Questo titolo dice tutto il mio pensiero. Lasciare un personaggio, a volte è come tradirlo, quando hai concluso, lasciarlo al suo destino, o lasciargli la mano mentre attraversa la strada.
L'unico metro che mi avvicina alla sua probabile riuscita, è questo affetto strano e simbiotico che ci lega; questa volontà di fargli del male e questa forte nostalgia di bene, quando il gioco ormai è fatto e la sua figura stagliata nella mia vita è già passata.
Capita di immaginarmelo vivo, in una telefonata improvvisa, nel desiderio di sapere dove si trovi quando piove, e cercarlo al di fuori e non più al di dentro di me, quando cala il sipario. Cerco di organizzare e di muovere tutto il mio linguaggio e le sue dinamiche, dai fattori più meccanici alle arcate più fluide e ornate, attraverso questo parco luci di sensibilità abbagliata e inespressa nelle nostre distanze private. Attraverso l'invisibile e il sottile speziato di quest'assenza, resisterò forse al suo agguato solitario, e avrò la timida speranza di comunicare la parte di un mio mondo. Non ho altri catalizzatori se non queste particolari entità, che organizzano il concerto di una molestia, mutando e sfilando frecce infuocate avvelenate alle mie povere spalle.
Credo, allo stesso modo, che non esista un personaggio, tra quelli incontrati e vissuti nelle mie storie, che non abbia amato, protetto e perduto, come si ama, si protegge e si perde una persona vera. In caso contrario, non resisterebbe ai primi due paragrafi. Oppure affonderebbe per sempre la storia nei suoi rottami ferrosi.
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