domenica 6 marzo 2011

L'economia del profondo

Un'analisi che sento di condividere, perché racchiude una mia idea precisa dell'economia del gesto letterario. E non del mito romantico del disossare, del ridurre, del rendere assolutamente digesto. Da lettore non cerco testi solo chiari e digeribili, ma testi di scrittori infiammati. Ma questo è un discorso diverso. Non si scrive con i numeri, ma con molto altro. Questa mia piccola analisi potrebbe dimostrarlo.
Procedo. Il tutto nasce dal raffinatissimo combattimento di coltelli che Vargas Llosa descrive nel suo racconto La sfida, dalla raccolta Los Jefes (I capi) 1959. Il personaggio dello Zoppo, è racchiuso in tutta la sua tempestosa durezza e minaccia, in questo stralcio, dove l'economia e la precisione si investono di un'aura e di un magnetismo rari e davvero coinvolgenti, ancora prima che muova un solo passo contro il suo rivale di turno Justo.
A voi (ogni tanto mi inserisco, se trovo qualcosa di interessante, altrimenti scorro avanti):
Era alto, molto più di tutti i presenti.
Ecco, invado subito il campo. Questo è il primo elemento che lo scrittore utilizza per introdurci nella fisionomia di uno dei due combattenti. Parte da una prospettiva che si può relare agli altri elementi. La minaccia dell'altezza. Era alto. Un primo elemento al quale si legheranno gli altri, che già pone la sua figura in un luogo preciso, con un suo riverbero di oscura superiorità.
Nella penombra, non potevo immaginare il suo volto corazzato dai foruncoli, il colore olivastro scuro della sua pelle glabra...
Adesso Vargas Llosa lavora sulla luce e sulle rifrazioni. I primi tratti sono più chiusi e trattenuti da qualcosa. Dalla corazzata dei forunculi, il colore olivastro della pelle. Un sintomo di profondità e di inquietudine, ottenuto con poco. Sottraendo e non aggiungendo. Così più avanti:
...i fori minuscoli degli occhi, infossati e brevi come due punti dentro quella massa di carne...
Anche qui, la figura adesso prende luce ma anche peso. I suoi fattori di distinzione vivono del soffocamento e del poco spazio, senza un respiro. I fori, le fosse, poi, più avanti, le gibbosità. Sembra la descrizione di un dirupo, sempre più ruvida e tagliente.
...spezzata dalle gibbosità oblunghe degli zigomi (immaginato quanti ragazzini precisini e scolastici, adesso storceranno il muso davanti a oblunghe, che invece scende a pennello, signori). Mi dispiace tanto.
e le sue labbra grosse come dita, pendule sul mento triangolare da iguana.
Questa è bellissima. Le labbra e le dita. Le vediamo, credo che sia impeccabile, soprattutto per come l'autore si sposta  e come attraversa la carne del viso, e non il contorno di un disegno  a matita.
E per finire:
Lo Zoppo cioncava dal piede sinistro, dicevano che su quella gamba avesse una cicatrice a forma di croce, ricordo di un maiale che l'aveva morso mentre dormiva, ma nessuno gliel'aveva vista.
L'ultima pennellata, con fattori che adesso diventano esterni, pur rimanendo fisici, come un'unghiata, uno sfregio, una macchia di unto, un'incisione.
L'economia dello scrittore mira ad arrivare dritto al punto e al tipo di effetto, che personalmente mi risuona chiarissimo e perfetto. Si aggira attorno alla figura dello Zoppo, in una serie di angolazioni insolite ma molto intime. Come se più che un'idea visiva, volesse ottenere un'idea olfattiva, un'impatto tangibile corporeo e poco pensato.
Solo allora concederà l'avvio dell'azione del combattimento dei coltelli. Senza sprechi ma sensa nemmeno contenersi. In una logica di economia letteraria e descrittiva del profondo.
È tutto.


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