sabato 6 novembre 2010

Processi di revisione "Il sole negli occhi"

Ho ripreso l'incipit di un racconto di diverso tempo fa, dal titolo "Il sole negli occhi", confrontando tra le varie revisioni conservate, i passaggi che avevo variato prima di consegnarlo al destino di un concorso letterario internazionale; l'International Gypsy friend Arts Competition, che con grande gioia e sorpresa lo inserì tra i racconti premiati a livello internazionale.
Non credo molto a una verità assoluta sul destino di un testo e nemmeno alle gare di scrittura, ma credo invece alle opportunità di crescita e di sviluppo esponenziale della tenerezza, dell'attenzione e della profondità  verso tutto quello che si pensa e che si fa mentre si scrive, da soli, senza alcuna certezza o approdo immediato. Sono convinto che qualsiasi esperienza di scrittura, serva in primo luogo a rafforzare la sensibilità e l'orecchio verso le proprie parole e i loro fedeli fantasmi, in modo da fornire a chiunque ti legga, gli strumenti indispensabili per calarsi o almeno avvicinarsi il più possibile a quel mondo e a quello che in quel momento tu pensavi che fosse il tuo mondo di quell'attimo. Per accogliere qualcuno nella propria casa di parole e di tanto altro.
 Dall' incipit. Quello di una delle prime versioni:
Lo stesso semaforo, la stessa luce negli occhi.
Il percorso costringeva la macchina all'iridescenza di quel tratto brullo e irreale, lo spessore di sigaretta delle treccine nere per un attimo nei miei occhi distratti dal viaggio, il tempo di avvicinarsi e senza mai parlarle.
In questi pochi semplici righi, ho attuato alcune piccole ma sostanziali modifiche, che ho trovato giuste e necessarie, anche a distanza di tempo, e che a mio parere hanno influito non poco a dare compostezza e fluidità anche a tutte quelle successive. Voglio premettere che quando si affronta una short story, lo spazio limitato costringe a scelte molto misurate, che consentano di arrivare al punto senza troppe variazioni altimetriche o filtri posticci e manierismi - a volte  i miei testi ne sono zeppi - e che prediligano la semplicità a tante altrettante ragioni stilistiche che possano però allontanare dal fatidico punto nodale della storia e del suo naturale o brutale che sia, sviluppo. 
Dunque, analizziamo passaggio per passaggio, le mie scelte. 
Nel primo rigo, giusto sulla zona di attacco, ho sostituito il semaforo con l'incrocio. Lo stesso incrocio. Non so se vi fa lo stesso effetto, ma attaccare con una parte viva dello scenario dell'azione, comporta la ricerca di quel dettaglio che diventerà poi il riferimento e il colore del luogo. Un semaforo è diverso dall'incrocio. È troppo meccanico, anche con le sue luci, non riesce a fermare e a includere il fermento, la spazialità, la vita brulicante in un qualsiasi incrocio del mondo, dove i personaggi della storia impigliano per qualche istante i loro occhi. È proprio da questo attacco che ho avvertito la distanza. L'idea del semaforo mi era arrivata, perché mentre scrivevo avevo davanti agli occhi e in punta di dita, l'immagine di un luogo reale che esiste e che conosco, perché l'ho attraversato mille volte in auto, e proprio ripercorrendolo con la memoria, mi sono accorto che il semaforo lo limitava  e gli toglieva il respiro che cercava.
Secondo punto: vuoto e non brullo: un tratto vuoto e irreale mi  concede un effetto molto più vasto di visione della solitudine dei personaggi nel loro ambiente dell'istante.
Terzo punto: magrissima mi sembrava eccessivo, una bambina magra arriva lo stesso al centro dello zoom,  -e poi  quelle cinque lettere le posso risparmiare per qualcosa di più utile, non si sa mai.
Terzo punto: la stessa bambina magra, lo spessore. Una virgola che invece ho trasformato in punto:
La stessa bambina magra. Lo spessore di sigaretta...in questo caso, interrompendo il flusso che con la virgola era separato da un piccolo soffio, ho cercato di differenziare meglio i momenti e le sequenze dell'azione, quelle che vanno dal viso della bambina allo spessore di sigaretta che mi ricordano le treccine dei suoi capelli. Può sembrare stupido, ma credo che il ritmo del passaggio abbia risentito in qualche modo del peso del punto e sia passato all'immagine dei capelli senza confonderla con la magrezza malinconica di quel viso.
Quarto punto: Il tempo di avvicinarsi e senza mai parlarle, sostituito con: Il tempo di avvicinarsi e già perdersi...
Qui ho voluto sospendere e lasciare nel vuoto la distanza dell'auto dal personaggio osservato, dal quale io che narro in prima persona mi sto allontanando; preferendo il perdersi, al fatto di non parlarle, creo un'elevazione dell'istante di spostamento, lo rendo più lacerante dello stacco dalla prassi comunicativa della parola, per restituirlo così a un'idea naturale di luce in diminuendo. Anche i tre puntini sospensivi giocano il loro ruolo.
Erano questi cinque punti, così come li ho vissuti in revisione,  con altrettante cinque varianti leggere. Questo è un piccolo esempio delle domande che mi pongo quando scrivo, senza che debbano diventare una verità, anche perché non credo che esistano sempre delle verità assolute, ma solo un modo di sentire le parole e i momenti della storia per come li avverto nel momento in cui riemergono e chiedono giustizia di arrivare quanto più vicine alla loro origine ignota e lontana, e non per come sia giusto vadano avvertiti- come ogni tanto mi sembra di intuire nell'aria, quando si dispensano certezze e strategie letterarie come  se fossero equazioni o sistemi matematici.
Tutto qui.
Una  serata speciale a tutti voi.
l.s.
p.s.
La bozza scannerizzata è una delle prime del racconto, ancora mille miglia lontana dalla definitiva, specie nei punti successivi dello sviluppo a quelli appena utilizzati, che non ho chiaramente affrontato in questa sede.

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