mercoledì 30 marzo 2011

Maestria nella tenerezza in Mario Soldati

La scrittura di Soldati è di una sconcertante bellezza naturale. Parte di un paesaggio, di una luce notturna. Una bicicletta che si ritira di sera tardi in un piccolo paese appena addobbato a festa, ma con le luminarie già spente.
Credo che leggendo uno dei suoi romanzi più perfetti nella struttura e altrettanto naturali e generosi nella cantabilità espressiva dell'ispirazione, si possono scorgere le caratteristiche che fanno irresistibile e ineguagliabile la grande scrittura naturale, quando si riesce a coglierla nella traslucenza del suo ultimo   e pericoloso fondale di bellezza. Quella che scorre senza artifici, che allaccia paragrafi, situazioni e pensieri, come fettucce di scarpine da ballo attorno a un polpaccio dolorante in equilibrio. È la grandezza dell'essere teneri ed espressivi, senza disperare ed osare troppo nell'artificio riuscito. Senza diventare tenebrosamente teneri, o pittorescamente tristi o forse gioiosi ed esultanti della stessa tristezza descritta e raggiunta. Il grande scrittore deve cimentarsi in tutto il suo estro per guadagnare quel millimetro, quella minuscola frazione di spazio assiepato e oscuro, che separi una sensazione di profondo incanto – o incantamento – espressa in un ritratto in filigrana, da un impasto stucchevole e artefatto, dipinto con il taglio della mano intrisa di tintura per capelli. E tra questi due modi di colorare, a volte si può piombare in quello più grossolano per una frazione invisibile di passo. Credo che lo sforzo letterario di una descrizione, debba lavorare e penetrare l'immagine di fino, per guadagnare questi millimetri inscrutabili e preziosi, che diventeranno la sua naturale e commovente grandezza e parte viva della sua poetica.
Ecco, secondo me, che cos'è uno scrittore. Un uomo che bada ai millimetri importanti, e li distingue alla perfezione da quelli superflui.
Come in questi due estratti dal romanzo La sposa americana, in apparenza semplici e alla portata di tutti, ma terribilmente perfetti nel tipo di delicatissimo innesto di giustezza millimetrica dal baratro del confine, e nel senso più classico e più umano della tenerezza letteraria e silenziosa che osserva, senza quasi più dire:

"Il padre di Edith non aveva sessant'anni e ne dimostrava ottanta. L'ho sempre visto seduto su una poltrona, anche a tavola. Il volto chiaro, tranquillo, bonario. Lo sguardo azzurro e luminoso nei grossi occhiali di celluloide gialla: il giunto di una stanghetta era fasciato di scotch-tape: mi sembravano, forse a torto, ancora occhiali fatti a Praga. E stanchezza in ogni gesto, sorriso, parola. Un vecchio senza più nessuna speranza. Parlava un inglese rudimentale, raggentilito dalla cantante cadenza boema, ma perfettamente comprensibile. [...] Guardavo,  e immaginavo la dolcezza della casa che gli Sládek avevano abbandonato e non dimenticato, la loro casa di Mělník, nei sobborghi di Praga. Non sono mai stato in Cecoslovacchia, perciò immaginavo vagamente, confusamente. Il tinello degli  Sládek a Mělník sorgeva nella mia fantasia, forse dal ricordo di qualche film cecoslovacco, ogni volta che incontravo il sorriso viennese e malizioso della madre di Edith o il sorriso stanco del padre, la stanghetta dei suoi occhiali gialli fasciata di scotch-tape.".
Da La sposa americana, di Mario Soldati (1977)


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