sabato 25 giugno 2011

Senza

Pensavo a che cosa farei se tutte le cose su cui ho lavorato e in un cui ho creduto, svanissero, si perdessero nel vuoto, per un qualsiasi motivo o accidente. Che cosa rimarrebbe di me senza di loro e di loro senza di me, dovunque esse siano finite e cominciate. Cose scritte o anche non scritte, e anche fatti veri o finti che mi rappresentano, oggetti che penso possano intingersi della mia vita, senza altri sostituti. Fotogrammi, mappature genetiche, impronte di sporco sul bagnato, che parlano di me, in modo inequivocabile, del mio passo fuori tempo: 
quanto davvero conta questa sensazione di vita al di là di tutti gli oggetti e i riferimenti nei quali ho creduto di rappresentarla e di condividerla, o in alcuni casi di imprigionarla? È davvero possibile racchiudere il senso espressivo e privato di un'esistenza in un oggetto o in una serie di reperti? E affidare a un oggetto quello che non si sa ancora di sé, o almeno quella certa idea dove ci si illude di essere definiti e ricollocati? Ho paura di dare molta importanza al superfluo, che credo invece così importante, senza ricercare nemmeno le prove e le testimonianze di questa sacrale prevalenza su tutto il resto che non ho esplorato. Importanza all'involucro, dove penso vi sia lo spazio adeguato per un uccello selvatico, per il suo canto autoctono e boschivo. E di trascurare quello che invece è essenziale, ma che non si riconosce mai per tempo.
L'uccello non canta e non incanta più, ipnotizzato nelle sue sbarre, in controluce, che presto si sostituiranno alle sue piume. Quello che sento possa rappresentarmi, potrebbe rimanere in una piccola gabbia a pagoda, protetta dalla luce solare, ma senza il contenitore con l'acqua. Il cadavere ancora caldo di un canarino di postura.

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