaggio.
Riuscire a proseguire, avvertendo del vento sinistro sul collo, senza limiti alla strada, senza più un'altra luce. Ma sentire anche che ai lati della strada senza limiti, potrebbe esservi un dirupo, profondo e insondabile. I passi di chi ha soffiato sulla candela sono dietro di me. Molto nitidi. Il loro suono scintilla sul vetro. Vi saranno diversi vetri che schioccano sotto quei passi, ma non sotto le mie scarpe. Le mie scarpe hanno la suola di gomma ma dicono di uno strato dolce di sabbia. Chi mi segue ha quindi un selciato diverso, sulla stessa strada.
Non posso fermarmi. Ho molto freddo e poi i passi potrebbero raggiungermi e affondarmi nel cuore il suono del loro vetro. Nel fermarmi potrei bloccarmi, impantanarmi nella sosta e non ritrovare lo slancio per proseguire.
Qualcosa da quel buio mi dice che la direzione è quella. Anche nel buio è quella la strada di casa. Ma non ho riferimenti. Adesso quei passi dicono anche qualcosa, ma più che altro sono risate, qualcuno che mi sghignazza dentro, come uno schizzo d'acqua da una fontanina, uno sputo in faccia.
Cerco di non farmi condizionare. L'importante, mi dico, è mantenersi lungo la strada, anche nel buio, non perdere l'equilibrio, rimanere centrati e attendere qualche prima luce, anche un segnale fioco che mi dica che sto andando bene.
I passi e le risate sono sempre accanto a me. Ogni tanto mi arriva qualche spintone, qualcuno anche violento, cercando di farmi decentrare. Uno di quegli spintoni mi fa inciampare nelle scarpe e da quel momento anche il suono dei miei passi si fa di vetro. Non avverto più la sabbia sotto le suole gommate. Odore di panna, molto intenso. Alzo la testa al cielo, ma vedo solo una massa opaca di nuvole.
Una tosse di anziani, da una casa spenta. Da una finestra chiedono aiuto, qualcuno sta molto male. Serve un medico, grida la voce, soffocata dallo spavento. La casa è immersa nelle tenebre, così la mia strada, le nuvole del cielo, i lati senza limiti del mio percorso: buio pesto. Ma quelle grida, adesso molto disperate, sono una sorta di luce da seguire. Da quella casa trapela anche un odore di mele cotte, molto intenso, intenso come quelle grida. Allora cerco di seguire l'odore, di addentrarmi in una traversa, sempre buia, profondamente e assolutamente buia, ma dove si dirama il fumo di quella voce e insieme di quell'odore di mele.
I passi sghignazzanti e gli spintoni si sono dileguati. Sarà perché ho deviato, mi dico. Avanzo e avverto ancora un altro terreno sotto le suole. Non più sabbia, né vetro, ma sassolini di mare, quelli divertenti e molto bianchi, ma il loro colore lo avverto dal loro suono. Sono ancora nel buio.
Intanto avverto una lieve discesa, allungo le braccia in attesa di toccare la casa da dove vengono le grida. Sento il muso di un cane che mi tasta e mi bagna un ginocchio con l'umido del suo amore.
Le grida chiedono di un medico. Io non sono un medico ma devo entrare.
Allungo ancora le braccia e incontro una porta. Di legno, la avverto al contatto.
Chiusa, e socchiusa, la spingo con forza e si spalanca. Altro buio. L'odore delle mele cotte è molto più forte, ma le grida sono cessate. Avverto un'aria familiare, un venticello pomeridiano e ciondolante, come quello di un dopo pranzo. Cerco qualche ostacolo che mi orienti. Sarò in una corte, forse una piccola corte con delle scale che mi portano sopra.
Sta morendo un uomo, la voce adesso non grida più. Mi è molto vicina, quasi accanto all'orecchio destro. Deve fare qualcosa, dottore. Sta morendo un uomo che si sente donna. Nessuno lo può curare o salvare. Perché quest'uomo non ha il coraggio di farsi salvare, ma nemmeno vuole morire.
Non capisco, rispondo alla voce. Io non sono un medico.
Non importa, deve salvarlo, anche se non è un medico.
Non posso salvare una vita, signore. Solo i medici possono salvare la vita.
Dica almeno qualcosa, qualsiasi cosa. Anche qualcosa che sia medicata.
Non conosco parole medicate, la prego, mi pare più giusto cercare qualche medico. Un telefono.
Siamo al buio da ieri. Non c'è linea, non c'è luce. Abbiamo appena l'aria e adesso c'è lei. Siamo da soli. Io, l'uomo che sta morendo e la sua morte. La sua morte è seduta su di una sedia a dondolo, e sta aspettando qualcuno. Sta aspettando un medico con cui giocare a carte.
Io non sono un medico.
Ma potrebbe fingersi medico e giocare a carte.
Io non ricordo il gioco delle carte. Al buio, poi, come si fa.
Non ha mai giocato a carte al buio?
Non ho mai fatto niente al buio. Solo dormito.
Non ha mai amato al buio?
No, al buio non ho mai amato.
Perché ha seguito questa strada?
Voglio ritornare a casa, prima delle sue grida stavo ritornando, poi anche l'odore delle mele cotte, ho anche molta fame.
La prego, io lo so che lei è un medico.  Salvi la vita a mio figlio. Nel modo che sente o che sa.
Allora, allora lei è il padre?
Io sono suo padre. Non trovo possibile che una vita finisca così. Nel buio.
Io vorrei tanto aiutarla.
Giochi un pochettino a carte, ci provi almeno! Provi a giocare a carte!
Ma io non sono un giocatore e nemmeno un medico! Al buio sarebbe una follia!
Io credo che lei debba provarci. Le darò anche delle mele cotte. Mi segua.
Non vedo niente, non ha una candela?
Le hanno divorate i topi. Tutte! Le candele piacciono molto ai topi.
Molto, lo immagino. Sono fatte di cera.
Mio figlio ha amato come pochi. Mio figlio sta morendo di amore.
Di amore?
Si è innamorato di un topolino, che veniva a trovarlo tutte le sere e dal buio, con il suo musino tremante e delicato, gli diceva delle parole bellissime, così tenere e commoventi, che nessuna anima al mondo gli ha mai dedicato. La sua sessualità contorta non ha mai trovato tanta dolcezza, se non dal musino bianco di quel topo.
Quanti sessi ha suo figlio?
Non abbiamo capito. Ha uno strano apparato, che tutti temono. Lui amerebbe il mondo intero, se soltanto qualcuno scorgesse la sua parte interna, la più delicata, quella che si nasconde. Come il topolino nella notte.
E allora?
Il topolino da qualche giorno non si vede più. Ha cominciato a  piovere forte e di nero sulle campagne, dall'assenza del topo. È venuta via la luce. Il topolino aveva promesso di tornare ad amare mio figlio tutte le notti di tutta la sua vita, fino a quando mio figlio non sarebbe vissuto.
Quanto vive un topolino?
Immagino qualche anno, ma certo non quanto un uomo.
E l'amore di un topolino, signore? Quanto vive?
Ma un amore non si misura in anni di vita. Io credo che...
È una storia d'amore così strana, tra un ragazzo con più sessi e un topo.
Nessuno sa di quest'amore. Solo un padre, o una madre, possono capire l'amore di un figlio per un piccolo sorcio.
Che cosa diceva il sorcio a suo figlio?
Gli diceva che c'era la stellina della sera, che lui vedeva dal fienile, una stellina quasi azzurra, che brillava del loro amore, e allora mio figlio sorrideva e anche io ero contento. Alla luce di una candela, si attendeva insieme l'ombra dolce del topolino, che arrivava tutto tremolante del suo amore, e poi, quando arrivava, io li lasciavo soli. A parlare.
Che cosa strana, io...io sono davvero rapito.
La sente la sua voce, dalla stanzetta?
Sì, avverto qualcosa.
Sta ancora piangendo a dirotto, lo sente?
Che cosa possiamo fare.
Possiamo dargli la mano, solo questo. Le darebbe fastidio tenergli la mano?
La mano.
La mano nel buio.
Ma...la partita a carte, le cure mediche?
Non importa, solo la mano. La mano nel buio.
Credo che...
È possibile che non arrivi a domani, che cosa le costa. Poi con le prime luci ritornerà a casa, la prego.
Vorrei anche delle mele cotte, prima di salire.
Salga e poi gliele porto.
L'uomo, dalla voce anziana, mi portò sopra. In una stanza buia. Un odore buio.
C'era una sedia vuota, al buio, accanto al letto.
La voce del figlio tra i lamenti chiese chi stava arrivando.
Un amico, disse il padre.
Un amico? Ma io non ho mai avuto amici, papà!
Questo invece è un amico, mi fece, spingendomi con dolcezza verso di lui.
Incontrai con un ginocchio una sedia. La sedia vuota. Presi posto e cominciai a tremare, come non mi era mai successo.
Come ti chiami?, fece il  figlio.
Mi chiamo Saturno, gli feci.
Sei davvero un mio amico?
Sì, sono il tuo migliore amico.
Davvero? È vero, papà?
Sì, figliolo, è tutto vero, ascolta, ascolta quello che ti dice.
Anche tu sei il mio migliore amico, gli dissi.
Me la dai la mano, appena un poco, mi chiese?
E io senza rispondergli gli presi la mano nel buio.
Sentii per la prima volta un calore, un calore misterioso, molto familiare, umano, ma forse sovrumano.
Mio padre che cosa ti ha detto?
Niente di importante. Solo che...
Che sto morendo per amore, è così?
Per l'amore di un topolino.
Allora te lo ha detto. Può sembrare da pazzi, è così?
No, non credo. Amare non è mai da pazzi.
Anche amare un topolino non è da pazzi, Saturno?
L'amore di un topolino può diventare grande e delicato come l'amore di Dio.
Il ragazzo mi strinse la mano.
Non ci dicemmo altro.
Gli lasciai tutta la notte la mia mano nella sua.
Alle prime luci dell'alba suo padre mi portò le mele cotte che mi aveva promesso dalla nottata.
Il letto era vuoto. L'uomo padre mi sorrise.
È stato davvero molto buono, dottore.
Adesso dov'è, gli dissi. Volevo salutarlo, prima di andare.
È andato a correre, stamattina è sereno. Siamo certi che ritornerà anche il topolino e questo lo dobbiamo soltanto a lei.
Ma se io non ho fatto niente.
È stato l'unico al mondo che gli ha tenuto la mano...questo non è affatto niente. Almeno per Dio...
Ritrovai la strada di casa.
Ogni sera penso a quella storia. Di quel padre, di quella mano nel buio, del topolino innamorato e della stella della sera intravista da un fienile. Pensando a Dio, intravisto da un fienile, dal muso tremante di un topolino.
Ogni sera da quella sera penso a Dio. E mi accorgo di aver capito che cosa sia l'amore e anche cosa sia il buio. E che l'amore ha senso solo al buio.
Senza parole.

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