mercoledì 8 giugno 2011

Un capolavoro di solitudine:

Stamattina mi sono imbattuto in due testi singolarissini di García Lorca. Sono fratelli per uno strano destino, dal momento che sarebbero appartenuti entrambi alla suite Palimpsestos, la quale, a pubblicazione avvenuta, ne risultò invece monca. Secondo Belamich, le due poesie sarebbero state scartate dallo stesso poeta. Ma non vi sono certezze, al di là della loro assenza.
Della prima, Camino, trascrivo la prima strofa, che trovo bellissima, e che ho riletto molte volte, rallentandola negli occhi, ogni passaggio sempre di più, in entrambe le lingue. La seconda, El pecho (Il cuore), la trascrivo invece tutta.

Camino  (Sentiero)

Ogni volta che ci diciamo
addio,
creiamo un mistero.

Non so se possa definirsi una strofa semplice, ma è molto profonda ed evocatrice. Ha una sua forza, molto particolare e poco appariscente. È una forza placida e interna, e non guerriera. L'isolamento della parola addio (adiós) diventa un punto di approdo importante, un'ancora o un capolavoro di solitudine, come direbbe in queste circostanze Joseph Conrad. Mi fa pensare molto al fatto che Lorca abbia eliminato una poesia con un attacco del genere. Rimarrà  così mistero naturale del suo stesso mistero di addio. Forse il suo ruolo era quello di sparire, e di non essere ricordata e nemmeno dimenticata.
Ecco la successiva:

El pecho (Il cuore)

Il dottore
mi ha auscultato
il cuore.
Dice che ho
dentro
un'immensa bolla.
Legge con le orecchie
il mio torbido palinsesto
e risveglia non so
che folletto con le dita.
Vorrei anch'io
auscultarmi il cuore.

Federico García Lorca

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