C'è bisogno di improvvisazione, ma a patto di averne fatto astinenza, per medi o lunghi periodi. Una clausura metodica andrebbe alternata a una clausura improvvisativa, così mi si diceva. A volte. O quasi mai.
Temo che l'estro improvvisativo possa venire confuso per altro, così lo sacrifico alle mie arterie per periodi più o meno lunghi, per una mia scelta personale. Lo declino nel sonno, lo disegno sui vetri, durante una notte di gelo, facendo attenzione che il mattino dopo, se i vetri rimarranno appannati, come occhi appena nati, non ne rimangano tracce. Come una carezza confusa sul viso di chi dorme e che forse non ti sente, e al mattino è già sparita, ancora al buio. Hai paura?
Lo scrivere è accarezzare una montagna, che non ti vede nemmeno più, per quanto tu non esisti più di fronte al suo plenilunio di roccia serena e poco azzurra. Solo le cose così grandi esistono? Una cosa così grande avrà più vita, solo per le sue magnifiche proporzioni? Potrebbe essere una questione di effetti luminosi, di possenza, disegno nel vuoto, di stomaco o di cuore radioso e giovane? Una montagna respira, mi dicevi: respira proprio come te, dopo uno sbocco di tosse. Stamattina ti ho visto scendere, e mi sono sentita in un luogo lontano e diverso, quando ti vedevo svanire, insieme alla tua acqua di colonia, bandito! Sono le tue parole, di notte, in un orecchio, come se uscite dalla canna fredda di una pistola semiautomatica che ti carichi nel pigiama corto, quando scendi per bere e inciampi nel blu di un bel rasoio Gilette.
Credo che non sempre, continuando..., vi sia un'antitesi tra un metodo e un flutter improvvisante. Non si sa mai dove finisce l'uno, e dove comincia davvero l'altro. In qualsiasi possibile registro di composizione o scomposizione. Mi stai macchiando le lenzuola: dovresti medicarti la caviglia, ma che diavolo ci faceva il mio rasoio nel corriDio?
Come scrittore adoro la scomposizione dei fattori, dei cristalli armonici. L'enarmonia e la cadenza piccarda, misteriosa e fulminea, come una guancia perfetta e porosa di porfido: quando irradia quel modo maggiore improvviso dopo uno spleen minore, una sorpresa di macchinosa bravura. Non lo si individua mai subito, intendo quanto possa essere diabolicamente libero un certo sistema di condotta creativo, contro un estro atavico e borghese, che scimmiotta forme sfarzesche come in un numero goffo e acrobatico. L'accordo dissonante a volte è molto meno moderno, se non scarnificato da un gesto selvatico e preconcettuale. Non pensato: come l'amour...
È triste dare il nome alle cose. Bisognerebbe improvvisare la propria esistenza, o viverla appena in penombra, e soprattutto amare, ogni cosa che succede, come un operaio grondante di sudore, sul ponteggio di un cantiere estivo, una sorsata fredda di Cinzani che brilla in una coppa.
2 commenti:
...un po' come dire "vivere a tempo di jazz". ;-)
A Presto.
R.P.
Hai centrato esattamente il problema! (Come sempre):
A presto anche tu.
l.s.
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