domenica 28 novembre 2010

Fiori da una classe

Non riesco a immaginare la mia espressione, che cosa faccio con gli occhi o con il naso, quando mi arrivano dei fiori così. Dovrei specchiarmi, ma è una gioia che non immagino e nemmeno consumo. Provo vergogna, con le dita bagnate, rispondo al telefono e chiudo la porta, come se dovessi nascondere a qualcuno di casa l'affronto o l'azzardo di un corteggiatore impazzito, o la sorpesa di un'amica o di un folle che non mi ha nemmeno mai visto in pieno viso. Un vaso, dove lo trovo adesso un vaso, con il viso così?
Ma questi invece sono diversi. Sono diversi perché sono i vostri, gli ultimi e i primi insieme, prima di lasciarci, e poi che strano, a dirlo così mi disorienta: lasciarsi come, se siamo così vicini, ancora, ma le cose finiscono, a volte quelle più forti e radiose, come quest'arancio dei petali, come il primo e come l'ultimo giorno con voi, come questa razza di strano addio che non so più fare, come un primo bacio, un primo cinema, la prima vacanza o il primo amore. I fiori mi hanno strattonato, come rami di quercia, eppure sono così teneri,  fanno forza e attentano ai miei occhi e poi mi hanno fatto pensare, molto di più di tanto e a ciascuno di voi, che vedo riflesso nel gesto comune come nello specchio di un grande lago montano, quando cala la sera, stasera, per esempio. E sentire quello che a volte non pensavo di scorgere e di sentire più, non mi capita spesso, sono così testarda. O sarò così troppo presa da altro, dal troppo buio, dal troppo me, per esempio, che in questi ultimi  mesi non voleva fiorire.  Non riesco più a parlare, ho la gola imbalsamata di un uccello che ha paura, perché il suo canto svegli la sua nidiata o il vicinato che ancora riposa, eppure vorrei prendere ciascuno di questi fiori e dedicarli alla vostra vita, a quello che mi è successo incontrandovi e capitando qui, forse per un disegno, per un caso, o per una sassata fuori mira, che mi ha reso comunque diversa, nello scoppio celeste del vetro e le vostre teste diverse e minacciose, del primo giorno. Quando adesso sono finita io all'ultimo banco, senza la nostra aula. Anche quando sembro la più forte sono la più triste; questi due aspetti in me non si separano mai. Hanno la tenacia e il velluto del tragico, la classicità vigorosa e fiorente della mia formazione. Ed è anche questa la natura e il regalo che vi ho dato di me; un sussurro in filigrana di zendado, senza rumori se non quello del vento che bacia la classe in piena notte; e per tutto quello che non sapevo e che non potevo immaginare di dare a me e a ciascuno di voi, in così poco tempo.
La mia vita anche quest'anno giunge a un capolinea. Quello stesso dell'anno scorso, e ancora una volta dovrò prepararmi un addio con i fiocchi; uno rigato a matita o con un filo di trucco stanco e accennato che si scioglie. Adesso i miei occhi, quelli di adesso che vi guardano e soffiano e vi spengono, come candele. Per ogni petalo la fiamma di un'altra distanza, nonostante sia stato solo un anno. Ma a volte il tempo ammanta e si distende come una tinta indimenticabile e velata, sul resto del pastello della mia vita che passa e che continuerà a cambiare scompartimenti di treni;  ascoltare il fischio del capostazione nell'estate, che mi dice di chiudere e lasciare qualcuno di turno sulla banchina, che non mi scorge o se succede che alzi il braccio al mio profilo perduto, il treno sarà già in corsa, o chissà dove. Anche senza di voi, lo stesso profumo selvatico di quel nostro unico inverno che non si confonderà con nessun altro, o le tracce di una certa somiglianza con un mio modo di fare o di sbagliare, in uno stesso rimprovero, in questo fascio che mi spacca e che nascondo a mio padre come se lo avessi rubato, e che mi fa diventare una ragazzina della vostra età, una con cui concordare un'uscita insieme, telefonare per ore o sognare insieme un amore grandissimo e infinito, quanto a volte impossibie, come uno di quelli vostri e laceranti, che non immagino lontani da quelli che ho incontrato davvero, e un futuro che mi metta meno paura. Non riesco a guardarli, adesso sono troppi, ma quanti diamanti nascosti per un anno così, che mi è volato davanti nel suo unico lungo corsivo,  oltre ogni possibile sipario che ci distanzi e adesso, che rabbia, proprio adesso io non so più che cosa dire, e forse non l'ho mai saputo. Allora potrei cucinarvi qualcosa e farvi ridere sbagliando cottura o rimanere a sentirvi parlare dei voti, muta, senza controbattere, nella mia cucina, e commuovermi pensando a chi prenderà il mio posto, quando sarà tutto finito e sarete già lontani e separati. Come gli ultimi alberi lungo la strada dell' ultimo giorno, nella stessa curva del viale, anche quando sarete più lontani, proprio come ora.
Adesso allontaniamo le mani, avanti, senza confusione, possibile: fino all'ultimo c'è sempre qualcuno che deve farmi disperare, che hai da ridere tu, adesso? Quell'altro, sempre la stessa chiacchiera! Sei sempre lo stesso, non crederai mica che mi mancherai di più?
Che silenzio, sapete che non lo credevo? Shhh, fuori sembra che ci sia il deserto. Potrei sentire il respiro di ognuno, il battito del  cuore dell'ultimo passero che torna  a ripararsi quando fa buio. Adesso fa buio, sta calando la notte su questo nostro viaggio. Che bello così, e pensare che lo credevo impossibile, di non arrivarci mai; adesso sì, adesso è arrivato il momento di salutarci davvero. Come si fa, qualcuno potrebbe insegnarmelo? Perché non dite più niente, mi diventa difficile così. Cerchiamo di fare in fretta, però. Chiudiamo gli occhi, al mio tre, soffiamo sulla stessa lampada e non guardiamoci più...Adesso!
l.s.

1 commenti:

daniela ha detto...

Anche in questa pagina la tua grande sensibilità e capacità di introspezione...
speriamo che possa riprovare di nuovo l'emozione di quei fiori.