Ho trascorso diversi stralci di questa mattina di piovosissimo sabato, alla ricerca di un testo di Montale da Diario del '71, in cui avevo scorto un fattore già notato di recente in Sanguineti. Una sorta di effetto lacerante e poi collante linguistico. Il testo di Montale si intitola A questo punto. L'ho letto stamattina molto presto, poi non ricordavo dove fosse quest'elemento, appena recuperato dopo lunghe sonore sfogliate tra le raccolte:
Se ora mi stacco
da te non avrai pena, sarai lieve
più delle foglie, mobile come il vento.
Devo alzare la maschera, io sono il tuo pensiero,
sono il tuo in-necessario, l'inutile tua scorza.
A questo punto smetti, stràppati dal mio fiato
e cammina nel cielo come un razzo.
Mi ha intrigato tutta questa parte, laboriosa e molto fisica. Lo stacco e la pena, e subito dopo la dolcezza autunnale della foglia, la leggerezza, lo spostamento, la mobilità e non la lacerazione, che sopraggiunge poco dopo. Toccando la scorza il superfluo. Avverto il gesto della mano che separa nelle scelte.
In contrappunto o moto cancrizzante, così mi risuonava, già in prima lettura, un verso di Sanguineti, da Corollario (1992-1996).
Dal n. 6:
se mi stacco da te, mi strappo tutto:
ma il mio meglio (o il mio peggio)
ti rimane attaccato, appiccicoso, come un miele, una colla, un olio denso;
ritorno in me, quando ritorno in te:
e conclude:
vivo ancora per te, se vivo ancora:
Li ho sentiti viibrare come sonagli, questi testi, come se sollecitati da venticelli diversi su di uno stesso corpo. Montale parlava della sua opera, come di una sola poesia, di un solo libro. A volte accade che tutta la poesia, diventi e significhi un solo libro, intercomunicante tra le pagine diverse, i suoi temi, le sue fughe, le sue dissonanze. Come in un caso del genere.
Lola&Vlad – Piero Melati
3 ore fa
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