Vi è uno spasmo molto forte di richiesta di attenzione da parte di chi scrive. In qualsiasi modo si cerca un occhio privilegiato, dedicato alla propria strada.
Questo è molto importante ma merita un piccolo appunto: se l'attenzione fosse subito disponibile e pronta al proprio cospetto, personalmente non vedrei l'ora di liberarmene per poter continuare a scrivere o forse non scriverei più una sola riga. In alcune fasi diventerebbe un ostacolo, un oggetto contundente e non più edificante, che coprirebbe così il sapore di quello che si cerca nel proprio buio e nella mancanza stessa, a volte così fertile e nutriente, di questa premurosa attenzione negata. Non credo che scrivere sia soltanto alzare un braccio dall'acqua verso un genitore che sta sulla riva e chiedergli di guardare quello che si riesce a fare.
Gli occhi e l'attenzione sono frutto di un percorso credo molto più ampio, che se troppo richiesto potrebbe ritornare svilente, addirittura asfissiante. Le persone hanno milioni di cose di cui stare attenti. Non soltanto libri, ma anche bambini, mogli e mariti, animali, piante, uffici, musei. È importante, da scrittori, fare molta attenzione, ma non cercarla mai troppo e non sentirsi mai troppo al centro, in nessun caso. Nemmeno quando si è letti. La persona che legge dovrà essere trascinata al centro quando si addentrerà in un lavoro che vale, ma nessuno al mondo potrà prevedere l'adeguato valore di un testo e la relativa attenzione meritata o meritabile. Solo pensando in questo modo così cinico, riesco a non sentirmi ridicolo o pazzo quando attacco una prima sola parola. Poi alle altre non concedo più pensieri. Sentire che meriti la massima cura e importanza, soprattutto perché non è e probabilmente non sarà mai così importante come quelle che non ho scritto e che non ho scelto! Ecco dove dedicare la mia attenzione. All'interno e mai troppo all'esterno.
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