lunedì 28 marzo 2011

Letteratura di formazione, informazione e trasformazione

Ne ho sentite troppe sulla scrittura. Credo che sia molto più letterario ed edificante parlare di donne o di cavalli da corsa. Un appassionato puro e inguaribile di belle donne o anche brutte donne – sono convinto che le brutte donne a volta sono le più belle – di qualsiasi livello culturale egli sia, avrà accumulato di sicuro molte meno sciocchezze di quelle che ho ascoltato su parametri letterari e prospettive formative per poter scrivere o non scrivere. Per poter avere la patente per comunicare e farsi capire o avere l'arroganza di non voler comunicare o non volersi far capire – sarebbe una trovata davvero idiota, quella di scrivere delle ore per non comunicare, o forse un atto di coraggio o di protesta.
Ne ho sentite troppe, sul discorso di quello che conti, di quello che sia necessario e utile da leggere, di quello che conti e sia imprescindibile e universalmente noto come farmaco letterario miracoloso, contro la cattiva letteratura o debole, criptica, denutrita scrittura di corridoio e non di reparto, letteratura da astanteria, da intrattenimento o da bordello; o quella da tenere pronta per rimanere aggiornati, o da sfoderare all'occorrenza, per una scopata di gran lusso, o da nascondere come una ruga o un parente scomodo. 
La cultura e la scrittura non sono mondi fatti di sole categorie, di soli giudizi, di sole lineee geometriche che devono incontrarsi, di proporzioni e di equazioni che devono necessariamente trovarsi.
Nel mio caso, credo che si tratti di sproporzioni e di disequazioni che devono necessariamente perdersi e scontrarsi a morte, prima di trovare o non trovare una mia voce – non so quante altre volte lo avrò scritto, ma non credo che sia una ripetizione una cosa ridetta. Puoi essere ripetitivo anche dicendo una cosa una sola volta, se non usi la tua testa ma quella di qualcun altro, che pensi faccia un effetto migliore. Gli affari culturali e affini di scrittura, sono aspetti dell'umano e della sfida con l'inesprimibile, che nella stragrande maggioranza dei casi, trascendono il gusto ostinato a viverli come problematiche o comparti etici incasellati e asfittici –immagino che il fattore poetico sia estremamente inadatto a essere impostato e impastato sotto un profilo problematico, eppure ne sento delle belle anche lì.
Il problema è che ciascuno avrà i suoi mezzi e i suoi orizzonti formativi, informativi e trasformativi, e avrà la necessità o il dolore di esprimerli o di non esprimerli, senza dover esibire un elenco dei testi validi o dei documenti che hanno contribuito a fomentare il suo errore o il suo trionfo. Potrebbe non esserci un motivo o un reale movente per lo scrivere bene così come per lo scrivere male.
Che cosa significa e mortifica o panifica lo scrivere? Mostrare un muscolo, un bel ginocchio pieno da una calza di seta, una nuca profumata, o lottare con il demonismo di una necessità, di un'urgenza? Da dove vengono fuori queste grandi verità? Mi auguro di averne sempre di più sulle donne e sulle loro ginocchia e sulle loro nuche misteriose, e mai e poi mai sui libri e sulla loro scrittura.
Buona settimana.

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