giovedì 30 giugno 2011

Bozza matrigna monologo in chiave di basso (il cattivo tempo)

Ho portato l'alano arlecchino a pisciare. Era già tardi. Una pisciata omerica, con un  bel suono artico, che ricordava il fruscio dell'arpa celtica impigliata nella vestale lunga dell'arpista, sempre così acconciata e troia, nel tocco barocco, nel trucco pesante e nella floscia flessione del braccio sinistro. Portava il cilicio. Me lo avrebbe confidato un amico di mio fratello, che sistemava binocoli digitali nei camerini, per scorgere la trigonometria dei panorami illeciti e rosati. E scorse il cilicio. Lo stesso, fascinoso affare, che grazie al tuo alano ho confuso con l'autoreggente della farmacista, quando eravamo soli e il tuo muscoloso canide le faceva le feste e le sollevava il camice bianco con le zampe grigie e unghiate, lasciandomi intravedere quello strano collare che cingeva la coscia e segava il marchio erotico  e sevizioso di una pregevole lombattina di buon taglio. L'apparizione durava e anche l'effetto del piccolo rivolo rosa, fiumiciattolo di collant, pensavo, o dolce preziosa smagliatura da unghia stregata e distratta, senza immaginare l'effetto plasma della strana trafittura. Accanto al banco farmaci la farmacista era quasi nuda, anche quando l'alano si placò. L'odore fresco dei medicinali mi sedava. Strinsi il guinzaglio e chiesi un analgesico efficace per le lordure fangose delle mie emicranie. Mi chiese di quel mio pallore crescente, e solo in quel momento riconoscevo nel suo viso lo stesso dell'arpista, che aveva ormai appeso a un chiodo la sua arpa e si dedicava alla scienza farmacologica di famiglia, placati i suoi bollori ribelli. Parlammo a lungo dello spazio dell'arte e delle nuove insuline e di Richard Strauss. Era diabetica, da circa un anno.
Non sono mai stato così bene dopo quella cura di farmaci. Il tuo cane è rimasto di guardia al negozio, contro le maschere incappucciate di una banda, che armata di mitra ha fatto irruzione, proprio mentre stavo per uscire.  Ti ho lasciato l'appunto in cucina, con l'indirizzo preciso. Di passarlo a prendere tu. La povera farmarpista non ha avuto nemmeno il tempo di gridare, che il tuo cane li ha presi entrambi alla gola, i finti malfattori. Erano due vecchi amici orchestrali che avevano deciso di fare uno scherzo in stile. Ti prego, cerca di perdonarmi. Il cane ha divorato per il nervoso intere scatole di ansiolitici, quando lo hanno dimenticato nella farmacia. Non credo possano attribuirsi responsabilità sulla mia persona, posso dirti di avere agito in ottima fede.
Dimenticavo: l'arpista aveva un occhio azzurro di vetro color bancomat, iniettato di latte.
Ci si vede a pranzo, al solito ristorantino anni Trenta. Mangeremo insieme stinco alla birra, mentre il tuo alano Plauto sognerà di noi due, sotto il  tavolo, accanto alla tua gamba di legno.
Ti prego porta con te, a tavola, la tua tristezza immensa, oltre al mio bancomat di vetro Murano, color acqua marina. Mi saranno entrambi indispensabili.

0 commenti: