mercoledì 15 maggio 2013

Scrittura e nostalgia di sé...

Il mezzo di scrittura è un mezzo potente di espressione. Potente perché comune.
Difficile incontrare qualcuno che non abbia qualcosa da dire, da organizzare, anche se in possesso di una manciata scarna di parole.
Bigliettini di compleanno, lettere d'amore o di morte, ma anche piccole confessioni private, lasciano la suggestione in ciascuno di noi, in particolari momenti di crescita, o anche di rinascita e di dolore,  di poter controllare questo mezzo ancora così potente – anche se oggi, almeno nell'apparenza potrebbe non sembrare più un mezzo così potente –, ma soprattutto di renderlo non comune, quanto meno nelle proprie mani.
Quanti ragazzi, ragazze, ma anche adulti, ai loro primi tentativi di scrittura condivisi, più o meno riusciti, si saranno detti:
"Quello che ho scritto è qualcosa di unico. Scrivere è difficile come suonare il piano, il corno inglese, andare in moto senza mani, trattenere il respiro, fidanzarsi con la ragazza del primo banco, che dopo aver letto questo racconto forse mi amerà".
È possibile inserire dentro uno strumento così potente, una serie di significati e di particolari attributi, che lo rendono speciale e unico solo se attraversato dal nostro particolare e originale utilizzo.
Riuscire a suonare bene un pianoforte può sembrare molto più complesso, parlo di suonarlo a certi livelli, del comporre un breve racconto di qualche pagina. Così con la fotografia, con la pittura, la scultura e con tanto altro.
Le parole sembrano sempre qualcosa di già posseduto, di familiare, di meno segreto. Qualcosa con cui si può cominciare da soli e sentirsi grandi senza che il merito se lo prenda un insegnante di musica, o l'Accademia di belle arti. Attraverso le parole, in diversi casi, si può riuscire dove non si è riusciti, e si può arrivare dove non si è arrivati. La loro potenza arriverà nelle profondità del cuore, partendo dalla ragazzina del primo banco e andando oltre a conquistare un certo ruolo, un posto importante, di qualcuno che diventa bravo in una cosa diventata difficile per il solo fatto di averla scelta come propria voce dalle cose comuni e più disponibili. Poco comuni, ma dove nessuno di quelli che conosci ti avrebbe mai immaginato.
Ma di quali parole parliamo?
Le parole di chi cerca di scrivere, sono le stesse che usa chi non scrive? Di chi non ha interesse a raggiungere gli altri scrivendo, semmai nemmeno parlando? Saranno davvero così comuni queste strane  e misteriose segnaletiche, che dovrebbero imprigionare attenzione, tirare i capelli, innamorare, irretire, stupire, incantare?
O c'è qualcos'altro? E nel caso vi fosse qualcos'altro, una polverina magica, che solo uno scrittore conosce, come si fa ad ottenerla? È qualcosa vicina a una tecnica? O vicina alla magia? È qualcosa che devi avere già dentro o che ti basta desiderarla? È qualcosa che ti brucia o che ti piace? Qualcosa che non sai di possedere e che hai rubato, o qualcosa che non hai rubato perché sei convinto di possederla? Qualcosa che ti sia stata donata?
Perché quelle parole nelle tue mani hanno quella luce, hanno quella forma, e non sembrano più parole, ma sembrano altro. In certi casi suoni, riflessi, immagini, aquiloni? Esistono altri tipi di parole, allora?
Un grande scrittore non usa le stesse?
Insomma, queste domande potrebbero non avere risposte, ma è giusto che chiunque cominici ad attraversare questo paesaggio oscuro e tremendo dello scrivere, sappia che non ci sono risposte facili e univoche; non c'è mai una sola verità, e potrebbero esservi più strade diverse per raggiungere uno stesso luogo, anche irraggiungibile, diverse per ogni persona che si accingerà al viaggio.
Una sola cosa ho imparato, ma più che ho imparato che ho provato sulla mia pelle: la voce di uno scrittore deve creare prima di tutto nostalgia di sé: uno scrittore grande, non ti parla di sé stesso ma ti dice di te. Si interessa a te. La nostalgia che proverai per lui e per la sua scrittura, quando l'avrai conclusa, in certi casi anche interrotta, abbandonata, sarà tanto più lacerante quanto lacerante sarà il rapporto con la dimensione dei tuoi segreti, delle tue ombre, di qualcosa che hai vissuto con qualcuno di cui non sai nulla ma insieme anche tutto, e che in qualche modo ti ha stregato.
Credo quindi che un segnale importante per continuare a scrivere, è accorgersi di aver modificato qualche piccola cosa nella vita di chi ti ha letto, semmai niente di importante, ma qualcosa di toccante, di intimo, forse di stregante. Qualcosa che uno scrittore forse non saprà mai, ma che potrebbe intuire, così come quasi mai si sa del sentirsi amati dai timidi, che non avranno mai il coraggio di confidartelo, ma che darebbero la loro vita di nascosto, per te.
Ecco il fascino enorme della scrittura. L'invisibilità e la solitudine di un sentimento espresso, verso latitudini oscure, ma che improvvisamente, per ragioni insondabili, potrebbero ritornarti indietro, e farti riconoscere in qualcuno che ti ha letto, ti ha sentito e ha provato una nostalgia fortissima per le tue parole. Anche se non te lo dirà mai.

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