lunedì 15 novembre 2010

In libreria, considerazioni molto recenti.

L'osservazione dei libri, dei loro titoli,  dei loro costi, delle loro copertine, è una forma profonda di lettura e di una certa espiazione di colpe letterarie. Osservando quante forme nuove di lettura ancora mi mancano e sempre mi mancheranno, sono costretto a una certa raffinata introspezione. Per estendere al massimo la conoscenza delle parole stampate e la salute della mia ignoranza, ancora fragrante, nei pensieri più profondi dei libri, non basterebbe tutto il danaro, l'estensione del sapere cammina e muta forma e linea del paesaggio, non esiste il bicchiere per la sorsata diretta, mi sputa, sfuoca e sfocia in direzioni diverse. 
Osservando alcuni testi che mi mancano, alcuni Sanguineti,-e la sua analisi preziosa del sonetto 19, sfogliata stamattina-, e ancora un certo riedito Carver, per paura di doppiare racconti già in mio possesso e ancora il S.Gennaro di Marai e i preziosismi di Dashiell Hammett, e ancora il libro rosso di Jung, fino al Cimitero di Praga di Eco e alla Cognizione gaddiana del dolore o al terribile uccello dipinto di Kosinski, per citare i più prossimi all'ultimo giro frustrante. Intanto ho recuperato una bellissima edizione delle lettere di Miller alla Nin, una Longanesi. E  anche se li avessi tutti, l'estensione serpeggierebbe ancora oltre, in un caleidoscopico alternarsi di nuovi vuoti successivi a nuove conoscenze, oltre le pareti più ampie del bibliofilo ancora una risacca di ansia infinita. Intanto divoro libri più volte, quelli che in fondo mi marchiano a fuoco, come capo di lettore da bestiame e da loro sto imparando che l'estensione del sapere è un qualcosa anche da perdere e non solo e necessariamente da ingurgitare. Non dovrebbe conoscere digestione nè nausea, ma profumo celebrativo, annusamento, intuizione. Non è cibo diretto. È un passaggio per ottimizzare un ripristino mirato della mia personale informazione, dell'effetto di rifrazione con la mia sola lente impossibile, l'occhiale che sceglie e mette a fuoco che ha bisogno di quello che ha senza possederlo ma del solo graffiarsi con la punta della sua pagina - alcune dita femminili sgorgano sangue anche alla carezza dei quaderni - e come l'inno alla vita di Blaise Cendrars ha sempre tentato di dimostrare, sfogliare anche le pagine di un proprio cammino parallelo.
Mi consolerà allora, ritornare alle vecchie edizioni verdi del mio Mann, che mi attendono nel loro  autunno boschivo sulla vecchia neve delle pagine? È pericoloso arrendersi a una certa impossibilità di fruizione letteraria assoluta?
l.s.

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